BlogTour: Sofonisba. I ritratti dell’anima di Chiara Montani – La bottega dell’artista

Benvenuti, oggi Selene, assistente di Sofonisba Anguissola, ci accompagnerà alla scoperta di una bottega di artisti, pittori del ‘500. 

Grazie al blog Thriller Storici e dintorni per averci coinvolto in questa splendida avventura, abbiamo così avuto la possibilità di scoprire la storia di Sofonisba, una grande donna! Contro i più standardizzati canoni del tempo ha sfidato un mondo di uomini per portare avanti la sua passione. Chiara Montani in questo suo libro: “Sofonisba. I ritratti dell’anima” romanza una storia avvincente e tratteggia con maestria gli avvenimenti che hanno segnato la vita di questa donna, una pittrice con un’anima splendida.

Sono Selene, la mia signora, Sofonisba Anguissola, mi ha preso con sé e le sarò eternamente grata per questo, per avermi salvato da un avverso destino e reso la sua assistente.

Siamo nel ‘500 l’Europa vive un periodo di violenti contrasti sia politici che religiosi. L’arte, quella rinascimentale, si rifà ai grandi: Leonardo, Raffaello, Michelangelo. La tecnica, quella del disegno, si ispira alla natura, la pittura è in questo periodo un’arte vera e propria, rappresenta la libertà e molti fra i grandi potenti chiamano a corte i più rinomati artisti per farsi ritrarre. La cultura è cambiata, il vento del cambiamento, rispetto al periodo medioevale, ha rapportato la pittura, l’arte, al livello della poesia.

La mia signora si formò alla scuola di Bernardino Campi, il cui stile la influenzò decisamente portandola verso l’arte ritrattista. Sofonisba è stata sicuramente una delle figure di spicco dell’arte manieristica con particolare riguardo agli sguardi, ai drappeggi e alle pose quindi l’arte della “buona maniera”.

“Lo osservai mentre misurava a grandi passi il pavimento dello studio. In un angolo io ed Elena tacevamo attente, sedute in precario equilibrio su sgabelli troppo alti, dai cuscini color porpora. Per un attimo lasciai che i miei occhi rincorressero ogni particolare di quella stanza. Sul tavolo erano sparsi alla rinfusa vari tipi di pennelli, spatole, contenitori di ogni dimensione, strane sacche colorate, mortai, pestelli, tavolozze, un paio di busti in gesso, pezzi di carboncino neri e rossastri e parecchi rotoli di carta. Cavalletti piccoli e grandi, ognuno con la propria tela, erano piazzati in vari punti dello studio, sempre accanto a una fonte di luce”

In realtà gli studi dei pittori cinquecenteschi non erano da considerarsi come luoghi in cui il pittore lavorava in solitudine, ma egli si avvaleva di aiutanti come lo fui io per la mia signora, mi occupavo proprio della preparazione dei pigmenti che sminuzzavo con l’aiuto di un mortaio. Gli aiutanti preparavano inoltre i fondali di dipinti a volte sin quasi al completamento che poi il maestro controllava dando il proprio benestare oppure migliorandone il risultato definitivo.

Dopo la macinatura dei pigmenti, per divenire utilizzabili gli stessi venivano diluiti nell’olio. I colori venivano poi messi in una tavolozza o in conchiglie marine ottime per contenere quantità limitate di colore.

“Ci mostrò dei fogli bianchi, dall’aspetto gassoso. “Carta tinta.. si prepara con la colla e polvere d’osso. Si può ottenere in vari colori, aggiungendo una punta di pigmento”. Sollevò poi un bastoncino scintillante. “Per disegnare useremo la punta d’argento. In alternativa ci sono anche il carboncino e la sanguigna, ma io preferisco questo metodo”

La punta d’argento può essere considerata l’antenato della vostra più moderna matita.
Un disegno realizzato in punta d’argento è davvero magico e affascinante perché dona con la sua impressione i tratti dell’epoca e si tratta di capolavori dalle linee fini.

I fogli su cui venivano realizzati venivano preparati con imprimitura di diversi colori. Il disegno in punta d’argento era inizialmente solo una bozza, uno schizzo preparatorio ma nella seconda metà del Quindicesimo secolo diviene opera a sé stante. Usavamo disegnare su pergamena lisciata con pietra pomice e frizionata con gesso o polvere di ossa. Veniva raccomandato per i principianti di usare una tavoletta di legno, impregnata con saliva e polvere di ossa.

“Avevamo imparato a preparare le tele con la colla e gesso sottile, per ottenere una superficie liscia e levigata. Il tono di fondo andava scelto con cura, in quanto donava un’impronta particolare alle successive stesure, sia che fosse grigio, giallastro rossiccio, bruno o che alcune parti fossero lasciate bianche per concentrare la massima luminosità”

Nella seconda metà del XV secolo inizia ad affermarsi la tela di lino o di canapa a Venezia e questo viene accettato a causa della facile deteriorabilità della pittura su tavola e perché permetteva di realizzare dipinti di varie dimensioni, anche molto grandi. Viene poi introdotto l’uso della tela su telaio che consentiva un uso migliore della tecnica della pittura ad olio, grazie anche al ricorso ad una imprimitura più leggera inoltre era più pratico spostare le tele e arrotolarle per il trasporto.

“Artefice di questa unione, l’olio amalgamava i pigmenti in un legame indissolubile, generatore di tutta la luce e la morbidezza. Quello di noce era più adatto per i toni chiari e quello di lino, che tende a ingiallire col tempo, per quelli più scuri”

Vi dicevo che ero io, in qualità di assistente, a preparare e pestare nel mortaio e ad amalgamare poi con olio i pigmenti ottenuti. Normalmente, ma non di regola, erano infatti gli apprendisti dei maestri pittori a preparare i colori.

La corretta macinazione del pigmento, supportata da un buon olio, offre un’alta concentrazione di pigmento, garantendo un elevato potere colorante. Inoltre le giuste quantità di olio/pigmento garantiscono la trasparenza od opacità relativa del pigmento. L’olio è un ottimo  legante e permette di ottenere effetti di luce altrimenti difficilmente raggiungibili. La pittura a olio su tela si afferma proprio nel XVI secolo. I colori garantiscono una maggiore e più lunga durata.

Si utilizzano  principalmente oli di lino, di noce, di papavero, ma anche essenze o oli essenziali (essenza di trementina, essenza di rosmarino). Queste essendo più costose vengono utilizzate come diluente e più adatte alle velature.
Il legante oleoso più utilizzato è l’olio di lino, utilizzato crudo nella preparazione e nella miscelazione dei colori. L’olio di lino cotto, che asciuga più rapidamente dell’olio di lino crudo è caratterizzato dal colore più intenso e dallo svantaggio di ingiallire sensibilmente.

“La polvere di vetro a base di cobalto era di un bel colore azzurro cupo che, mischiato con la biacca, dava vita a un delicato celeste. Era un po’ granuloso, ma era proprio quello che mi occorreva. Una eccessiva macinazione finiva però per alterarne i colori.”

I pigmenti, che ero solita preparare, e che si potevano acquistare presso gli speziali,  rappresentano la base di ogni tipo di pittura. Si distinguono fra pigmenti organici e inorganici.
Nelle tecniche storiche di pittura i colori minerali ne rappresentano il gruppo principale. Essi appartengono al gruppo dei pigmenti naturali inorganici.
Alcuni esempi:
Ocra, Terre Verdi, Terre Rosse. Minerali come il Lapis Lazuli, Malachite, Turchese e Cinabro sviluppano il loro spettro prezioso.
Il bianco si otteneva delle argille e dalle marne, ma anche da farine fossili e dalla cerussa (bianco di piombo o biacca). La stessa biacca si poteva ottenere immergendo nell’aceto lastre di piombo e farle macerare per 10 giorni si grattava poi la patina in superficie e si rimetteva a macerare il metallo. La raschiatura ottenuta veniva macinata e raffinata.
Per ottenere il nero si poteva tritare carbone oppure ossa di animali. Il verde si otteneva dalla malachite e da ossidi di metalli.
Il blu veniva steso a secco, cioè quando l’intonaco era ormai asciutto, mescolato con una materiale organico (albume d’uovo o colla animale) per fissarlo tenacemente alla superficie muraria. La motivazione era che purtroppo questo minerale, se sottoposto al processo di carbonatazione, virava ai toni verdi. La terra di Siena bruciata è un pigmento minerale inorganico naturale. Proviene da Siena, Roma, la Sicilia e la Germania e si ottiene dalla calcinazione della terra di Siena naturale.

La gamma è davvero molto vasta ma la mia signora riuscì almeno ad acquistare l’intera gamma delle terre.

“Impegnando buona parte dei miei gioielli, riuscii ad acquistare l’intera gamma delle terre, l’ocra, la biacca, l’orpimento, il giallorino e un po’ di verdeterra. Chiesi poi un pezzo di cinabro della qualità più pura, della lacca e dell’azzurrite, che avrei utilizzato per il cielo e per il mare”

Dimenticavo, prima di lasciarvi, di dirvi come eravamo soliti pulire i pennelli, li ammorbidivamo e pulivamo nell’olio di lino appendendoli per non sciuparne le setole.

Lasciamo ora la parola al blog: “Piume di carta” per la tappa di domani 29/03 dedicata a La condizione della donna nel ‘500.

 

 

 

 

 

 

 

 

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