Ei fu. La morte di Napoleone di Vittorio Criscuolo

Trama. Napoleone morì il 5 maggio 1821 a Sant’Elena, isoletta sperduta nell’Atlantico dove gli inglesi lo avevano confinato sei anni prima. La notizia della sua morte giunse in Europa a luglio, suscitando vasta emozione e dando occasione a poesie, canzoni, opuscoli, stampe che celebravano la sua straordinaria vicenda. Il clima oscurantista della Restaurazione aveva riguadagnato molte simpatie allo sconfitto imperatore, ma poi il «Memoriale» pubblicato da Las Cases nel 1823 sulla base di riflessioni e ricordi di Napoleone, presentandolo come il difensore dei principi liberali e nazionali, ne rafforzò il mito che trovò la sua apoteosi nella grandiosa cerimonia del ritorno delle ceneri a Parigi nel 1840. A partire dal racconto dei giorni estremi di Napoleone a Sant’Elena, il volume segue la successiva costruzione della leggenda napoleonica che ha segnato nel profondo l’immaginario ben oltre l’Ottocento.

Recensione a cura di Claudia Renzi

Sembra che le ultime parole comprensibili siano state 

«alla testa dell’armata». Dopo una notte agitata, 

nel pomeriggio di sabato 5 maggio 1821 Napoleone 

esalò l’ultimo respiro. Il pendolo fu fermato alle 17 e 49 minuti, 

come si può vedere al Museo di Malmaison dove oggi si trova.

Uno degli aspetti della morte di Napoleone che più ha dato da scrivere agli storici è la causa. Di cosa è morto l’imperatore? Le illazioni si sono sprecate sin da subito e non è mancato chi, a distanza di anni, esaminando i suoi capelli, vi ha trovato dell’arsenico avvalorando così la tesi, sostenuta da molti ma finora mancante di prove incontrovertibili, dell’avvelenamento. 

Impossibile, per chi ha letto Il conte di Montecristo di Dumas, non pensare che, se Napoleone – come sperava – fosse riuscito a tornare dall’esilio di Sant’Elena, stavolta sarebbe rimasto davvero sul trono: nemmeno la prudenza dei suoi nemici, che dopo la breve restaurazione seguita alla fuga dall’Elba lo avevano confinato nella più lontana isoletta a largo delle coste africane, avrebbe potuto far nulla. Ma Napoleone, quella volta, fallì, stroncato a 51 anni forse non da una malattia naturale, ma da mano nemica. Ci fu perfino chi, non accontentandosi di questa spiegazione, ipotizzò la sostituzione del suo corpo con un altro (tesi ripresa anche in alcuni romanzi di successo): la verità è che non ci si rassegna alla morte prematura di una personalità tanto eccezionale, della fine terrena di un mito.

Il saggio di Criscuolo si legge in un soffio, forte di uno stile pulito eppure forbito, ricco di dati e notizie che si incamerano inconsapevolmente, incantati dalla maestria dell’autore. 

Dopo un esauriente excursus sulla vita di Napoleone durante l’ultimo esilio, con minuziose ricostruzioni della sua giornata, dei suoi impegni, delle sue abitudini sull’isola, a tenere alta l’attenzione del lettore è l’evento della prematura scomparsa e tutta la ridda di sentimenti che la notizia suscitò. Napoleone avrebbe voluto essere sepolto in Francia – lui, nato italiano, chiamato all’inizio della sua carriera dispregiativamente “l’italiano”, e che confessò: “Io sono italiano o toscano, piuttosto che còrso” – ma non fu accontentato. Non subito. Solo molti anni dopo quel 5 maggio 1821, scolpito nella memoria di qualsiasi alunno italiano dal fulminante incipit manzoniano che da anche il titolo al saggio di Criscuolo, la sua salma fu traslata a Parigi, e riposa oggi in un sarcofago porfido che nulla ha da invidiare in magnificenza a quelli romani cui s’ispira. 

Dietro precisa richiesta di Napoleone, si procedette, il 6 maggio, all’autopsia:

Lo stesso Napoleone glielo aveva chiesto prima di

morire: avendo intuito infatti dalla frequenza del vomito che

si trattava di un problema di stomaco, e sapendo che suo

padre era morto proprio di un cancro al piloro, voleva far

conoscere al figlio [Napoleone Francesco Giuseppe] la causa 

della propria morte affinché potesse premunirsi.

La preoccupazione dell’imperatore comunque vana: il suo delfino morì giovanissimo poco più di dieci anni dopo; e l’esame concluse in modo non del tutto chiaro – alcune scoperte erano di là da venire ancora – che Napoleone era morto per una non meglio precisata malattia allo stomaco (da sfatare la leggenda che avesse la mano infilata nel panciotto per un dolore cronico nella zona addominale). 

Giunto al luogo indicato per la sepoltura, che fu chiamato da allora «la

valle della tomba», il feretro fu posto in una profonda fossa,

ricoperta con tre pesanti lastre di pietra. Nessuna iscrizione

fu posta né sulla bara, né sulla lastra, in quanto non vi fu

accordo tra i francesi, che volevano scrivere «Napoléon», e

Lowe che invece preferiva «Napoléon Bonaparte».

Napoleone fece scrivere nel suo testamento – la cui adamantina disamina di Criscuolo è interessantissima – che moriva da cattolico, e il 1 maggio ricevette in effetti l’estrema unzione; molti però hanno sottolineato, al di là della facciata razionalista e del piglio militare, anche la profonda suggestione che Napoleone nutriva verso il soprannaturale e la superstizione – celebre l’episodio, ammantato di leggenda, della sua permanenza, da solo, nella Camera del Re nella grande piramide di Cheope a Giza, in una notte durante la Campagna d’Egitto: chi lo vide uscire da lì il mattino dopo ne sottolineò l’animo impressionato, se non sconvolto, e il totale silenzio dietro il quale si trincerò verso chiunque gli chiedesse cosa fosse successo, cosa avesse visto, ma questa è un’altra storia… 

La notizia della sua morte fu come uno tsunami – attonita la Terra al nunzio sta – sia che a riceverla fossero sostenitori che nemici, ma soprattutto suscitò profonda emozione nelle classi popolari, e non mancarono risvolti insoliti:

A Milano si registrarono numerose vincite al lotto 

per l’uscita di numeri legati all’evento, e nel popolino 

molti dissero che Napoleone anche da morto si rivelava 

amico della povera gente. […] A Roma lo zio di Napoleone, il cardinale Fesch,

comunicò la notizia alla madre, che era la sua sorellastra. 

I due erano stati a lungo convinti che Napoleone fosse riuscito 

miracolosamente a sottrarsi alla sua prigionia, portato via dagli 

angeli inviati dalla Madonna!

Nulla di ordinario poteva riguardare un uomo come Napoleone, dunque anche nell’occasione della sua morte, non potevano non verificarsi eventi parossistici. Quando tuttavia M.me Letizia, sua madre, comprese che era tutto vero, si chiuse nel suo dolore, così come la sorella più cara, Paolina, eternata come il fratello dal genio di Antonio Canova. 

La reazioni più osservate furono quelle della moglie Maria Luisa e del giovane figlio, che fu sinceramente colpito da un così precoce lutto: moriva presto, in esilio, e in modo allora sospetto, il suo mito ma, prima ancora, suo padre.

Adorato e demonizzato, tutto e il contrario di tutto, Napoleone non smise neanche dall’aldilà di suscitare profonde emozioni e molti iniziarono a rimpiangerlo:

A porre la figura di Napoleone in una luce nuova

contribuiva anche la sventura dell’esilio a Sant’Elena, che fu

visto come una forma di espiazione dei suoi errori e conferiva

alla sua figura, purificata, l’aureola del martirio.

Alla sua morte, il vero e proprio culto della persona di Napoleone, che già era in essere da quando era ancora sul trono, non fece che rafforzarsi, fino a diventare il mito che tutti oggi conosciamo e che, inesauribile, anziché spegnersi, continua ad alimentarsi e prosperare. Utili in tal senso gli scritti che lui stesso aveva avuto cura di dettare durante l’esilio, primo tra tutti il cd Memoriale di Las Cases:

Napoleone viene presentato nelle pagine del Memoriale

come «l’uomo della rivoluzione» […] Le guerre che aveva

 condotto non erano nate dalla smisurata ambizione di cui 

lo si accusava: il conflitto europeo era stato uno scontro 

senza quartiere fra il passato e l’avvenire, fra l’Europa 

di antico regime e i principi della rivoluzione, nel quale 

era stato necessario «abbattere per non essere abbattuti»

La parabola del còrso somiglia infine a quella di ogni uomo: anche il potere più incredibile si rivelava alla resa dei conti effimero, e nell’asprezza dell’esilio ebbe modo e maniera di meditare sulla mendace promessa della gloria, che 

si presenta dapprima come «un prisma abbagliante», 

poi come «uno specchio espiatorio, in cui la porpora sembra sangue». 

Contraddizioni e ambiguità hanno costellato le sue biografie, eppure a Napoleone va riconosciuto il merito di aver riportato l’ordine nel caos post rivoluzionario facendosi paladino dei principi liberali e nazionali ignorati nel congresso di Vienna. Già all’indomani della sua dipartita emerse il potente miraggio di un’epopea era destinata a suscitare una fiammata di spirito patriottico nei francesi e imprescindibile ammirazione in tutti gli altri, e nessuno, amico o avverso, può ignorare la sua figura.

Preziosa infine la bibliografia essenziale e, per i più appassionati, anche la segnalazione filmografica in appendice. 

  • Editore ‏ : ‎ Il Mulino (8 aprile 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 232 pagine
  • Link d’acquisto
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