DONNE DEL MEDIOEVO: UN PERCORSO TRA PENSIERO COMUNE E RICOSTRUZIONE STORICA

a cura di Luca Varinelli

Nei miei precedenti articoli pubblicati su questa pagina ho cercato di sfatare alcune delle dicerie più famose, purtroppo in larga parte false, sull’ “età di mezzo”, e di dipingere un quadro di tale periodo storico più fedele ai dati in nostro possesso. Oggi ci immergeremo nuovamente nei meandri della Storia, stavolta per comprendere la situazione delle donne nel corso del Medioevo e di chiarire più in genere quale fosse il modo in cui il sesso femminile era concepito e rappresentato.

Quando pensiamo al Medioevo sorge spesso alla mente l’idea di un’età pessima per chi nasceva donna, cosa possiamo dire per introdurre un discorso in merito?

Il Medioevo è passato ai posteri per l’appunto come un’età misogina. Quando si tratta un argomento storico, soprattutto di così larga portata, è bene trovare dei punti di riferimento, che fungano da margini di paragone; dobbiamo dunque chiederci in che modo in altre epoche storiche fosse considerato un particolare soggetto o una particolare situazione. Di solito quando si parla di Medioevo il raffronto avviene con l’Età antica, in particolare con la storia romana: è preconcetto diffuso che la donna dell’antica Roma godesse di più diritti rispetto alla donna del Medioevo; tale assunto può ritenersi del tutto aprioristico, oltre che errato.

Sia la società del Medioevo occidentale che la società romana erano società che potremmo definire patriarcali, “maschiliste” se proprio vogliamo usare il termine. più inappropriato sarebbe indicare tali società come “misogine”: il fatto che una società sia patriarcale, o maschilista, in qualsiasi modo la si voglia chiamare, non è sufficiente a farci pensare che in tale società sia comune disprezzare il sesso femminile.    

Tale punto di partenza è di per sé buono, ma il discorso potrebbe essere ampliato ulteriormente: di solito quando si parla di età medievale, si pensa all’occidentale di religione cristiana, ma potremmo chiederci quale fosse la condizione della donna nell’Oriente islamico, oppure nella Cina del Gran Khan. Non risulta infatti che in tali civiltà ritenute unanimamente progredite la situazione della donna fosse di molto migliore, anzi, non ci sorprenderebbe scoprire il contrario. 

La donna romana non era dunque equiparata all’uomo? 

Nemmeno lontanamente. Chiaro che tanto la storia di Roma quanto il Medioevo coprono periodi lunghissimi, di circa mille anni ciascuno, quindi è impossibile non pensare che in entrambe le epoche ci siano stati dei cambiamenti  anche nella condizione della donna. Infatti molto spesso l’errore che si commette è proprio quello di pensare al Medioevo come ad un’epoca di immobilità sociale e tecnologica, invece che come un’epoca ricca di trasformazioni. Percorrere tutta la serie di mutamenti in poche pagine sarà impossibile, ma ciò che tenteremo di fare è di lanciare degli “input”, che spingano alla riflessione.    

Nel corso della storia dell’antica Roma la figura della donna si arricchì di alcune prerogative, quelle che chiameremmo in maniera generica “libertà” (nelle azioni, nei costumi, nelle relazioni, etc), tuttavia non si devono confondere tali libertà con diritti fondamentali della persona umana. L’impero romano fu sin dall’origine e rimase improntato per tutta la sua storia su un modello sociale patriarcale in cui la donna valeva molto poco: solo gli individui maschi avevano capacità di diritto pubblico, alle donne era cioè precluso ricoprire ogni posizione di potere; tutti, maschi e femmine, erano sottoposti sotto il profilo del diritto privato al paterfamilias, l’individuo di sesso maschile ancora in vita nella linea di successione.  

Non accadeva di rado che le figlie femmine, parimenti ai figli nati deformi, fossero sottoposte appena nate all’expositio: il paterfamilias decideva cioè di non accettare la neonata nel nucleo famigliare, dunque ella veniva condannata ad essere abbandonata e moriva inevitabilmente di stenti. 

La situazione della donna nel Medioevo ebbe degli oggettivi miglioramenti: anche se non si arrivò mai all’annullamento del modello patriarcale, cioè ad una piena emancipazione della donna e ad un’equiparazione della stessa all’uomo, il Medioevo è stato descritto dagli storici come l’età storica in cui tale emancipazione raggiunse un livello mai visto prima nella società. 

Si sente spesso parlare di “donna-oggetto” con riferimento alla donna medievale. È corretta questa idea?

Prima di descrivere la condizione della donna nel Medioevo urge fare un’ulteriore precisazione. Quando si parla di “schiavitù” con riferimento al mondo antico si usa fare riferimento non ad una generica condizione di subordinazione, ma ad un vero e proprio status giuridico: lo status giuridico di chi, per l’appunto, non solo non è libero, ma è trattato come un bene di consumo. 

Detto questo, possiamo affermare che la donna libera, sia nell’Età antica che nel Medioevo non era vista come un oggetto, ma come un soggetto di diritto, ossia come individuo dotato di diritti oltre che di doveri. Questa asserzione però, soprattutto sul primo versante, quello “romano” non è condivisa da tutti gli studiosi (il parere del celebre giurista Robert Villers è apertamente discorde); per trovare un giusto compromesso possiamo dire così: nel mondo romano la capacità giuridica della donna è talmente compressa, da sembrare quasi una mera estensione della sfera giuridica del capofamiglia. La donna dell’antica Roma, come voleva una legge antichissima, doveva infatti essere costantemente sottoposta a tutela, ossia subordinata all’autorità di un uomo; nel Medioevo si scorge invece, soprattutto nella vedovanza, una maggiore autonomia riconosciuta alla donna, la quale è riconosciuta in grado di compiere le azioni più svariate, quali ad esempio la stipula di contratti validi.   

Anche l’immagine della donna segregata in casa è più vicina al mondo romano che a quello medievale: nel Medioevo vediamo donne impegnate nelle mansioni più svariate, quali ad esempio il lavoro nei campi o nelle botteghe commerciali.  

La società medievale dunque non discriminava le donne? 

Parlare di discriminazione è rischioso, perché implica una proiezione del nostro modo di ragionare, impostato su alcuni valori della civiltà odierna, consacrati nelle carte costituzionali dell’Occidente di oggi, in un passato in cui si ragionava diversamente. Sicuramente il Medioevo non fu un’epoca egualitaria nemmeno sotto il profilo dei sessi, tuttavia ciò non ci deve indurre a pensare che la donna fosse relegata alle mansioni più infime. Possiamo partire dal presupposto che la civiltà medievale si articolava in ruoli in cui gli uomini e le donne facevano cose diverse: lo storico Alessandro Barbero, nelle sue conferenze sul Medioevo, ha più volte espresso questo concetto ricordando come Dante in occasione del funerale del padre di beatrice sia stato scacciato dalla casa di quest’ultimo proprio dalle donne al grido di “lascia piangere noi!”. Tutto questo ci porta a pensare che una serie di mestieri e mansioni fosse tipicamente riservata alle donne; d’altro canto però non possiamo non pensare che le donne del Medioevo siano state talvolta coinvolte in mestieri tipicamente maschili: non mancarono donne medico come Trotula da Ruggero, o addirittura donne filosofo. Risulta addirittura emblematico che la prima femminista della storia, Cristina da Pizzano, sia nata e vissuta proprio nel Medioevo. La vicenda di quest’ultima è veramente emblematica: rimasta vedova in giovane età, Cristina ha potuto governare e mantenere la famiglia da sola, cosa che sarebbe stata impossibile nel mondo romano. 

Quale fu lo stacco con il passato? 

Se donne medico e donne filosofo possono essere rintracciate anche nella storia antica, non si può dire lo stesso per le donne al potere. Se guardiamo con attenzione alla storia romana, ci accorgiamo della vistosa assenza di figure femminili di rilievo nel mondo politico. Ciò non significa che l’impero romano non conobbe mai delle abili leader politiche, ciò che dobbiamo considerare è però come tali leader rappresentino in realtà delle figure negative per gli antichi romani: Cleopatra, Zenobia, Boudicca erano tutte nemiche dell’impero e difficilmente un autore latino avrebbe dispensato elogi nei confronti di queste donne. 

Alcune famose matrone, come Agrippina o Galla Placidia, ebbero un certo potere politico solo grazie all’influenza che avevano nei confronti degli imperatori loro figli, ad ogni modo non esercitarono mai il potere in nome proprio. 

La situazione nel Medioevo fu radicalmente diversa; in quest’epoca troviamo numerose figure femminili di spicco anche nel panorama politico: nobildonne, regine, badesse, e in sporadici casi perfino condottiere. 

Non c’era una demonizzazione della donna?

L’idea di una donna demonizzata prende piede da una serie di considerazioni profondamente sbagliate riguardanti l’epoca medievale. In primo luogo vi è l’idea di un’epoca di repressione, non solo dal punto di vista scientifico e intellettuale, ma anche sessuale, un’epoca in cui i normali bisogni umani erano considerati dalle istituzioni, specialmente dalle istituzioni religiose, come un qualcosa da combattere ad ogni costo; da tale idea è facile trarre le somme: se il sesso diviene qualcosa di “diabolico”, verrebbe spontaneo demonizzare l’oggetto del desiderio. Tutto ciò nel Medioevo non avvenne: gli storici riconoscono che il Medioevo fu un’epoca in cui la sessualità fu molto poco repressa: il sesso era visto come una cosa di tutti i giorni e veniva inquadrato nelle normali relazioni umane. Per i canonisti medievali una relazione non adulterina condotta al di fuori del matrimonio costituisce al più un peccato veniale, ossia riparabile attraverso la semplice confessione e penitenza. 

Da tali premesse si potrebbero indagare i molteplici modi in cui la società medievale è accusata di aver oppresso le donne: dalla cintura di castità, considerato l’emblema dell’oppressione femminile, in realtà strumento mai esistito nel Medioevo, alla teoria della “donna senz’anima”, completamente smentita da una delle più grandi medieviste del nostro secolo, Regine Pernoud.

Se da un lato lo svilimento della donna in una società potrebbe prendere le mosse dalla demonizzazione della sessualità, dall’altro lato lo stesso potrebbe quasi paradossalmente concretizzarsi in quella medesima società con una vera e propria oppressione sessuale: sotto questo profilo, è ancora viva nella mente di alcuni l’idea che nel Medioevo fosse praticato lo ius primae noctis, paragonabile a tutti gli effetti ad uno stupro legalizzato. Se scorriamo pagine e pagine di notizie scritte dai medievali circa la loro epoca ci accorgiamo che non esiste traccia di questa pratica.        

Quindi possiamo affermare che non solo le donne non ricevevano più biasimo degli uomini, ma anche che certe condotte sessuali non fossero sanzionate?

C’è un modo particolarmente bizzarro di dipingere il Medioevo che non mi stancherò mai di proporre, proprio perché lo trovo estremamente divertente: è l’idea che in ogni villaggio Medievale vi fosse un inquisitore e che dietro ogni angolo vi fosse una spia dell’inquisitore, pronta a riferire se uno diceva o faceva cose ritenute non consone per la morale dell’epoca. Sarebbe stato dunque sufficiente uno scambio di sguardi appassionati tra messer Dante e madama Beatrice perché i due fossero subito condotti a processo e sottoposti a tortura. Ovviamente le cose non stavano così: gli inquisitori erano pochi e certamente l’Inquisizione non si occupava delle tresche amorose delle persone.     

Le condotte di natura sessuale rientravano al più nell’ambito dei peccati veniali, ossia di quei peccati meno gravi e facilmente riparabili attraverso i sacramenti. Diverso era il caso dell’adulterio, che non costituiva solo un peccato ma un crimine punito severamente: di esso si occupavano i tribunali secolari. 

Era il diritto romano a costituire la base normativa che sanzionava l’infedeltà coniugale; ricordiamo la celebre frase di Marco Porcio Catone: «[…] se sorprendi tua moglie in adulterio puoi ucciderla senza esser punito in giudizio; se sei stato tu a commettere adulterio, che ella non osi toccarti con un dito, non ne ha diritto».  L’uomo era dunque considerato adultero solo se intratteneva una relazione con una donna sposata.  

C’è da dire però che anche il motivo dell’adulterio, un po’ come accade oggigiorno, costituisce uno dei temi della letteratura di intrattenimento comune nel Medioevo: ricordiamo le novelle del Boccaccio o gli scritti di alcuni poeti francesi.  

La caccia alle streghe non fu quindi un esempio di “misoginia medievale”?

La caccia alle streghe è un fenomeno che purtroppo ebbe effettivamente luogo nella nostra storia, ma non fu affatto un fenomeno peculiare del Medioevo: il numero di donne giustiziate con l’accusa di stregoneria in epoca medievale fu esiguo. Volendo però approfondire il discorso, possiamo fare tutta una serie di considerazioni: in primo luogo i tribunali inquisitoriali che si susseguirono sin dal Medioevo perseguirono prevalentemente i delitti di eresia, e giustiziati per questo motivo furono prevalentemente individui di sesso maschile. Quindi se la caccia alle streghe vide effettivamente nella maggior parte delle vittime degli esponenti del sesso femminile, la maggioranza assoluta delle condanne emesse da suddetti tribunali vede prevalere come vittime gli uomini. In secondo luogo, ritengo personalmente che le donne processate e condannate per stregoneria non furono bruciate in quanto donne, ma furono bruciate in quanto streghe, o meglio, in quanto ritenute tali. Il fatto cioè che ad essere additate come streghe fossero in prevalenza donne può essere cioè ricondotto ad un equivoco di natura fattuale più che ad una misoginia endemica nel tessuto sociale: semplicemente ad esercitare particolari mestieri come quello di levatrice erano le donne, era dunque sufficiente che un parto andasse male per innescare delle dicerie.  

Oggi esiste il divorzio; allora non c’era però rimedio per i maltrattamenti familiari: come veniva affrontata la questione?

Il tema dei maltrattamenti e degli abusi familiari costituisce un tema delicato per il semplice fatto che non è sempre possibile stabilire ciò che accadeva all’interno delle case; resta dunque il sospetto, difficile da dissipare ma allo stesso tempo da confermare che la questione non venisse affatto affrontata, e che i soggetti di sesso femminile in una famiglia fossero costretti a subire ogni sorta di soprusi. A discapito di ciò è da tenere in considerazione la notevole mole di fonti (verbali, disquisizioni, etc) attestanti vicende giudiziarie; tali vicende indicano che non sempre le donne dell’epoca erano così passive e remissive come si è soliti pensare. 

Sicuramente non esisteva il divorzio, e il matrimonio non affetto da vizi era indissolubile: unica causa ammessa di scioglimento del negozio giuridico assimilabile all’odierno divorzio era quella del “matrimonio rato e non consumato”. Tuttavia esisteva una forma di separazione personale, che poteva essere pronunciata per un tempo stabilito o anche in perpetuo da un tribunale ecclesiastico in determinate ipotesi come l’adulterio o il maltrattamento.  

Vigeva in famiglia lo ius corrigendi: anche tale diritto era retaggio del mondo romano, in cui il paterfamilias era legittimato a punire non solo la moglie, ma anche i figli, i discendenti e i servi. Nel Medioevo l’esercizio di tale facoltà subì però notevoli limitazioni, venendo talvolta preferito il rimprovero verbale. 

E che dire dei matrimoni combinati e della monacazione forzata?

I matrimoni combinati costituiscono una prassi antichissima, utilizzata da determinate famiglie nobili o altolocate per salvaguardare determinati interessi. Ricordiamo che il matrimonio nel mondo antico avveniva solitamente con la cessione della donna alla famiglia del marito. Con l’avvento del cristianesimo vi fu un miglioramento almeno “sulla carta”: la Chiesa cattolica introdusse il requisito del consenso della sposa per la validità del matrimonio; tuttavia i matrimoni combinati continuarono ad essere praticati lungo tutto il Medioevo e anche oltre. Da specificare però che la prassi in esame può essere considerata uno svilimento della persona, privata della facoltà di scelta, indipendentemente dal sesso della persona stessa: di solito i matrimoni venivano organizzati quando entrambi i nubendi erano giovanissimi, e nessuno dei due avrebbe potuto opporsi al volere della famiglia. 

La monacazione è un discorso che offre spunti assai più interessanti: se da un lato la monacazione forzata fu una pratica effettivamente in voga, dall’altro prendere i voti rappresentava un’occasione per sottrarsi ad un futuro matrimonio. Inoltre conventi e monasteri rappresentavano una sorta di comunità autogestite dai propri membri, oltre ad essere pressoché l’unico luogo in cui una donna poteva ricevere un’istruzione. 

Da ultimo non si può non far notare come i c.d. “doppi monasteri”, che ospitavano cioè, in strutture separate, uomini e donne, potessero essere sottoposti tanto all’autorità di un abate quanto a quella di una badessa.  

Si può dunque affermare che l’istruzione fosse quasi esclusivamente riservata all’uomo?

Di fatto sì, ma bisogna considerare che ancora nel basso Medioevo, un’epoca in cui fiorivano le Università, la cultura non era comunque un fenomeno allargato: molti uomini, anche fra i nobili, erano pressoché analfabeti. Ciò può essere forse ricondotto ad un pragmatismo proprio dell’età medievale: compito fondamentale del nobile era addestrarsi all’uso delle armi; leggere e scrivere era più una mansione da chierico; non a caso anche fra le donne scrittrici del periodo una buona parte sono badesse. 

Come sempre però bisogna fare molto attenzione prima di ragionare per assoluti: il Medioevo infatti è un’epoca che nasconde spesso delle sorprese, e non è raro scoprire che in un mondo che ci pare impostato su schemi rigidi potessero applicarsi delle vistose eccezioni. Un esempio estremamente interessante in questo senso è contenuto nella miniatura di una Bibbia molto antica, in cui ci viene mostrato san Girolamo che insegna ai suoi discepoli, tra questi anche alcune donne, e tutti intenti a prendere appunti.    

La Chiesa medievale non aveva motivo per discriminare la donna?

Si può dire che la Chiesa del Medioevo, inserita nella società e nella cultura medievale, in parte erede della cultura classica, non avesse più motivi di discriminare la donna di quanti ne avesse la società medievale nella sua interezza. Sappiamo anche che all’inizio la Chiesa ammise esponenti di sesso femminile nelle sue gerarchie, le c.d. “diaconesse”. Successivamente, perso il privilegio di accedere al sacerdozio, la donna mantenne comunque la sua centralità nella figura della Chiesa soprattutto per quanto concerne gli esempi di santità. Non si trattava, si badi bene, di una concezione della donna sottomessa: ricordiamo infatti che nella maggior parte delle raffigurazioni medievali la S. Vergine appare vestita con tutte le insegne regali. 

A trovare una grande diffusione nel 1200 fu anche il culto della Maddalena che divenne simbolo della Chiesa penitente. 

Se riflettiamo sui santi vissuti all’epoca e pensiamo a Giovanna d’Arco che guida eserciti in battaglia e a Caterina da Siena che scrive lettere al papa muovendo pesanti rimproveri ai cardinali corrotti ci viene difficile pensare a donne sottomesse. 

È sorprendente notare come sul versante del diritto canonico, ed in particolar modo del processo ecclesiastico, si assista ad un fenomeno di graduale e tendenziale equiparazione dell’uomo e della donna. 

Questo atteggiamento non si pose però come un fenomeno nuovo, ma affondava le proprie radici direttamente nella patristica cristiana, la quale se da un lato giustificava la tradizionale disparità di trattamento tra uomo o donna dall’altro, in maniera quasi paradossale, ne assottigliava notevolmente le differenze. 

PER APPROFONDIRE:

La donna al tempo delle cattedrali, di Regine Pernoud;

Il Medioevo raccontato da Jacques Le goff, di Jacques Le Goff;

Donne, madonne, mercanti e cavalieri, di Alessandro Barbero;

Donne al potere, le regine nell’alto Medioevo, di Cristina La Rocca;

L’uomo medievale,  di Jacques Le Goff;

Medioevo, un secolare pregiudizio, di Regine Pernoud;

La condizione giuridica della donna tra Medio Evo

ed Età Moderna: qualche riflessione, saggio di Giovanni Minnucci;

Medioevo al femminile, AA.VV., introduzione di Ferruccio Bertini;

La vita sessuale nel Medioevo, conferenza di Alessandro Barbero;

La falsità sulle donne del Medioevo, conferenza di Alessandro Barbero e Franco Cardini.

https://ilvarodelcapovaro.wordpress.com/
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