ARCHIMEDE IL MATEMATICO CHE SFIDO’ ROMA – FRANCESCO GRASSO

Recensione di Claudia Renzi

Siracusa, 75 a.c. Una coppia si aggira per una necropoli: il questore Marco Tullio, accompagnato dalla moglie Terenzia, cerca una stele ormai erosa dal tempo, e la trova. Su di essa si riesce a malapena a leggere lo spiazzante epitaffio che il discepolo Dinostrato ha dedicato molto tempo addietro al maestro Archimede. L’insolita dedica genera una serie di domande tra il visitatore e la moglie, e ciò da il là all’autore, con uno stile pulito, accattivante e virtuosissimo, a ripercorre a ritroso le vicende dell’assedio della flotta romana intenzionata a espugnare Siracusa, progetto ostacolato dall’ingegno di un solo uomo: Archimede. Come un gioco di scatole cinesi – un dialogo dentro l’altro, una scena dopo l’altra – la trama si dipana tornando indietro nel tempo, con il dialogo tra Marco Claudio Marcello, rappresentante di Roma, e Dinostrato, schiavo e discepolo del geniale pensatore, che ci raccontano la storia con la formula della conversazione evocativa di classica memoria. 

«Autorità di Roma?» Il prigioniero scosse la testa. «Il mio

padrone era a stento consapevole del vostro assedio. Non

credo distinguesse un miles romano da un oplite siracusano. 

O che gli interessasse capire la differenza.»

«Il più grande tesoro di questa città è l’ingegno di Archimede, lo sanno tutti. 

Intendevo aggiogare il tuo maestro al mio carro ed esibirlo come schiavo. 

Ma gli dèi hanno disposto altrimenti. 

Dovrò contentarmi di portare a Roma le sue opere.» [p. 13-14]

Dinostrato, su invito del romano, inizia la narrazione a partire dal suo arrivo in casa del grande matematico con un ruolo del tutto particolare: badare ai due diletti gatti di Archimede, Triangolo e Ellissi.

Il mio nuovo padrone era un uomo… be’, singolare […] Con i due gatti appariva a suo agio. 

Li intravedevo immobili, padrone e animali,
aria assente e sguardo perso, contro il muro imbiancato [p. 21]

Cogliendo il lui la scintilla di un potenziale, Archimede decide di istruire il giovane Dinostrato impartendogli lezioni già soltanto standogli vicino nella vita quotidiana: lo schiavo-discepolo affronterà i fantasmi del passato, conoscerà l’amore, il distacco, la perdita e il riscatto. 

Nel romanzo di Grasso è ripercorso anche il rapporto di amicizia tra Archimede e Gerone, il filosofo e il tiranno, con grande attenzione alla ricostruzione e veridicità storica. Emerge che Gerone impiegò saggiamente i consigli e l’ingegno del filosofo per scoraggiare il nemico tanto che, tra l’ammirazione e lo sconcerto dei romani, l’assedio di Siracusa durò circa due anni, dal 214 al 212 a.c.

Strabilianti, incredibili, futuristiche, le macchine che Archimede progettò erano talmente avanti rispetto ai tempi da risultare spesso irrealizzabili a livello pratico, come i celeberrimi specchi ustori con i quali avrebbe incendiato le navi della flotta romana, il cui effettivo uso è ormai ritenuto improbabile (tanto che le principali fonti – Livio, Polibio e Plutarco – non li menzionano) ma il loro semplice spauracchio bastò come deterrente per gli invasori. E poi gli “automata”, gli orologi ad acqua, la cosiddetta “vite di Archimede”, l’architronito (ripreso anche da Leonardo), le bilance per gli studi sull’equilibrio, lo sferisterio, le catapulte, gli argani e le carrucole… 

Mi aggiravo per la grande

sala, una fiaccola per mano, e pensavo che i cento occhi

del gigante Argo non sarebbero bastati a saziarmi di

tante meraviglie.  [p. 90]

Nello stallo dell’assedio, quando i nemici ricorsero al lancio di carcasse morte con l’intento di scatenare un’epidemia tra la popolazione affamata, Archimede propose soluzioni di buon senso che, adottate, produssero i risultati sperati e permisero alla popolazione di resistere. 

“Ogni problema ha la sua soluzione” sentenziava spesso

Archimede. Lui si riferiva alla matematica, ma credo parlasse

anche della vita. Ammesso che, per il mio maestro, tra

le due ci fosse differenza. [p. 127]

Alla morte di Gerone e alla conseguente ascesa del nipote Geronimo, le cose iniziarono a peggiorare e ben presto il nuovo, giovane, crudele e dissoluto tiranno fece la fine peggiore.

Il cerchio del romanzo si chiude, ma in realtà ricomincia, con il romano Marcello che concede al prigioniero Dinostrato di comporre la stele per il maestro, quella stessa stele che Marco Tullio e la moglie andranno cercando per la necropoli siracusana tempo dopo:

«Tu, greco, mi hai spiegato che il tuo padrone sognava

di insegnare agli uomini il culto dell’ordine, della verità,

dell’equilibrio universale. Che auspicava un mondo retto

non più dai capricci dei re, ma dalla comprensione delle

leggi naturali. Ebbene, la società che lui auspicava non è un ideale astratto; 

esiste già. E si chiama Roma.» [p. 225] 

In cambio della concessione il prigioniero spiegherà – forse – al nemico i segreti delle straordinarie invenzioni dell’amato ormai defunto padrone, regalando al lettore un viaggio piacevole e ricco di sorprese.

Preziosa anche la nota storica finale, a conclusione di una lettura dilettevole scritta senza spocchia eppure con grandissima erudizione che tocca, in alcuni momenti, punte di raffinata ironia.

 

 

Nel III secolo a.C. il Mediterraneo è lo scenario dello scontro tra le “grandi potenze” dell’epoca: Roma e Cartagine. In mezzo, chiave strategica per la vittoria, la Sicilia, con la sua polis più fiorente, Siracusa. Occupata da Roma dopo la Prima guerra punica, la città si è ribellata ai conquistatori e si è alleata con Annibale. A capo di poderose legioni e di una nutrita flotta, il console Marco Claudio Marcello si lancia alla riconquista di Siracusa, certo di ridurla alla resa in pochi giorni. Ma si sbaglia. A dargli filo da torcere è un anziano cittadino siracusano, un vecchio canuto con la mente persa in mondi tutti suoi: Archimede, uno dei più grandi geni mai esistiti. Matematico, fisico, ingegnere, nonostante l’età avanzata ideò e costruì un gran numero di sorprendenti macchine da guerra, che per oltre due anni, dal 214 al 212 a.C., riuscirono a fermare l’assedio romano. Ma il talento di quell’uomo straordinario è in grado di fermare la forza bellica dell’Urbe in piena ascesa?

A raccontarci la vicenda umana e intellettuale di Archimede – e insieme l’epopea della sua città in un momento cruciale della storia del Mediterraneo – è Dinostrato, schiavo e discepolo del Maestro, che gli sarà fedele fino alla morte. E oltre.

  • Peso articolo : 260 g

  • Copertina flessibile : 240 pagine

  • ISBN-10 : 8804725656

  • ISBN-13 : 978-8804725657

  • Dimensioni e/o peso : 14 x 1.9 x 21.5 cm

  • Editore : Mondadori (21 luglio 2020) Link d’acquisto

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2 Risposte a “ARCHIMEDE IL MATEMATICO CHE SFIDO’ ROMA – FRANCESCO GRASSO”

  1. Ho letto solo oggi la tua puntuale e dettagliata recensione del romanzo di Archimede. Ti ringrazio per il giudizio e per il tempo che hai voluto dedicarvi. Sono piacevolmente sorpreso dalla “grandissima erudizione” che mi attribuisci, si tratta in realtà solo di qualche ricerca su fonti facilmente accessibili. Grazie ancora. FG

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