I BAMBINI DEL MAESTRALE di A. Ossorio

1913, porto di Napoli. Attraccata all’imbarcadero, come se a trattenerla non fossero cavi o ancore, ma profonde radici abbarbicate al fondale, la Caracciolo, con i suoi tre alberi a vele quadre, simili a vestigia di un bosco sacro, incute timore e rispetto. Non tutte le navi possono vantare, come quel veliero, memorabili imprese e avventurose circumnavigazioni del globo. Il tempo delle battaglie cruente è, però, finito. La nave è in disarmo, destinata a una ultima, nobile battaglia: diventare una nave asilo per quei bambini, orfani o abbandonati dagli adulti, che vivono di furti ed elemosine per le strade di Napoli, dormendo sui marciapiedi, negli androni dei palazzi, nei sagrati delle chiese; ovunque vi sia un angolo buono per rincantucciarsi. Tredici di loro sono già a bordo, li chiamano i caracciolini e godono di un benessere superiore a ogni loro piú rosea aspettativa, con un letto e il mangiare garantiti ogni santo giorno. Sono affiorati da sottocoperta per venire a studiare l’intrusa, la donna nominata dal rappresentante del Ministero della Marina direttrice della nave asilo. Si chiama Giulia Civita Franceschi ed è pronta a raccogliere la sfida rappresentata da quel veliero, e a capovolgere una volta per tutte il destino di quel popolo infantile piegato dalla povertà e dall’abbandono. Destino che sembra, invece, inemendabile per Felice, il bambino che cerca ogni sera un angolo il piú possibile riparato dove dormire con gli occhi spalancati sul buio e il nome della madre sulla bocca. Storia di un esperimento educativo unico al mondo, durato quindici entusiasmanti anni e bruscamente interrotto dal regime fascista nel 1928, questo romanzo costituisce una splendida conferma del talento di Antonella Ossorio nel narrare di miseria e riscatto, crudeltà e amore nel paesaggio dell’infanzia abbandonata. 

  • Editore ‏ : ‎ Neri Pozza (20 giugno 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 384 pagine

Recensione a cura di Cinzia Cogni

“…Se non possiamo comandare al maestrale
in quale direzione e con quanta forza soffiare, abbiamo comunque facoltà di manovrare al nostro meglio le vele…”

Pensavo fosse solo un romanzo, non una storia vera. Pensavo di conoscere un po’ tutte le donne straordinarie del passato della nostra nazione, invece il nome Giulia Civita Franceschi, fino a oggi, mi era sconosciuto.
Possibile che le imprese e il coraggio di questa donna, soprannominata “la Montessori del mare” non trovano spazio nei libri di storia e siano cadute nell’oblio, a meno di un secolo di distanza?
Sono tante le domande che mi sono posta dopo aver letto “I bambini del maestrale ” di  Antonella Ossorio,  ho fatto pure una breve ricerca per verificare quanto la storia di Giulia Civita sia nota al di fuori di Napoli, la sua città natale, dove ha fondato un nuovo modello educativo dirigendo per diversi anni la Nave Asilo “Caracciolo”, salvando moltissime vite e cambiando il destino di tanti bambini…
Ebbene, il risultato è stato deludente, perfino su google le notizie scarseggiano, e per fortuna che ci sono alcune fotografie d’epoca di lei accanto ai bambini sulla nave, se no qualcuno potrebbe dubitarne.
Questo preambolo serve a sottolineare quanto la minuziosa ricerca di Antonella Ossorio che gli ha permesso di scrivere questo romanzo, sia un lavoro prezioso per far conoscere la storia di Giulia Civita e dei suoi  “scugnizzi”,  quei bambini  abbandonati dalle famiglie, costretti a vivere in strada tra furti ed espedienti vari, soggetti ad ogni tipo di violenza da adulti approfittatori.

“…erano migliaia. Senza una casa né qualcuno che se ne prendesse cura, esposti alle intemperie e a pericoli d’ogni sorta, dormivano sui marciapiedi, negli androni dei palazzi, sotto i portici di edifici pubblici, addossati alle cancellate tiepide delle cucine sotterranee dei ristoranti, nella galleria Umberto I, nei sagrati delle chiese, nei pressi della ferrovia … Molti di loro si radunavano in bande. Costretti a vivere di furti, elemosine e finanche di prostituzione, erano costantemente inseguiti dalla polizia…”

Il romanzo si svolge tra il 1913 e il 1928, gli anni in cui Giulia è al comando della Caracciolo, donata dal Ministero della Marina alla città e destinata a recuperare gli orfani che vivevano in strada.
Pian pianino, con una forza e determinazione fuori dal comune, questa donna riesce ad attuare dei cambiamenti nel sistema didattico e migliorare le condizioni di vita dei bambini che hanno avuto la fortuna di salire su quella nave.
Dopo i primi pregiudizi iniziali, anche gli altri insegnanti e i suoi collaboratori si lasciano contagiare dall’entusiasmo di Giulia tanto che la nave asilo diventerà una grande famiglia, per molti anni fiore all’occhiello della città ed esempio da seguire e imitare anche all’estero.

– … sono pronta a tutto per il bene dei piccoli che mi verranno affidati. Vento in poppa “caracciolini”, e via che si va. –
“Caracciolini? Brava, mi piace assai” esclamò Antonia.
Non era affatto secondario trovare un appellativo che definisse quei bambini nel passaggio da scugnizzi a individui recuperati a una vita degna. Le parole sono importanti a maggior ragione quando rappresentano un simbolo, una dichiarazione d’intenti, una bandiera.”

Con l’ascesa del fascismo però, le cose si complicano, cambiano gli ideali, le donne lavoratrici e indipendenti non sono ben viste, tanto che qualcuno al potere prende di mira Giulia Civita, arrivando a considerare una minaccia lei e il suo nuovo sistema pedagogico; in effetti non c’è niente di più pericoloso per una dittatura, di una donna che insegna ai giovani a pensare con la propria testa.
Ma le sue vicende drammatiche sono niente in confronto ai racconti di vita di alcuni dei piccoli protagonisti costretti a vivere nei quartieri più poveri e amalfamati di Napoli;  a fare la differenza per alcuni di questi bambini  è l’incontro con Don Viggiano,  il prete amico di Giulia che raccoglie i fanciulli più disperati e li porta sulla Caracciolo con la speranza di una nuova vita. Qui oltre ad imparare a scrivere, leggere e contare, gli viene insegnato un mestiere legato alla marineria, ma soprattutto imparano a stare insieme, a collaborare e al tempo stesso sviluppano autonomia e senso critico.

“… vidi venirci incontro una bella signora. Era la direttrice Giulia Civita, Ancora non potevo sapere che incontrarla mi aveva salvato la vita, eppure il suo sorriso mi riscaldò il cuore. Prima, per dirlo alla maniera dei marinai, io e i compagni miei non eravamo che piccole barche in balia della furia del maestrale. È solo grazie a lei se, per quanto forte possa soffiare il vento, stiamo imparando a cavalcare le onde.”

La rinascita ed il riscatto dei “caracciolini”  rende ancora più amara la condizione degli altri bambini rimasti a terra e a cui il destino sembra aver voltato le spalle; né è un esempio la storia drammatica di Felice che dimostra come crescere senza un minimo di calore umano, senza la fiducia e la speranza in sé stessi e negli altri, non può che avere conseguenze negative.
Non tutte le vicende raccontate sono veritiere, la fantasia dell’autrice ha colmato in parte i vuoti dovuti alla mancanza di informazioni soprattutto per quanto riguarda le vicissitudini dei piccoli protagonisti, mentre  la ricostruzione storica è impeccabile, così come la descrizione dei luoghi dove si svolgono i fatti, in una città, Napoli, che lascia stupiti e attoniti a causa delle sue svariate facce e per le sue contraddizioni.
Infine, a rendere più reale la storia, è l’utilizzo del dialetto napoletano nei dialoghi tra popolani, che non appessantisce la lettura, anzi, l’arricchisce.

“Degrado e magnificenza, miseria e splendore, più una quantità imprecisata di situazioni intermedie: Gesù, ma quante Napoli esistevano? E come diavolo aveva fatto a non accorgersene prima?”

Sono sempre molto grata agli autori e alle autrici, come Antonella Ossorio, che danno voce e anima a donne del passato troppo spesso dimenticate, romanzi come questo sono una memoria storica preziosa e non solamente per ciò che racconta, ma per la passione con cui è stato scritto, con uno stile crudo e poetico a seconda della situazione, che traspare in ogni pagina e riesce ad emozionare fino alla fine.

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