Classe 1911: I sogni devono attendere – Martina Longhin

Il romanzo è ambientato nelle campagne veneziane. Siamo nel 1935, nel pieno ventennio fascista. Il protagonista è Luigi, classe 1911, un apprendista falegname, introverso, religioso, dai sani principi e con il sogno di aprire una falegnameria. Ma Mussolini ha altri progetti per lui, programmi che sconvolgeranno la vita del povero uomo. Il Duce brama “un posto al sole” e decide di conquistare l’Etiopia. Luigi è costretto a partire per il Paese africano, dove assisterà alle peggiori atrocità. Iniziano a farsi strada dei sentimenti che non gli appartengono e che lo spaventano: il rancore e la vendetta. Questi sentimenti, che si assopiscono al rientro in patria, tornano prepotenti quando ritrova un ex capomanipolo delle camicie nere incontrato in Africa, trasferitosi nel suo paese per lavorare. E le efferatezze che l’uomo perpetrava in Etiopia, continua a compierle nel veneziano come membro delle brigate nere, durante la Seconda guerra mondiale. Crudeltà, ingiustizie, patimenti, ma anche amicizia, solidarietà e amore, in un libro tratto da storie realmente accadute, in uno dei periodi più difficili del Ventesimo secolo.

  • Editore ‏ : ‎ Brè Edizioni (20 febbraio 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 313 pagine

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

Luigi vive nel litorale veneto, dove la sua famiglia si è trasferita nella speranza di sfuggire alla fame e alla miseria. Suo padre e i suoi fratelli si spaccano la schiena nei campi e anche lui dà una mano, ma sogna di diventare un bravo falegname e di avere un laboratorio tutto suo. Per imparare tutti i segreti del mestiere, lavora nella bottega di parón Piero.

 La vita di Luigi scorre tranquilla, tra casa e lavoro, fino all’arrivo di una cartolina: è il richiamo alle armi per tutti i nati nel 1911. Come tanti altri giovani, è costretto a mettere da parte i suoi sogni e a partire per l’Africa, alla conquista dell’Etiopia.

Alla stazione si stupisce dell’entusiasmo di quei giovani che, come lui, sono stati chiamati a servire la patria. I sentimenti che lui prova sono ben diversi…

“Era sopraffatto da una serie di sentimenti che ribollivano in lui come lava dentro a un vulcano: provava paura, per l’incertezza del futuro; tristezza, per dover lasciare la famiglia e la sua terra; rabbia, perché veniva depredato dei suoi sogni, del tempo e della gioventù per andare a combattere in un conflitto che proprio non sentiva suo.”

Sul treno per Nola, dove si trova il reggimento al quale è destinato, Luigi incontra una persona che diventerà un pezzo del suo cuore: Manlio. È veneto anche lui, ma non sembra avere molto altro in comune con Luigi. 

Luigi è riservato, di poche parole, un po’ burbero e poco socievole, forse anche a causa della sua famiglia, così fredda e dalla mentalità chiusa.

Manlio, al contrario, è socievole, chiacchierone e affronta la vita con il sorriso. Un sorriso che nessuna difficoltà e nessun problema riescono a spegnere. Lo farà la guerra, purtroppo. Nel tempo passato insieme, Manlio insegna a Luigi ad affrontare la vita in modo diverso, e Luigi gli insegna a scrivere, così che possa scrivere da solo le lettere a Cesarina, la ragazza che sogna di sposare.

Arriva il giorno di lasciare Nola e di salire e bordo del “Toscana”, il piroscafo progettato per duecento passeggeri ma destinato a portarne in Africa duemila, ammassati come bestie. È un viaggio lungo ed estenuante quello per l’Africa.

All’arrivo, Luigi rimane colpito da quella terra, dalla sua vegetazione, dagli animali esotici e dai tramonti spettacolari, ma capisce presto che l’Africa è anche caldo afoso, di giorno, e freddo insopportabile, di notte, invasione di mosche e di pulci, scarsità di cibo e di acqua. Un vero inferno. Ma il vero inferno Luigi non l’ha ancora visto. Lo troverà in Etiopia.

 Per un uomo dall’animo sensibile come il suo è difficile riuscire a concepire il senso di quella guerra crudele, nella quale c’è chi uccide con gusto e senza nessuna pietà. Per Luigi tutti gli uomini sono creature di Dio e, quando guarda negli occhi quelle povere persone che altri chiamano “scimmioni”, prova rabbia e vergogna per ciò che il suo popolo sta facendo. Trova conforto nella preghiera, ma non può fare a meno di chiedersi perché Dio permetta quell’orrore.

Vorrebbe fuggire da quell’inferno, ma sa che non può ribellarsi. È costretto ad imbracciare il fucile e ad uccidere.

“Il cuore cominciò a battergli forte nel petto, in gola, nelle tempie. Strinse le palpebre, forte, come se il privarsi della vista potesse trasportarlo altrove. Poi l’ordine di dar fuoco.”

In Etiopia, Luigi perde un pezzo di cuore, ma in guerra non c’è tempo per il dolore. Bisogna rialzarsi e andare avanti, se si vuole uscirne vivi. A dargli forza, oltre alla fede, è la corrispondenza con Cesarina. Non l’ha mai vista, ma prova per lei un sentimento che non aveva mai provato prima.

Quando, finalmente, arriva il momento di ritornare a casa. Luigi lascia in Africa il caldo afoso, le pulci, la malaria, l’odore dei cadaveri e della polvere da sparo, ma in quella terra lascia anche qualcosa di importante… un pezzo del suo cuore… Manlio.

La vita continuerà a mettere a dura prova Luigi, vissuto in un periodo storico particolarmente buio per l’Italia (e non solo): quello del secondo decennio della dittatura fascista. Un regime che Luigi non approverà mai. Collaborerà, sebbene marginalmente, con la Resistenza.

Nelle difficoltà e nei momenti di dolore, troverà la forza nella famiglia che ha costruito con Cesarina, nei buoni amici, e nella fede, che non perderà mai, nemmeno quando il suo Dio sembrerà sordo alle sue preghiere disperate. 

A quarant’anni, Luigi porta tutti i segni delle privazioni e degli eventi dolorosi che ha vissuto, ma si sente un uomo fortunato, perché ha una famiglia che lo ama, ma anche perché è sfuggito miracolosamente alla morte per ben tre volte. Si chiede spesso perché lui sia ancora vivo, e altre persone a lui care, invece, non lo sono più da tempo, e ripensa alle parole del medico che lo operò in Etiopia…

“Non so quale Santo tu abbia come amico lassù, ma deve essere un pezzo grosso.”

Ora può, finalmente, realizzare il sogno della sua vita, per troppo tempo chiuso nel cassetto: avere una falegnameria tutta sua. Quel sogno non deve più attendere.

“Classe 1911” è una testimonianza preziosa; di quelle che bisognerebbe far leggere ai ragazzi delle scuole superiori per capire realmente che cosa fu il Fascismo e a quali abomini portò. Dal racconto e dalla corposa bibliografia finale, si evince un notevole lavoro di ricerca. L’autrice ha ricostruito in modo chiaro e dettagliato, senza mai appesantire la narrazione, i principali fatti storici vissuti da Luigi, personaggio realmente esistito: la guerra in Etiopia e gli avvenimenti internazionali e locali legati alla Seconda Guerra Mondiale, come lo Scoppio di Tre Ponti, dal quale Luigi si salvò per una fortunata “coincidenza”, ma nel quale persero la vita suo cugino Giuseppe e la sua famiglia.

L’autrice alterna momenti drammatici, dei quali non ci vengono risparmiati i dettagli più crudi, a momenti più leggeri e ironici che permettono al lettore di riprendere fiato. Le scene descritte sono vivide, e i dialoghi sono spontanei e genuini, grazie anche all’uso del dialetto (con traduzione a piè di pagina). 

La storia di Luigi è scritta in modo semplice e coinvolgente, e arriva dritta al cuore. Ci si affeziona a quel giovane veneto dal carattere schivo e con una sensibilità tanto rara da trovare, così come a Manlio, la cui presenza aleggia tra le pagine fino alla fine, nonostante l’assenza fisica. Per motivi personali, la storia di questa amicizia così forte e vera mi ha commossa fino alle lacrime, cosa che non mi capita spesso. Martina Longhin ha fatto un dono prezioso a noi lettori nel condividere la storia di Luigi, e avrei voluto che fosse ancora in vita per poter fare una chiacchierata con lui ed esprimergli tutta la mia ammirazione. Spero che il pensiero gli arrivi, ed arrivi anche a Manlio. 

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