I discepoli del fuoco di Alfredo Colitto

Bologna, dicembre 1311. Mondino de’ Liuzzi, medico anatomista, viene incaricato dal podestà di far luce su una morte strana e orribile: un membro del Consiglio degli Anziani è stato rinvenuto carbonizzato in casa sua, eppure nella stanza nulla fa pensare a un incendio. Perfino la poltrona su cui l’uomo era seduto è rimasta quasi integra, mentre il corpo è bruciato in modo irregolare. I piedi sono illesi, un braccio è interamente ustionato, tutto il resto è ridotto in cenere. Mondino fa trasportare le spoglie nel suo studio per esaminarle. Non riesce a svelare la dinamica dei fatti, ma sollevando con il coltello da dissezione la pelle bruciata del braccio scopre i resti di un tatuaggio: un mostro alato, con la testa di leone e il corpo avvolto nelle spire di un serpente. La mattina seguente il cadavere scompare. Qualche tempo dopo, un frate francescano viene ritrovato morto nel quartiere dei bordelli. In tasca ha un disegno molto simile al tatuaggio individuato da Mondino. L’indagine sulle due vittime rivela l’esistenza di una setta di adoratori di Mithra, dio persiano del sole e del fuoco, venerato anche dai Romani sotto il nome di Sol Invictus. Con l’aiuto di Gerardo da Castelbretone, un ex Templare con cui ha stretto amicizia, Mondino viene a sapere che la setta ha un folle progetto per “salvare” l’anima dell’intera città… distruggendola con il fuoco purificatore.

  • Editore ‏ : ‎ Mondadori (12 aprile 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 464 pagine

Recensione a cura di Claudia Renzi

In questo secondo volume della fortunata saga che vede protagonista il medico Mondino de’ Liuzzi ritroviamo il magister alle prese con un nuovo intrigante enigma che viene a sconvolgere, e perfino a minacciare, la Bologna del 1312. Siamo infatti nell’anno successivo alle vicende di Cuore di ferro, e il medico si trova a dover esaminare il corpo di Bertrando Lamberti, stimato membro del Consiglio degli Anziani e, soprattutto, padre del suo acerrimo nemico Azzone. 

Sulla porta si stagliò la figura tozza di Taverna Tolomei, il nuovo podestà […]

Dietro di lui si intravedevano il capitano del popolo e i birri della scorta.

«Siete voi Mondino de’ Liuzzi?» chiese, senza preamboli. […] 

Il buon uomo è defunto in modo cruento e singolarissimo: carbonizzato in maniera apparentemente inspiegabile, pare aver preso fuoco assieme al suo faldistorio senza tuttavia coinvolgere nient’altro in tutta la stanza. Azzone Lamberti, che non ha mai perdonato a Mondino il non essere riuscito a salvare il suo unico figlio l’anno prima, non è in casa. È la bella Eleonora, seconda moglie di Azzone, a chiamarlo, assieme al nuovo podestà Taverna Tolomei. 

Contemplarono ciò che restava di Bertrando Lamberti. L’uomo era seduto […] 

Il braccio destro bruciato […] I femori, il bacino, la cavità addominale e il torace

erano un unico buco vuoto […] «La cosa più strana» disse, avvicinandosi alla poltrona

«è che il corpo è ridotto in cenere, ma il legno non è bruciato.» 

Alzò gli occhi a esaminare lo scaffale addossato alla parete, il tavolo con sopra 

un drappo di seta e una cassapanca lunga e stretta. Era tutto intatto, senza

neppure la più piccola bruciatura. «E in casa non si è scatenato un incendio» 

aggiunse, in tono meditativo.

Mondino accetta, sebbene riluttante, di prestare il proprio aiuto nella risoluzione del mistero nella quale lo affiancherà una vecchia conoscenza, il giovane mancato templare Gerardo da Castelbretone: al ragazzo il compito di reperire notizie su un altro misterioso fatto occorso quasi contemporaneamente al presunto delitto di Bertrando Lamberti, cioè la morte sospetta di un giovane e bel frate francescano rinvenuto esanime dalle parti del bordello di Pratello, la cui morte ha sconvolto il confratello Samuele, al quale il defunto aveva fatto un’allarmante confidenza: 

«Ieri in confessione sono venuto a sapere una cosa spaventosa» disse.

«Qualcuno vuole bruciare la città la notte di Natale. Una follia che può 

costare la vita a migliaia di innocenti.

Unico lascito del giovane francescano, un enigmatico biglietto con un altrettanto enigmatico disegno che ha, forse, a che fare con la musica. 

Samuele lo aprì tenendolo vicino alla candela, e Gerardo restò a bocca aperta.

«Dove lo avete preso?» chiese piano. Sul foglio c’era un disegno tracciato a carboncino.

Rappresentava un essere mostruoso, alato, con la testa di leone e il corpo avvolto 

nelle spire di un serpente. Dalle spire uscivano le mani del mostro, ciascuna con una 

grossa chiave stretta nel pugno.

Il vaso di Pandora che il medico e il suo allievo vanno a scoperchiare è molto più profondo di quanto non si creda, tanto che presto emerge un inaspettato collegamento con il culto di Mithra, la divinità pre-cristiana che alcuni cospiratori vogliono ripristinare in un delirio di onnipotenza e avversione alla dominante religione di Roma.

Dal corpo di quel toro sacrificale, diceva la dottrina, erano sgorgate 

tutte le piante benefiche per l’uomo. Dal midollo era nato il grano,

dal sangue la vite. Ahriman, il dio del male, aveva cercato di 

impedire il completarsi della trasformazione, ma invano. Il toro 

era asceso alla luna, dando origine a tutte le specie animali. E il ricordo 

di quella vittoria veniva festeggiato dai fedeli con il pasto rituale detto

agape. Anche l’agape, diceva il Pater, era stato copiato dai cristiani nella leggenda 

dell’ultima cena e nel sacramento della comunione.

A complicare le cose, l’incomprensibile furto dei resti del vecchio Lamberti. Cosa sta succedendo nella tranquilla Bologna? Cosa ha a che fare tutto ciò con la morte del suocero della dolce Eleonora? La donna, vittima da tempo della violenza domestica del marito, una volta che Azzone è rincasato informato del fatto che proprio lei ha chiesto il consulto di Mondino, il suo nemico, l’ha picchiata l’ennesima volta. Questo, e i trascorsi tra i due, portano a uno scontro finale tra Mondino e Azzone, durante il quale risolveranno una volta per tutte le loro questioni in sospeso, liberando al contempo la donna dal suo angoscioso giogo. Nel frattempo si fanno sempre più palesi i legami tra i Lamberti e i folli che vogliono attentare alla serenità della Dotta:

Era possibile che tutta la storia della grande purificazione dal male 

a cui sottoporre Bologna fosse solo il delirio di un folle?

I seguaci del “nuovo” culto di Mithra, di cui hanno distorto evidentemente senso e finalità – Mithra, come Cristo, è un dio associato al sole e alla rinascita – hanno infatti intenzione di purificare nel fuoco l’intera città di Bologna, così come il fuoco aveva, nel suo piccolo, “purificato” il povero vecchio padre Bertrando, loro accolito. Per farlo ricorreranno ad un’altra conoscenza antica, quella del leggendario fuoco greco, di cui pure si professano “discepoli”.

La purificazione finale era prevista per la notte tra il 24 e il 25 dicembre, 

la data in cui si festeggiava la nascita di Mithra dalla roccia, 

poi usurpata dai cristiani, che la chiamavano Natale. 

Alla notte fatidica mancavano appena quindici giorni.

Mondino e il giovane fido Gerardo riusciranno a sventare il pericolo che incombe su di loro? In un crescendo di colpi di scena Colitto licenzia un romanzo più corale del precedente, appena un po’ troppo corposo ma ugualmente ben leggibile, nel quale gioca sapientemente con dottrine e culti dell’epoca e anche più antichi, con una strizzatina d’occhio all’esoterismo che sempre dona quel qualcosa in più ai romanzi ambientati in epoche passate, soprattutto il Medioevo, che buio non pare proprio.

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