I patrioti di Sana Krasikov

Grandioso nell’incedere e intimo nei dettagli, appassionante saga familiare e minuzioso romanzo storico, I patrioti è una potente epopea trainata da una protagonista indimenticabile e orchestrata da una penna eccellente.

«I patrioti è un capolavoro. Il dottor Živago del nostro tempo». – Yann Martel, autore di Vita di Pi

«Come racconto intelligente e letterario delle relazioni tra la Russia e l’America del secolo scorso non ha eguali». – The Spectator

«I patrioti è una storia d’amore alla vecchia maniera: multigenerazionale, intercontinentale, carica di retroscena e ricerche storiche, si muove tra dettagli scrupolosi e panorami ampi, melodramma e satira, la Cleveland del 1933 e la Mosca del 2008». – The New York Times Book Review
La ventitreenne americana Florence Fein, figlia di genitori ebrei e nipote di una donna russa, è da sempre affascinata dal mondo sovietico. La Grande Depressione ha colpito gli Stati Uniti e lei, idealista e nauseata dalle contraddizioni del proprio paese, decide di lasciare New York per trasferirsi nella terra d’origine della nonna, inseguendo il sogno socialista e la promessa di un amore oltreoceano. Una volta giunta a destinazione, però, le speranze svaniscono una dopo l’altra, la ragazza si trova faccia a faccia con la brutalità di un regime sempre più opprimente e rimane presto bloccata in un paese da cui non può fuggire. Molti anni dopo, il figlio di Florence, Julian, emigra di nuovo verso gli Stati Uniti, anche se il suo lavoro nell’industria petrolifera lo porta frequentemente a Mosca. Gran parte della vita della madre gli è stata tenuta nascosta e, quando viene a sapere che il fascicolo del KGB su di lei è stato aperto, organizza un viaggio d’affari per scoprire tutta la verità. Ma il cerchio non si è ancora chiuso: per chiuderlo definitivamente Julian dovrà anche convincere suo figlio, l’ostinato Lenny, che nel frattempo sta cercando di fare fortuna nella spietata Russia di Putin, a tornare a casa. Lo stupefacente romanzo d’esordio di Sana Krasikov racconta le vicende di tre generazioni in bilico fra due continenti, intrappolate tra le forze della Storia e le conseguenze delle proprie scelte.

In commercio dal: 8 novembre 2022

Pagine: 788 p., Brossura

Editore: Fazi

Recensione a cura di Paola Nevola

I Patrioti di Sana Krasikov è un bel romanzo, molto interessante, una lettura che offre una prospettiva di vedute sulla rilevanza delle concezioni politiche, religiose, sociali ed economiche della Russia, ma anche una visione che si allarga al capitalismo e all’America. 

Attraversa un periodo storico che va dalla Grande Depressione americana nel 1934 e giunge fino alla Russia di Putin nel 2008, abbraccia diversi temi accompagnando a numerose riflessioni sul significato di patriottismo, sugli ideali e la libertà, sulle proprie radici e la famiglia, sono molti i passaggi che ho evidenziato e su cui mi sono soffermata. 

…non mi sono trovato a pensare a Solženicyn bensì a Vasilij Grossman… che per me aveva sintetizzato, meglio di chiunque altro, la patologia politica che affligge i russi: Il principio millenario dello sviluppo della cultura, della scienza e della potenza industriale russe tramite lo sviluppo della non-libertà dell’uomo – principio coltivato con zelo dalla Russia dei boiari, da Ivan il Terribile, da Pietro il Grande, da Caterina – ha raggiunto, sotto Stalin, il suo pieno trionfo.

La narrazione segue i protagonisti: Florence Fain, il figlio Julian e il nipote Leon e quindi si sposta in diversi periodi della storia che si interseca con le loro vite influenzandole e raccontando cos’ha significato e provocato.

Inizia nel’56 in una stazione quando un bambino si ricongiunge dopo anni di orfanotrofio, alcuni molto difficili, con la madre sopravvissuta ai campi di lavoro; Il luogo,  l’atmosfera lasciano turbati col desiderio di capire le loro storie, i loro animi.

Si ritorna agli anni trenta in America, Florence non accetta l’ipocrisia del capitalismo, il divario enorme tra i ricchi e i milioni di poveri che ha generato la Depressione. Giovane universitaria ebrea è affascinata dal socialismo russo, anche per via della nonna di origine russa. Studia la lingua e tramite un impiego in un ente che intrattiene rapporti commerciali con la Russia conosce Sergej che fa parte della delegazione giunta negli Stati Uniti e si innamora. 

Parte per la Russia all’inseguimento di un sogno d’amore, di libertà, di eguaglianza economica e sociale, convinta che le sue capacità possano contribuire all’ideale socialista.

Ma al suo arrivo nella città di Sergej lui non c’è, non c’è nulla di ciò che immaginava, c’è solo lavoro duro con misere paghe, mancano i generi alimentari e di prima necessità, deve vivere nelle kommunalki alloggi collettivi, dove c’è promiscuità e mancanza di igiene. 

Quindi va a Mosca e tramite Essie, conosciuta sulla nave, sua amica e con i suoi stessi principi  e altri esuli, trova lavoro all’ufficio valuta estera, conosce il direttore Timofejev ex diplomatico e la moglie che entrano benevolmente a far parte della sua vita, vive in Kommunalki migliori dove riesce ad avere un po’ di privacy. 

Tra gli immigrati incontra Leon Brink che diventerà il padre di suo figlio Julian, con lui condivide gli ideali e la convinzione di essere utili alla causa sovietica, lavorano come traduttori di articoli stranieri che vengono manipolati per essere congrui al regime.

Qualsiasi dettaglio in quelle condizioni di convivenza forzata era il pretesto per odio e gelosie. Con il degenerare della situazione politica e i grandi titoli sui giornali che mettevano in guardia contro “spie e sabotatori”, l’ostilità si era fatta più evidente.

La Russia teme il complottismo e l’indebolimento del sistema, è reato gravissimo la critica, apprezzare i contenuti degli articoli che giungono dall’estero, un rischio partecipare a manifestazioni ebraiche. Dopo la seconda guerra mondiale diventa sempre più sospettosa e repressiva, la società ebraica che prima godeva di una certa solidarietà diventa scomoda. 

Era ormai abbastanza sovietica per sapere che i burocrati più pericolosi non erano i più potenti, ma quelli che sorvegliavano i loro miseri cantucci di potere alla base della piramide.

Florence si reca all’ufficio per il rinnovo dei documenti per la permanenza nel paese, ma con mezzi coercitivi le viene confiscato il passaporto e da quel momento diventa cittadina sovietica, così come molti altri esuli senza nessuna possibilità di contattare le ambasciate per poter scappare. Per l’America diventano indesiderati e dimenticati, per Florence e Leon si fa strada  il pensiero di trovare una via di fuga e la paura di essere controllati, denunciati.

 …In patria Joseph Davies (ambasciatore americano) …Non fece parola delle vessazioni e delle intimidazioni subite dal personale diplomatico per mano dell’NKVD, e certamente non disse niente delle centinaia di americani che stavano scomparendo senza lasciare traccia. Per farla breve, gli americani intrappolati, compresi i miei genitori, non furono abbandonati. Non furono nemmeno dimenticati. Furono sacrificati sull’altare comune di due superpotenze.

Flori viene contattata dalla polizia segreta NKVD che le impone col ricatto di spiare chi le sta intorno, le fanno domande sempre più pressanti sulle persone a lei care e gli amici, è costretta a distorcere la verità ad intrattenere un gioco psicologico col suo aguzzino, il passo a denunciare chi le sta vicino è breve.

Passiamo ora al 2008, Julian è un uomo sulla sessantina che è riuscito a realizzarsi negli Stati Uniti, progetta navi rompighiaccio, Leon il figlio invece è affascinato come la nonna dalla Russia, vive lì e da tempo in cerca di fortuna come socio di un’azienda, ma le cose non vanno molto bene resta escluso dalla nuova società. I genitori vogliono che torni e Julian coglie l’occasione di una proposta d’affari per tornare in Russia e convincere Leon a ritornare. 

La statua di Feliks “di ferro” Dzeržinskij, il primo čekista, era stata rimossa da tempo. E con quale effigie l’aveva rimpiazzata il presidente Putin? Con quella del suo mentore, Jurij Andropov, che aveva affibbiato al KGB la geniale diagnosi psichiatrica di «schizofrenia latente». Questo aveva permesso allo Stato di internare nei manicomi chiunque protestasse contro la sua demenza. Ma, per la gran parte, la filosofia di Andropov era di un primitivo quasi commovente: «Distruzione del dissenso in tutte le sue forme».

Al suo arrivo gli appare una Russia diversa da come l’ha lasciata, moderna, eccessiva, smodata, ma è solo una facciata, solo apparenza, in realtà alle vecchie abitudini si sono aggiunte le nuove, la corruzione, la mafia, la burocrazia, il clientelismo ecc… Julian fa i conti col passato, col suo dolore di bambino vessato in orfanotrofio come indesiderato figlio della melma antisovietica, col passato di  Florence e di suo padre, su tante domande che non hanno mai trovato risposta: Come aveva fatto mia madre a sopravvivere al duplice orrore della prigione e dei campi? In circostanze identiche a quelle di mio padre, come aveva fatto a ottenere una commutazione della pena da alto tradimento a quella trascurabile di «sedizione antisovietica»? Che ne è stato del padre una persona incantevole e intraprendente? Perché alla fine di tutto  non voleva tornare negli Stati Uniti? Era una delatrice? Cercherà il dossier di Florence per trovare le risposte e quando tornerà in America suo zio, fratello di Flori, l’aiuterà a capire fino in fondo sua madre.

Quello che non riuscivo a tollerare era la sua riluttanza a condannare il sistema stesso che aveva distrutto la nostra famiglia. Il suo rifiuto di contestare il male che mi aveva privato di un padre e mi aveva lasciato senza l’amore di una madre negli anni in cui un bambino ne ha più bisogno.

Florence Fain è una donna che all’inizio sembra ingenua, un idealista i cui ideali non crolleranno mai, è intelligente, scaltra e arguta, indomita e al contempo fragile, non si perde mai d’animo anche nelle situazioni più disperate.

Ma non era la minaccia di morire con le braccia spezzate in una fossa piena di cadaveri a farle perdere il controllo. Era un pensiero che non riusciva a prendere in considerazione senza scoppiare a piangere di nuovo: quel tormento non sarebbe mai terminato…L’unica cosa che aveva mai desiderato nella sua vita era respirare liberamente! E tutto ciò che aveva ottenuto in cambio era la schiavitù.

Le descrizioni affascinanti delle ambientazioni lasciano vagare il pensiero al celebre dottor Zivago, mentre si segue una narrazione ricca di verità e osservazioni ci si addentra nella storia e nelle istituzioni russe come NKVD o il SovInformBuro, il blocco orientale (diffusione censura propaganda delle informazioni). In particolare si entra nei meandri che ingoiano persone, nelle teorie ideologiche politiche e cospiratrici anche più moderne. 

Eccoci di nuovo, trascinati dalla marea dell’alcol in quel vasto divario epistemologico in cui le affermazioni più assurde risultano anapodittiche mentre le verità universali sono continuamente messe in discussione.

Un romanzo corposo e un po’ impegnativo, ma la scrittura è scorrevole, colta e accurata. Rallenta, riprende e ti investe  come ondate, in particolare le vicende di Florence Fain  in Russia sono molto intense, ci sono tratti che li ho riletti per immedesimarmi e comprendere le situazioni, le scelte. Non ho potuto non pensare alla guerra in corso, consigliatissimo.

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