Gli occhi delle barche

di trireme_marmo_Pireo_Atene

Le genti di mare hanno sempre percepito le proprie barche come dei mezzi di lavoro davvero speciali. Prodotto dell’ingegno umano al più alto livello, simbolo della sua affermazione sulla natura ostile del mare, metafora dell’ardire e dell’intelligenza con cui l’uomo arrivò a sfidare gli dèi, la nave, come la barca, era molto più di un semplice oggetto inanimato. Era qualcosa di simile a un membro della famiglia o del gruppo sociale, insomma era sentita come parte del clan, un “essere” con cui condividere la propria esistenza e da cui poteva dip

moneta cartaginese con prua di nave da guerra_coniata in Spagna_Asdrubale_228-221 aC

endere il proprio destino, nel bene e nel male. Per questo, dall’antichità fino a tempi molto recenti, i naviganti e i pescatori hanno attribuito alle imbarcazioni una proprietà che somigliava a un’anima e che, in qualche modo, conferiva loro una specie di soffio vitale.
Omero ricorda che le mitiche navi dei Feaci non avevano bisogno né di timoni né di timonieri, perché comprendevano il pensiero degli uomini e sapevano da sole dove dovevano andare. Dunque, se le barche e le navi hanno s

gozzo maltese_Malta_foto@stefanomedas

empre avuto questa sorta di anima, è naturale che abbiano sempre avuto anche gli occhi; perché gli occhi, come dicevano i filosofi antichi, sono le finestre dell’anima.
Tutta l’iconografia antica ci mostra le barche e le navi dotate di occhi ai lati della prua. Alcuni rinvenimenti archeologici sottomarini, inoltre, hanno restituito esemplari di veri e propri occhi di navi, costituiti da dischi di marmo che rappresentavano l’iride, su cui persistono ancora tracce di colore. Questi dischi venivano fissati ai masconi, cioè ai due lati della prua, e intorno ad essi, sul fasciame dello scafo, veniva dipinto il profilo dell’occhio. Dal Pireo, uno degli antichi porti di Atene, provengono invece occhi di marmo a profilo intero, probabilmente utilizzati sulle triremi del V secolo a.C., dunque su navi da guerra. Il loro significato è in ogni caso apotropaico. Gli occhi servivano alla barca per riconoscere la giusta rotta, per guardare avanti e scongiurare i tanti pericoli del mare, quindi per portare in salvo il suo equipaggio.
Questa tradizione affonda le sue radici nei sentimenti più profondi delle genti di mare, che sono rimasti gli stessi per secoli, anzi per millenni. Così ritroviamo barche con gli occhi nella recente marineria tradizionale, praticamente ai nostri giorni, in ogni mare del pianeta. Il trabaccolo dell’Adriatico è uno degli esempi più rappresentativi: con la sua prua dalle forme piene e i suoi grandi occhi rossi sembra un grande

modellino di nave da guerra VI-V sec aC

animale marino che scruta l’orizzonte lontano.
Da notare che gli occhi, soltanto dipinti o applicati sulla prua come elementi di marmo o di legno, non avevano alcuna funzionalità pratica. Un fatto singolare, che conferma l’importante valenza magica e apotropaica ad essi attribuita, considerando che a bordo delle barche e delle navi non vi era nulla che non fosse strettamente funzionale. Lo confermano i famosi inventari navali del Pireo, in cui sono menzionate tutte le attrezzature delle triremi che appartenevano alla flotta da guerra ateniese dell’epoca classica: gli unici elementi non destinati all’uso pratico, ma comunque inclusi nell’elenco, erano proprio gli ophthalmoi, appunto gli occhi.

a cura di Stefano Medas

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