Alfonsina e la strada di Simona Baldelli

Nel 1924 il Giro d’Italia rischia va di non partire. Gli organizzatori non erano in grado di far fronte alle richieste economiche delle squadre e queste risposero con una diserzione in massa. Celebri campioni come Girardengo, Brunero, Bottecchia non avrebbero gareggiato; gli atleti dovevano iscriversi a titolo personale e la corsa rischiava di passare inosservata, con grave danno per gli sponsor. Occorreva qualcosa di eclatante, e si decise di accogliere la richiesta di una donna di trentatré anni che insisteva da tempo per partecipare. Si trattava di Alfonsina Strada, aveva già affrontato due Giri di Lombardia. Il tracciato della competizione attraversava la penisola per oltre 3.000 chilometri, gli iscritti furono 108, al via se ne presentarono novanta, e fra questi c’era Alfonsina. Solo in trenta completarono la gara. Il romanzo racconta la sua storia, dai tempi duri e affamati di Fossamarcia, nei pressi di Bologna dove nacque nel 1891, fino al 13 settembre del 1959, giorno della sua morte. In mezzo ci sono due guerre mondiali, la Marcia su Roma cui prese par te uno dei suoi fratelli, e poi D’Annunzio che le regalò una stella d’oro, Mussolini che volle darle un’onorificenza da lei mai ritirata, una medaglia che la zarina Alessandra le appuntò personalmente al petto. E gli anni passati a esibirsi nei circhi d’Europa e due matrimoni, il primo a 14 anni, l’unico modo per andar via di casa perché i genitori le volevano impedire di gareggiare. Il giovane marito era Luigi Strada, di professione meccanico, uomo dalla psicologia molto fragile. Le offrì un amore sincero, lei ne mantenne per sempre il cognome. Dalla povertà alla fama all’oblio, Alfonsina è stata una pioniera della parificazione tra sport maschile e femminile. Simona Baldelli ha trovato lo sguardo e la voce per trasformare la sua epopea in un romanzo attento alle verità della Storia e sensibile alle sfumature dei sentimenti, creativo nella struttura e libero di intrecciare i fatti concreti con l’invenzione necessaria al gesto letterario. Accade allora che nelle sue pagine Alfonsina prenda vita e ci mostri, nella scoperta di un’impresa faticosissima e anticipatrice, il ritratto di una donna che mai volle porsi dei limiti.

  • Editore ‏ : ‎ Sellerio Editore Palermo (29 aprile 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 320 pagine

Recensione a cura di Paola Nevola

Ci tengo molto a parlare del meraviglioso romanzo di Simona Baldelli  dedicato ad Alfonsina Strada,  la prima e l’unica donna a partecipare al Giro D’Italia, una pioniera della parità di sport tra uomini e donne, ciclista professionista, per me amante dello sport  immensa, un mito.

Le donne anche in campo sportivo hanno dovuto lottare e Alfonsina è un esempio di coloro che si sono scontrate contro pregiudizi, discriminazioni, umiliazioni e scherno. Realizzare il suo sogno è costato fatica, tantissima fatica, più di quella degli uomini, dolore fisico,  fino allo stremo, fino a superare i suoi limiti, non ha mai mollato anche quando tutto sembrava perduto.

Si è scontrata con le convenzioni che volevano la donna mogie e madre, ma la sua passione e la sua determinazione erano la sua essenza, non poteva che essere sé stessa. 

Alfonsina nasce nel 1891 in una famiglia povera, anzi nella miseria, in quelle case di corte dove una famiglia viveva in una stanza. Nella casa a Fossamarcia in una zona paludosa e malsana per Alfonsina la vita era grama; il padre Carlo Morini e la madre Virginia Marchesini per arrotondare prendevano in affido bambini piccoli dal brefotrofio che morivano presto di malattia, le malattie dell’epoca, degli indigenti, pellagra, tifo, consunzione. Alfonsina li chiamava i suoi morticini e anche per loro lottava per uscire da quel buco, per dare un senso a quelle vite non vissute a quegli occhi che di notte  vedeva intorno al suo letto. 

Il padre riesce a portare a casa una bicicletta, per Alfonsina è attrazione fatale. Furtivamente esce la notte per imparare a pedalare e in seguito a correre, osserva i ciclisti e li emula cercando di superarsi ogni volta, approfitta per allenarsi con la scusa di recarsi al lavoro in un paese vicino.

Di nascosto, quando era ancora una giovinetta sedicenne, col pretesto della messa partecipa ad alcune gare ciclistiche con solo uomini riuscendo a vincere un maialino, che i Morini pareva guardassero il Bambinello nella mangiatoia. Inizia a capire che la bicicletta può essere il suo mezzo di riscatto e dare un senso alla sua vita,  di ciò che vuole essere, “una corridora”.

I genitori e i fratelli si vergognavano della strana di casa e non perdevano occasione per prenderla in giro e marcare la differenza fra lei e loro. Era matta, una mela marcia di cui ridere fra le mura di casa e provare imbarazzo in pubblico. E Alfonsina non ne poteva più”

La famiglia  fa intervenire il parroco con una bella reprimenda, non si era mai vista una donna in bicicletta ed era fonte di turbamento, con i calzoncini e seduta su quella sella, in quella posizione, a dimenare i fianchi. Veniva definita una poco di buono, una che si metteva in mostra.

…Non commettere atti impuri. La bicicletta conduce all’onanismo. (masturbazione, peccato per pratica anticoncezionale)

Decide di sposarsi per allontanarsi dalla famiglia con Luigi Strada, suo grande sostenitore e manager e come regalo di nozze, provate a indovinare! Una bellissima bicicletta da corsa.

“Dalla strada si era levata una nuvola di polvere, odorosa di sudore, grinta, voglia di vittoria. Aspirò a pieni polmoni. Madonna santa non c’era un odore più buono.”

Alfonsina partecipa a molte corse e due giri di Lombardia, quando poi nel 1924 tenta di partecipare al Giro D’Italia ne ha bisogno, il marito si trova in manicomio e ha problemi economici per pagare le rette.

Si reca alla Gazzetta dello Sport dagli organizzatori, molte squadre con corridori famosi (Girardengo, Brunero, Bottecchia) pretendevano compensi economici elevati e al rifiuto degli organizzatori hanno rinunciato alla corsa. Alfonsina viene ammessa più per risonanza mediatica, altrimenti senza i grandi nomi Il Giro sarebbe passato inosservato.  Nonostante molte polemiche Alfonsina è al via col pettorale n. 72,  in un’impresa durissima per doversi confrontare con gli uomini in gara e con se stessa.

Dovete pensare che il Giro allora era tutt’altra cosa, incidenti e forature (i ciclisti non avevano supporto, i copertoni si riparavano con ago e filo al momento, non c’erano barrette energetiche nella sacca, ma uova e cotolette), vi era solidarietà tra corridori, ma non per Alfonsina in quanto donna. 

Erano solo a metà della prima tappa e già speravano di essersela levata di torno, e invece lei gli aveva fatto il dispetto. Un po’ le facevano pena e, se riusciva a separare il dolore dai ricordi, le facevano pena anche il padre, i fratelli e tutti coloro che l’avevano sempre trattata come una pezza da piedi, con quella fissazione di andare oltre il seminato, superare il confine del ruolo di donna, non rassegnarsi ad essere solo una costola. 

Poveretti, per sentirsi superiori a qualcuno, Alfonsina o chiunque facesse di testa sua, avevano bisogno di insultarlo,  svalutarlo. A lei pareva vero il contrario. Più loro si sforzavano di sminuirla più le sembravano piccini. La sfida era arrivare più in alto, mica spingere gli altri più in basso.

Nonostante tutto riesce ad ottenere risultati migliori di alcuni uomini, hanno iniziato a guardarla con rispetto, il rispetto che si deve ad un atleta professionista, quando dopo un incidente giunge al traguardo, in notevole ritardo, con un manico di scopa al posto del manubrio.  

Riscuote un grande successo, all’arrivo delle tappe fiori e ovazioni, viene acclamata come La regina della Pedivella e Re Vittorio Emanuele III si presenta con un mazzo di rose e un sostanzioso riconoscimento economico. In seguito si esibisce a Parigi e in un viaggio in Russia riceve una medaglia perfino dallo Zar Nicola II, toccante la riflessione e la mestizia che coglie nello sguardo di Aleksandra e le principesse. 

Simona Baldelli ha una penna elegante e fluida, fa vibrare le corde dell’emozione con l’autenticità del suo stile e del racconto. Con il suo romanzo si apre una finestra sul primo novecento italiano, sui caratteri socioculturali (a tratti ricorda l’albero degli zoccoli) e anche sul mondo con in mezzo le due guerre. 

Soprattutto conosciamo Alfonsina, una donna eccezionale, coraggiosa, che con la sua umiltà, dignità e determinazione ha dato una svolta al mondo sportivo e non solo, ha dato un esempio alle donne soggiogate dai limiti imposti dalla società. 

1959 Allora capì. Non c’entrava niente chi lei fosse; a creare stupore e ilarità era il fatto che una donna in maglietta e calzoncini, sola, facesse merenda in un prato in mezzo ai maschi in attesa dei corridori… Alfonsina non sapeva se sentirsi mortificata o arrabbiata. Come poteva crescere il movimento femminile se l’andazzo era ancora quello?

Penso che ancora oggi ci sia da migliorare l’andazzo…

Lei col suo caschetto a bebè  in pantaloncini e maglietta è un inno allo sport, allo sport femminile, alle imprese sportive che mettono di fronte ai propri limiti fisici e mentali, un inno a chi vede oltre l’orizzonte e guarda alla Luna.  Tutto questo è così vitale! E come per Simona Baldelli  non smette di emozionarmi.

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.