A BORDO DEL TRENO – Nonna Bannister

“7 agosto 1942 – Konstantinovka, Ucraina Sono le 14:15 e siamo appena state caricate sul treno! Mio Dio, non è così che pensavamo di fare questo viaggio! Siamo pigiate come sardine in scatola nei carri bestiame. Ci sono i soldati tedeschi con i loro fucili e mamma ha paura (so che è così). Pensa ancora che potremo scendere dal treno, abbandonare i nostri bagagli e tornare a casa a piedi.

Mia nonna è a circa sei metri da noi, in piedi, talmente sconvolta e sbigottita – sta piangendo – che le lacrime le rigano la faccia, e intanto ci saluta con la mano. Non so perché, ma so che non la rivedremo mai più. Quando il treno comincia a muoversi, io e mamma continuiamo a guardare nonna finché non scompare dalla nostra vista. Alle 16 tutta la gente dentro il nostro vagone sta in silenzio, nessuno parla. Qualcuno piange senza far rumore, e io sono contenta di avere il mio diario e due matite. Mi sono messa nell’angolo più lontano per avere un po’ di spazio per scrivere.

Adesso lo sportello del vagone è aperto e riesco a sentire i rumori provenienti dal tetto. I soldati tedeschi si sono piazzati sopra al treno e parlano e cantano… secondo me stanno bevendo. Mi sembrano ubriachi. È quasi mezzanotte – la luna è così piena! – e stiamo attraversando dei grandi campi. Devo avvicinarmi allo sportello per prendere una boccata d’aria fresca. Mentre mi avvicino alla porta, vedo un paio di gambe coperte da stivali neri che penzolano proprio sopra la porta, poi una faccia si sporge e il soldato mi urla: «Salve, bellezza!», e io mi allontano il prima possibile. Mamma mi tira a sé e sento che mi sta venendo sonno.

8 agosto 1942 Quando ci svegliamo, guardiamo all’orizzonte e osserviamo il sole mentre sorge dai margini dei campi più grandi che abbia mai visto… è un’alba bellissima! Dove siamo? Quanto manca a Kiev? Il treno rallenta e sembra che ci fermeremo.

9 agosto 1942 Siamo a Kiev, ma il treno si è fermato almeno un isolato prima della grande stazione. I tedeschi sono scesi e sono riuscita a vedere quanti sono: eravamo circondate. Ci dicevano di scendere – «Raus, raus!». Abbiamo visto dei camion che si avvicinavano al treno, carichi di soldati tedeschi e cani pastore tedeschi (tanti cani). C’era un camion pieno di cibo (zuppa di cavoli e patate e del pane di segale). Ci hanno passato delle scodelle e, mentre ci avvicinavamo al camion del cibo, ho guardato verso la coda del treno e ho visto due vagoni pieni di ebrei. A loro non è permesso scendere: gli sportelli delle loro carrozze sono sprangati con pesanti sbarre di metallo e i soldati tedeschi gli fanno la guardia. Ho visto anziani, donne, bambini e anche qualche neonato. Ci imploravano di dargli un po’ di pane con le loro mani magre (quasi scheletriche) che spuntavano fuori tra le sbarre. Ho fatto per andare là con il mio cibo, ma appena mi sono avvicinata, un soldato tedesco mi ha urlato contro, ordinandomi di tornare indietro, altrimenti mi avrebbe sparato se avessi osato avanzare ancora.

VAGONI SEPARATI • I prigionieri ebrei, diretti ai campi di sterminio, viaggiavano nello stesso treno ma in vagoni separati dalle donne sovietiche dirette ai campi di lavoro forzato. I nazisti permettevano alle russe di uscire dai vagoni, andare nel bosco a fare i propri bisogni e mangiare. Questi privilegi, però, non erano concessi agli ebrei.

9 agosto 1942 – tarda serata Quando siamo risaliti sul vagone (carrozza 8) e il treno ha ripreso a muoversi, abbiamo creduto di essere di nuovo in viaggio ma, dopo quindici minuti, si è fermato di nuovo. Tre camion pieni di ebrei si sono avvicinati al treno e i tedeschi li hanno caricati nelle prime due carrozze. Erano abbastanza vicini perché potessimo sentire i bambini urlare, le donne lamentarsi e piangere. Spesso risuonavano degli spari. Oh! Quelle urla e quei pianti! E i cani… ce n’erano così tanti. C’era una gran confusione e ho capito che anche noi eravamo prigioniere e che non c’era assolutamente alcun modo per scappare, come mamma aveva progettato di fare una volta arrivate a Kiev.

10 agosto 1942 Stiamo uscendo dall’Ucraina e il treno va veloce. Non dimenticherò mai la vista dell’ultimo tramonto mentre lasciavamo Kiev. Il sole sembrava un’enorme palla di fuoco rosso e arancione e scendeva lento verso l’orizzonte, alla fine dei campi sconfinati. Era quasi come se stesse dicendo: «Addio, mia cara: non ci rincontreremo mai più in questa terra!». E mentre me ne stavo lì vicino alla porta del vagone, ho continuato a guardarlo finché non è scomparso del tutto. Poi all’improvviso mi sono sentita triste e sola. Era un “addio” che mi ha fatto provare la sensazione che una parte di me fosse morta. Ci sono stati tanti altri tramonti e albe, ma nessuno mai così bello come il tramonto a Kiev.

«CI SONO STATI… ALBE» • In alcuni punti è difficile distinguere ciò che Nonna può aver scritto durante o subito dopo la guerra da ciò che ha aggiunto in seguito ai suoi manoscritti. In questo capitolo, sta traducendo quasi esclusivamente i diari, ma questo commento particolare riflette il suo sguardo a ritroso dalla prospettiva di fine secolo. Ora so che ci stiamo dirigendo in Polonia e mamma inizia a prepararsi per scappare non appena faremo la prima fermata. La prossima fermata è per il pasto. Strisceremo sotto il vagone e aspetteremo che siano state tutte caricate, quindi sbucheremo fuori veloci e correremo verso i boschi. Mamma si sta preparando.”

tratto da: Nonna Bannister con Denise George e Carolyn Tomlin Il mio diario segreto dell’Olocausto

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