Giallo siciliano a cura di di Roberto Mistretta

Quindici racconti gialli ambientati negli scenari mozzafiato della Sicilia, scritti da quindici autori siciliani doc. Fra delitti, indagini e misteri, il lettore potrà compiere uno straordinario viaggio alla scoperta dei profumi più penetranti della Sicilia…

  • Editore ‏ : ‎ Delos Digital (31 maggio 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 326 pagine

Recensione a cura di Lia Fiore Angy

“Giallo siciliano” è un’antologia che racchiude quindici racconti gialli, scritti da diversi autori tutti siciliani.

Quindici racconti, dunque, molto diversi tra loro per lo stile e per la trama, ma che hanno tutti come protagonista indiscussa un’isola affascinante e misteriosa, “cantata dai poeti, abitata da ninfe e sirene, patria di eroi e di uomini coraggiosi”: la Sicilia.

Una terra ancora oggi vittima di tanti pregiudizi, che con la bellezza dei suoi paesaggi ammalia come una sirena incantatrice al cui canto è impossibile resistere… Le sue armi di seduzione sono i suoi colori, i suoi profumi e i suoi sapori.

Come si fa a resistere al richiamo dei cannoli o delle paste di mandorle appena sfornate??

Ognuno di questi racconti gialli ci porta alla scoperta di un pezzo di Sicilia: passiamo dalle catacombe di Termini Imerese, con le sue mummie che sembrano scrutarci vigili e ostili,  alle tortuose stradine del centro storico di Catania con i suoi palazzi “simili a vecchie dame in decadenza con nostalgiche pretese di nobiltà” e la vista sulla Montagna, l’Etna, reso ancora più suggestivo dalla prima neve di stagione. Facciamo sosta ad Acquaviva, con le fresche e rigeneranti acque del Platani e l’imponente e maestosa Torre civica. Qui, tra il 1912 e il 1913, visse Salvatore Quasimodo.

Visitiamo la frazione di Santa Tecla, un gioiellino con le sue casette giallo ocra incastonate sullo Ionio. Vediamo svettare la cupola azzurra dell’Annunziata, “che sembra aver rubato un pezzo di cielo”.

Proviamo qualche brivido, ma ne vale la pena per il panorama mozzafiato, nel percorrere la dorsale montuosa delle Madonìe.

Ogni angolo dell’Isola è un tripudio di colori e di sapori; ognuno di questi racconti è un viaggio che coinvolge i cinque sensi ed in particolar modo la vista, il gusto e l’olfatto…

I nostri occhi si perdono nel turchese e cobalto del mare, sono abbagliati dal giallo del famoso marmo giallo di Sicilia, che dà colore alle basiliche e ai palazzi signorili, ammirano lo spettacolo sublime dell’arancio che si tuffa nel blu al tramonto.

L’olfatto e il gusto sono stuzzicati dalle prelibatezze della cucina siciliana: la caponata di melanzane, i cannoli, i mustazzola, il gelo alla cannella, le arancine al ragù, la granita di mandorle o di gelsi, accompagnata dalla brioscia col tuppo. Da provare anche il rosolio al ficodindia.

Ho apprezzato quasi tutti i racconti. Le trame sono originali, ben costruite, e ricche di colpi di scena.

Alcuni li ho trovati particolarmente interessanti perché mi hanno fatto scoprire alcune leggende, tradizioni e usanze di questa terra, dove la componente rituale è molto presente anche nelle attività quotidiane, come la pesca. 

Nel racconto “La rezza”, di Simona Godano, ad esempio, si parla di un piccolo rito, dal quale si percepisce il rispetto che i pescatori hanno per il mare e per i pesci. 

“Dopo che la bestia si è dimenata e dissanguata, vicino all’orecchio si ci fa un graffio a forma di croce come segno di riguardo per come ha combattuto.”

“Ebbe l’impressione di assistere a una sorta di arcaica rappresentazione, a un rito magico e misterioso”.

Di ogni racconto ho apprezzato qualcosa, ma tre mi hanno colpita fra tutti.

Il primo è “Le scarpe del santo” di Giorgio Lupo.

L’ambientazione è davvero suggestiva: le catacombe di Sant’Orsola a Termini Imerese. Già questo basta per avere i brividi… L’agghiacciante delitto sembra essere collegato alla leggenda di Santu Baddaru, un sacerdote che in vita si recava dai poveri del quartiere per dare loro aiuto e conforto, e che, secondo numerose testimonianze, anche da morto avrebbe continuato ad aggirarsi tra le vie, sempre nella stessa notte dell’anno.

Il finale di questo racconto, del quale non svelo altro, offre diversi spunti di riflessione. È facile essere inflessibili quando il colpevole è qualcuno che non conosciamo, ma se fosse una persona a noi molto cara, mossa da un movente tutt’altro che futile, sarebbe altrettanto facile?

Non sempre la vittima è ‘il buono’ e il carnefice ‘il cattivo’… Anche altri racconti di questa antologia fanno riflettere su questo punto.

Il secondo racconto che maggiormente mi è piaciuto è “Cicerone e i delitti del papiro” di Annalisa Stancanelli. È ambientato a Siracusa nel 70 a.C. e ha per protagonista niente di meno che Cicerone, alle prese con il suo rivale Verre.

Uno strano sogno in cui la dea Minerva sembra voler avvertire il grande oratore di qualcosa; un macabro delitto; una misteriosa setta e un fiore particolare che sembra accomunare questi tre elementi: il cuore del papiro, un fiore che i  siracusani usano mangiare, ma solo una volta nella vita, perché può essere velenoso e mortale. Anche questo racconto, carico di mistero e di suggestioni, mi ha fatto conoscere una leggenda molto interessante, che riguarda la Fonte Aretusa.

“Antiche storie narravano di Alfeo che voleva la ninfa Aretusa, sacra a Diana, e che era stata dalla dea trasformata in fonte per preservarne la verginità. Lo spasimante si era fatto mutare in fiume e […] sgorgava proprio lì per congiungersi con la donna amata.”

Il terzo racconto che colloco su questo mio piccolo “podio” è “Villa scabrosa” di Maria Elisa Aloisi. Parla di una splendida villa, “Villa lava”, fatta costruire, come un’Araba fenice, sulle ceneri di Catania, distrutta dal terremoto. Questo angolo di paradiso, con i suoi meravigliosi giardini, diventa teatro di una torbida vicenda, che cambierà il nome della villa, assegnandole l’infame marchio di “Villa scabrosa”. Una giovane moglie condannata al patibolo per l’avvelenamento del marito e per adulterio… Ma sarà davvero lei la colpevole?

“Il pensiero di avvelenare si insinua nella mente, se ne impadronisce, la domina… Una coltellata, un colpo di pistola arrivano all’improvviso, nell’ira, nell’impeto. Il veleno no. Il veleno si usa per odio, un odio meditato, nutrito, stratificato.”

Siamo soliti pensare che i pericoli vengano sempre dall’esterno, dagli estranei, e non pensiamo mai che il male possa celarsi dietro un volto a noi familiare. Un altro punto su cui riflettere.

Tra i tantissimi protagonisti che popolano queste pagine ho trovato particolarmente interessante lo Zingaro, nato dalla penna di Antonino Genovese. Un reduce di guerra, che non crede più negli ideali di un tempo e che si sente vivo solo nelle sue notti di passione. Un animo sensibile nascosto da una spessa corazza. 

“Poi scoppia a piangere. Sono lacrime amare di madri, ne ho viste parecchie, versate su tombe senza nome. Questo no, non riesco a sopportarlo. La saluto veloce e forse appaio insensibile, ma non riesco a sentire il suono del pianto. Non più.”

Tra passioni, amori contrastati, inganni, tradimenti, ville maledette, passaggi segreti, storie di abusi, vecchi diari e manoscritti, leggendo questi racconti non ci si può di certo annoiare. Ogni autore ha reso omaggio alla propria terra, mostrandone luci e ombre, perché anche il posto più bello del mondo, per chi ha perso tutto e non ha più fiducia in niente, può diventare una “terra amara”, madre e matrigna.

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