Alla luce del mattino – di Ann Moore (Autore), C. Brovelli (Traduttore)

È un giorno del 1850. Il sole non è ancora sorto quando Gracelin O’Malley scruta la baia di San Francisco alla ricerca degli alberi maestosi dell’Eliza J, la nave del capitano Peter Reinders, l’uomo buono e gentile che da Liverpool l’aveva condotta negli Stati Uniti. Durante gli anni trascorsi a New York, Grace era stata sul punto di cedere alla proposta di matrimonio del capitano. Ma i sentimenti per Morgan McDonagh, il suo secondo marito sposato in segreto all’alba di una nebbiosa giornata irlandese e sparito per sempre pochi istanti dopo, l’avevano dissuasa dal farlo. Senza prospettive e con due bambini di cui prendersi cura, Grace è ora decisa ad acconsentire al matrimonio. Il capitano Reinders, però, ha levato le vele da tempo e nessuno sa quando farà ritorno a San Francisco. Sola, in una città sconosciuta e popolata di bande malavitose, soldati disillusi e giocatori d’azzardo professionisti, Grace è costretta a condividere la misera vita degli immigrati nei bassifondi della città: corpi sudici ammassati in stanze minuscole e buie. La giovane irlandese non cede, tuttavia, allo sconforto, e si mette alacremente alla ricerca di qualche famiglia cristiana e di così buon cuore da affittarle un alloggio decente per tirare avanti fino a quando non troverà un impiego. A salvare lei e i suoi figli da un oscuro destino è il provvidenziale intervento del dottor Wakefield, uno dei medici più influenti della città, che offre alla donna un lavoro da cuoca nella sua tenuta sulla collina. Gracelin accetta, ignara della intricata rete di ricatti e tradimenti in cui, suo malgrado, si troverà invischiata. Ignara, soprattutto, del fatto che Morgan McDonagh è non soltanto ancora vivo, ma pienamente determinato a trovare il modo di raggiungerla…

Copertina flessibile: 432 pagine
Editore: BEAT (2 maggio 2019)
Collana: Superbeat
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8865596104
ISBN-13: 978-8865596104

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Recensione a cura di Alice Ortega

– La “foresta di vascelli” che verosimilmente accolse la protagonista al suo arrivo nella Baia di San Francisco in uno scatto, un daguerrotipo per la precisione, di William Shew realizzato intorn al 1852. Molte navi erano quelle su cui erano arrivati i cercatori d’oro che una volta sbarcati non ne avevano più bisogno, e i capitani non trovando un carico da riportare indietro che giustificasse la spesa del viaggio preferivano abbandonarle e spesso cercare anche loro fortuna con l’oro.

Ebbene, vi dico subito che questa é una recensione un pochino zoppa, perché “Alla luce del mattino” é il terzo tomo di una corposa trilogia ambientata tra l’Irlanda e gli Stati Uniti, in un periodo storico molto travagliato. La vicenda, iniziata con il primo volume, aveva infatti preso il via nel 1844: appena prima dell’inizio della Grande Carestia che afflisse a lungo l’isola a causa di un parassita delle patate (una delle principali colture locali), in seguito alla quale la popolazione calò drasticamente sia a causa dei decessi che perché la gente partiva per l’America in cerca di fortuna. Per salvare dalla rovina la sua famiglia, la protagonista, giovanissima, sposa un ricco proprietario terriero inglese che presto si rivelerà un uomo violento e arrogante, che disprezza gli irlandesi come sua moglie e che le renderà la vita un inferno.
Grace vedrà i primi moti della lotta irlandese contro il dominio inglese; rimasta vedova, sposerà in segreto il suo secondo marito (un patriota irlandese a pieno titolo impegnato nella lotta di liberazione) e fuggirà in America. All’inizio del terzo volume, nel 1850, la troviamo a San Francisco, sullo sfondo della grande Corsa all’Oro: vedova per la seconda volta (giacché nul

– San Francisco come doveva apparire intorno al 1850, con quei curiosi edifici ricavati dalle navi che furono completamente distrutti da spaventosi incendi.

la sapeva del marito, dato per morto nelle galere inglesi dopo essere caduto in mano al nemico) e accompagnata da due figli, è in cerca di Peter, un capitano di vascello con cui aveva vissuto parte delle sue rocambolesche ma anche drammatiche avventure per il quale nutre affetto, e che avrebbe promesso di sposarla appena si fossero ritrovati.
Pur senza voler anticipare nulla (o “spoilerare”, come si dice adesso) posso dire che le vicissitudini della nostra protagonista non sono finite: a cominciare dal fatto che la figlia maggiore si é ammalata durante il lungo viaggio che hanno dovuto sostenere per giungere in città. Tuttavia, proprio nell’ospedale dove le vengono prestate le prime cure incontrano due dei personaggi che aiuteranno la famigliola a costruirsi una vita dignitosa e a ritrovare la serenità ormai da tempo perduta: sorella Joseph, una religiosa irlandese e il Dottor Wakefield, medico di chiara fama in città e persona integerrima che sarà in pratica il mecenate di Grace e dei suoi figli.
La storia é molto interessante, i personaggi di questo romanzo corale sono tantissimi ma tutti affascinanti e ben delineati (non guasterebbe un elenco in appendice al libro), persone dal “forte sentire” che trasudano ora orgoglio per le loro origini, ora entusiasmo per il loro nuovo paese e la loro nuova vita, spesso una fede sincera ma soprattutto una grandissima fiducia nei legami familiari e amicali capaci di superare qualunque differenza di nazionalità, di colore della pelle, di credo, di genere…
Non é facile riassumere tutto quello che c’è in questo romanzo: ad esempio si coglie il rapporto particolare che si è creato tra gli irlandesi e gli Stati Uniti come loro patria d’adozione – che ancora oggi notiamo in tanti film e romanzi – e il modo in cui é nato; lo spirito irlandese; il crogiuolo di razze che doveva essere l’America dei pionieri, non ancora del tutto libera dallo schiavismo; incontriamo i mormoni; c’è anche il personaggio di un fotografo realmente esistito che ci fa capire cosa fosse la fotografia ai suoi albori… Insomma, per questo e altri motivi questo libro trasmette un grande entusiasmo e una grande determinazione soprattutto da parte della sua protagonista femminile ma non solo, perché l’intero romanzo é un’iniezione di forza e di incitamento alla lotta per la felicità: anche e soprattutto nel finale, in cui tanti sogni si avverano e tanta sofferenza viene ripagata con un destino luminoso. Forse é proprio quel mattino di luce di cui si parla nel titolo, che in originale é “’Til Morning Light” ovvero “Fino alla luce dell’alba, del mattino.”

“A che cosa brindiamo allora, amici?”
[…] “Alla felicità!” intervenne Livingstone entusiasta, sollevando anche lui il bicchiere. “E all’amore di una brava donna, al calore di un focolare e di una casa, alla gioia pura dei figli, e a…”
“Giuro su Dio che sei irlandese” borbottò Ogue, interrompendolo. E poi accostò il bicchiere agli altri. “Fate buon viaggio, ragazzi.”
Quinn esitò solo un momento, e poi li imitò. “A una nuova vita” disse sottovoce. “Se Dio vuole.”
Ogue gli mise una mano sulla spalla. “Vuole, vuole.”

Ho letto “Alla luce del mattino” pensando che fosse un unico volume: l’impressione era stata di spiegazioni che erano un po’ troppo sbrigative, troppa carne veniva messa al fuoco; e anche carne succulenta, sulla quale ci sarebbe stato molto altro da dire. Adesso sono consapevole che non era così e che era una mia lacuna dovuta alla mancata lettura degli altri due volumi: quindi decisamente consiglio la lettura cominciando dal primo capitolo, perché anche se viene spiegato tutto abbastanza bene si sente la mancanza di qualcosa ed é un peccato. Unico neo mi sono sembrate le descrizioni: ricche e affascinanti ma a volte un po’ troppo prolisse, anche se ammetto che l’aver letto il terzo volume per primo possa avermi fatto perdere il senso di alcuni riferimenti, almeno in parte; anche il finale appare forse un po’ “troppo perfetto” per una storia così drammatica: anche se è doveroso dire che calza a pennello e ci lascia con il sorriso sulle labbra, cosa per nulla spiacevole di questi tempi!

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