Acque del Bosforo Acque del Piave: Un Thriller sullo sfondo del Vajont – Elsa Zambonini

Acque del Bosforo Acque del Piave – L’archetipo di Caino e Abele, dove Abele è una sorella scomparsa. E poi c’è Isabella anche lei svanita nel nulla quarant’anni prima. C’è un legame fra le due sparizioni? Lisa si trova a confrontarsi con questo dilemma quando Caino decide di nascondersi in casa sua. La protagonista (di Lo stivale d’oro di Istanbul e di Istanbul – il viaggio sospeso) deve contemporaneamente misurarsi con le gioie, ma anche i molti dolori che il suo compagno, il turco Emre, le procura. Al nucleo thriller si interseca un tessuto narrativo incentrato su fratellanze e genitorialità difficili e sofferte, legittime e illegittime di una madre e di un padre non accettati dai rispettivi figli che a loro volta sono lacerati da sentimenti contrastanti fra loro. Sullo sfondo della vicenda, scura e inquietante, incombe la diga del Vajont con una rinnovata narrazione di sventura.

 

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Recensione a cura di Claudia Renzi

Il romanzo di Elsa Zambonini Durul inizia, come nella migliore tradizione del racconto giallo, con una lettera rinvenuta fortuitamente:
Il foglio mi cade di mano. Non è possibile. Quindi mio nonno aveva avuto una figlia fuori dal matrimonio, anche se la lettera sosterrebbe che lui non ci ha messo poi eccessivo impegno nel chiamarla al mondo. Questa Isabella sarebbe stata quindi… sarebbe, sorella…stra di mia madre e quindi mia zia. Ziastra non l’ho mai sentito dire.

La scoperta mette in subbuglio le certezze di Lisa, protagonista de “Acque del Piave”, romanzo intimo eppure corale narrato in prima persona, che rinviene il documento nel doppiofondo di un baule nella casa avita, ereditata da defunto nonno. L’ambientazione esotica, lirica e malinconica ad un tempo – siamo in Turchia – fa da sfondo anche ad un altro mistero: la scomparsa in Italia della giovane nipote Emma e l’incriminazione, a ruota, del fratello minore di lei, Andrea, che ripara in Turchia per chiedere aiuto alla zia Lisa.
Due indagini parallele, dunque, creano il ritmo del romanzo: la ricerca della bambina “perduta” e della giovane nipote scomparsa. Ma, mentre per la seconda tutto si risolverà bene, per la prima non si può dire altrettanto.
La misteriosa zia della lettera, che Lisa vuole a tutti i costi ritrovare, porta infatti alla conoscenza della sua non facile vita: un padre che non l’aveva riconosciuta e una madre sola che l’aveva dovuta lasciare troppo presto, dopo averla portata in Italia, nel disastro del Vajont alle cui vittime è dedicato il romanzo:
La bimba sparì, non so dove fu portata, ma la malattia non fece in tempo a portar via Silvana perché ci pensò prima l’acqua. Il suo cadavere fu trovato incagliato in un’ansa del fiume a Borgo Piave, a Belluno, dove la furia della piena lo aveva trasportato. 
Intricate e complicatissime dinamiche familiari sono snocciolate dall’autrice con uno stile a tratti aulico, molto attento al dettaglio e dalle descrizioni ben riuscite.
Guardo il Topkapi. Già il serraglio, quella gabbia dorata in cui erano imprigionati occhi scuri, capelli biondi e neri, carni sode e sfiorite e sogni proibiti di libertà. Era un luogo in cui gli omicidi abbondavano, molti principini erano stati uccisi per evitare che si avvicinassero al trono. Chissà se le madri avevano cercato di deviare l’arma omicida con il loro corpo: coltelli, pugnali, spade, o armi da fuoco che fossero. 

La zia perduta viene ritrovata quando è già troppo tardi: era morta anni prima, e Lisa apprende, nella ricerca, la lezione del perdonare per poter andare avanti con la propria vita.

Ma d’un tratto il mistero di Isabella, la zia sconosciuta, si tinge di nero. Alcuni operai, nel corso dei lavori di ristrutturazione della casa, rinvengono una sorta di testamento di un giovane uomo, uno spasimante della giovane Isabella, che narra le sue ultime ore di vita:

Tutto il giorno vegliò la morta disperandosi e chiedendosi cosa fare. Aveva un amico che gli doveva dei favori e pertanto verso sera lo chiamò, gli disse di non fargli tante domande, e gli chiese di aiutarlo a seppellire Isabella. Quella notte misero il povero corpo nel portabagagli dell’auto e si diressero verso Erto. Si fermarono accanto a quella diga che aveva sterminato la sua intera famiglia materna e là interrarono i miseri resti.
Il rinvenimento getta una luce sinistra su cosa le fosse realmente accaduto: nulla è come sembra.
Un innocente, ingiustamente sospettato, sarà scagionato e la sfortunata bambina perduta sarà infine degnamente sepolta con il cognome di quella famiglia che non aveva saputo accoglierla in vita.

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