I TEMPLARI CUSTODIRONO LA SINDONE?

A cura di Luca Capovaro Varinelli

Pochi ordini religiosi nella storia hanno avuto la stessa fama dei Templari. Basti pensare che, al tempo delle crociate, gli ordini monastico-cavallereschi erano numerosi: gli Ospitalieri, i Cavalieri di San Lazzaro, l’Ordine Equestre del Santo Sepolcro, eppure oggi pochi ricordano i loro nomi e le loro vicende in modo lontanamente paragonabile a quelli che hanno caratterizzato l’Ordine del Tempio.

Croce templare

Oggi sonderemo, per quanto ci è possibile in poche righe, un’ipotesi abbastanza suggestiva, ossia la possibilità che la Sindone custodita a Torino, uno degli oggetti più famosi della cristianità, possa essere stata per un certo periodo in possesso della suddetta fratellanza.

Non sarà nostro scrupolo indagare sull’autenticità o meno del sacro telo: ci concentreremo solo sulla tesi principale, recuperando man mano i dati che ci servono per proseguire nel nostro percorso. Un percorso, da dire, non privo di ostacoli o di tentennamenti.

La storica Barbara Frale, dal cui saggio sul tema è stato attinto materiale per questo articolo, sostiene che il possesso della Sindone da parte dell’Ordine del Tempio sia non solo possibile, ma anche fortemente provato.

Per contro, lo storico delle religioni Andrea Nicolotti, sostiene che tutte le tesi che ricollegano la sacra reliquia ai Templari siano in realtà false, e servano solo a confermare la preesistenza del telo alla metà del XIV secolo. Quest’ultimo punto però solleva però un’enorme obiezione: l’esame del carbonio 14 svolto nell’88 pone come estremi temporali due date ben antecedenti al XIV secolo.

I TEMPLARI

L’ordine dei Templari è stato fondato da Ugo dei Pagani (francese Hugues de Payns), nobile francese intorno all’anno 1119: scopo dichiarato dell’istituzione era proteggere i pellegrini in viaggio verso la Città Santa.

Ugo dei Pagani, raffigurazione ottocentesca

La perdita di Gerusalemme da parte dei regnanti cristiani non segnò il tramonto dell’ordine: i Templari si trasformarono in banchieri, e dando denaro a prestito accumularono ingenti fortune. I Cavalieri del Tempio, come venivano anche chiamati, non persero tuttavia il loro carattere di istituzione monastico-religiosa, mantenendo anche in Europa le proprie liturgie e tradizioni.

Ci troviamo in un periodo, è bene precisare, in cui il commercio e la venerazione di reliquie sono assi diffusi.

Filippo il Bello, miniatura del 1315

Ben più famosa delle sue origini o delle vicende riguardanti la sua esistenza, è la tragica fine dell’Ordine Templare. La soppressione dell’istituzione avvenne per i biechi scrupoli di un sovrano, Filippo IV detto “il Bello”, re di Francia dal 1285, il quale aveva contratto ingenti debiti con l’Ordine del Tempio. Possibile che la fama circa le ingenti ricchezze dell’istituzione abbia incrementato le brame del re, il quale ha deciso di prendere “due piccioni con una fava”, ossia riempire i propri forzieri e liberarsi dei debiti.

Altro protagonista della vicenda fu Clemente V, papa della Chiesa Cattolica dal 1305: costui era, al tempo del processo dei Templari, già malato e debole, ed era pressato dalla minaccia di uno scisma da parte del sovrano francese.

Gli arresti e le confische dei beni, nonché i primi interrogatori sotto tortura furono condotti dai giudici secolari, e le confessioni estorte dai cavalieri dell’ordine raggiunsero presto picchi altissimi di fantasia: di praticare la sodomia, di celebrare riti in cui si rinnegava Cristo e in cui si sputava sul crocefisso e di venerare uno strano idolo.

Scena di tortura inquisitoria

Così come accadrà alcuni secoli più tardi per il giudizio e la condanna al rogo di Giovanna d’Arco, il processo contro i templari fu formalmente condotto dal tribunale dell’inquisizione, ma con numerose forzature. La corona di Francia, in pratica, pilotò il procedimento inquisitorio verso un esito prestabilito.

Chiudere la vicenda con la violenza non corrispondeva alla volontà del papa: dapprima egli si limitò semplicemente a mettere l’Ordine Templare sotto sospensione. Nel 1308 una commissione di ecclesiastici ebbe modo di riesaminare le accuse, e nello stesso anno il pontefice redasse il documento noto come “Pergamena di Chinon”, con cui assolveva i Templari da ogni accusa.

Il processo è tutto gestito dalla monarchia francese… e il papa Clemente V, colto completamente di sorpresa, fa quello che può per salvare i Templari, ma non ci riesce. Quindi in sostanza il processo dei Templari è la dimostrazione che ormai secoli, prima che si parli di stato assoluto, la capacità dei papi di imporre la loro volontà ai re è finita.” (Alessandro Barbero, storico)

Tale elemento, ossia il fatto che in tempi successivi alle prime confessioni, i Templari siano considerati senza macchia almeno dalle sfere ecclesiastiche, ci tornerà molto utile durante la nostra indagine.

Pergamena di Chinon

Da notare che questo è il periodo della “Cattività Avignonese”, iniziata nel 1309 (prima inchiesta ufficiale contro i templari risale al 1307), in cui il pontefice diveniva a tutti gli effetti prigioniero della corona di Francia e le scelte della Chiesa Cattolica furono sottoposte alle sue ingerenze.

Nel 1310 il re di Francia diede il via alle prime esecuzioni sul rogo, per intimidire quei templari che avevano ritrattato di fronte al tribunale ecclesiastico. Due anni dopo Clemente V è costretto ad emanare una bolla pontificia con cui scioglie la fratellanza templare.

L’epilogo di questa triste storia giunse nel 1314, quando i massimi esponenti templari furono condannati a morte per eresia e blasfemia: il giorno 11 marzo di quell’anno l’ultimo Grande Maestro dell’Ordine Jacques de Molay e il precettore di Normandia Geoffrey de Charnay furono arsi vivi sul rogo.

Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro Templare, raffigurazione ottocentesca

Sull’Ordine Templare conosciamo varie leggende, alimentatesi soprattutto in epoca moderna, come quella che vorrebbe i Templari custodi del Santo Graal, qualunque cosa esso sia, oppure quella del favoloso tesoro scomparso nel nulla prima che Filippo il Bello potesse mettervi sopra le mani.

LA SINDONE

Ciò che ci serve sapere della Sindone è che è un telo di lino lungo circa quattro metri e mezzo e largo poco più di un metro, recante la figura indistinta di un uomo che pare recare su di sé i segni di un terribile martirio, analogo a quello cui erano sottoposti i condannati a morte per crocifissione in epoca romana.

La prima menzione certa della Sindone risale al 1353, ossia una quarantina d’anni dopo il tragico epilogo dei templari. Tuttavia l’esame del radiocarbonio, svolto nel 1988 da tre diversi laboratori, ha datato il reperto in un arco di tempo tra il 1260 e il 1390: la tesi, alquanto popolare, secondo cui la Sindone è stata creata da Leonardo da Vinci è dunque da scartare. L’arco temporale considerato è però compatibile con il periodo di espansione, sviluppo e declino dell’ordine templare.

Immagine frontale del volto della Sindone

Poco utile ricostruire le successive vicissitudini del sacro telo: molto più interessante, ai fini della nostra indagine, cercare di ricostruire un probabile passato della Sindone.

Purtroppo, non disponendo di cronache esplicite o di raffigurazioni univoche, dovremo far ricorso alla precaria luce dei nostri ragionamenti per tracciare un percorso che possa dirsi, almeno teoricamente, logico e coerente.

Innanzitutto, la Sindone è accostata da alcuni studiosi alla figura del Mandylion, una reliquia cristiana consistente in un telo, o fazzoletto, che la tradizione vuole recante l’immagine del volto di Gesù.

Tale reliquia è considerata scomparsa da 1204, anno del saccheggio di Costantinopoli da parte dei crociati.

Il Mandylion in un’icona del X secolo

SINDONE E MANDYLION

Ma come è possibile accostare l’immagine di un “fazzoletto” come il Mandylion a quella di un telo di grandi dimensioni come la Sindone? Possiamo pensare al modo in cui la Sindone potrebbe essere stata conservata o esposta: non distesa nella sua interezza, ma ripiegata su sé stessa. Un indizio emblematico ci può essere in una delle descrizioni più antiche del Mandylion, indicato nel testo greco come ràkos tetràdiplon, ossia “ripiegato otto volte doppio”.

Oggi tre immagini chiamate “Mandylion” sono conservate rispettivamente in delle chiese di Roma, di Genova e di Manopello (provincia di Pescara): ciò che sorprende è che, seppur dipinti da tre mani diverse, questi tre volti presentano tra loro una notevole somiglianza, tanto da far immaginare che siano stati ritratti a partire da una stessa fonte visiva.

Il Mandylion di Roma

A confermare l’identità tra le due reliquie è il discorso solenne dell’arcidiacono di Santa Sofia Gregorio il Referendario, conservato negli archivi Vaticani, e risalente al X secolo. In precedenza il Mandylion è stato sempre indicato come immagine del volto di Cristo da vivo (fosse essa ritratto o calco), mentre in questo caso si fa inequivocabilmente ad esso come impronta di sangue; inoltre in tale contesto si fa riferimento al sangue fuoriuscito dal costato: dunque l’immagine, o impronta, doveva comprendere almeno la metà superiore del corpo.

L’IDOLO MISTERIOSO

Tra le rivelazioni ritenute oggi più eclatanti derivanti dal processo ai Templari, figurano le allusioni ad un misterioso oggetto, indicato di volta in volta come idolo, icona o reliquiario.

In tutte le province essi possedevano idoli, teste con tre facce, con una sola o anche crani umani… Nelle loro assemblee e soprattutto nei Grandi Capitoli essi adoravano l’idolo come un Dio, come il loro Salvatore, affermavano che questa testa poteva salvarli, che concedeva all’Ordine tutte le sue ricchezze e che faceva fiorire gli alberi e germinare le piante della terra.” (estratto dell’atto formale d’accusa ai Templari)

Da notare che, in realtà, solo un esiguo numero di templari fece cenno durante gli interrogatori a tale oggetto, e che l’accusa di idolatria non rappresentò affatto uno dei pilastri portanti del processo intentato contro l’ordine.

In pratica la storia dell’idolo, infruttuosa per le mire del re di Francia, fu messa nel dimenticatoio, e probabilmente bollata dai commissari ecclesiastici inviati ad investigare come una semplice fantasia estorta dagli aguzzini con la tortura. Da considerare però che, negli interrogatori ecclesiastici svoltisi in assenza delle ingerenze degli uomini del re, le stesse confessioni relative all’oggetto ricompaiono, seppur ripulite dagli elementi più compromettenti, quali il fatto che si trattasse di un’immagine di Maometto, oppure di un simulacro dalle forme mostruose.

Moderna raffigurazione del Bafometto

Il nome più celebre di questo idolo è Baphometum (italianizzato in “Bafometto”), nome che, secondo un’interpretazione risalente ma non del tutto condivisa, deriverebbe da una commistione di termini greci, con il significato di “Battesimo dello Spirito”.

Impossibile non notare l’assonanza del nome con la parola italiana “baffo”, particolare che ci tornerà in aiuto in seguito.

Personalmente ho cercato di scervellarmi sull’effettivo significato del nome “Bafometto”, sfoggiando le mie assai scarse conoscenze del greco o dell’ebraico.

La mia ipotesi, ancora del tutto da verificare, è che il nome potesse essere l’unione del termine greco bath (da cui effettivamente deriva la parola “baffo”) con il termine ebraico emeth (“verità”). Tra le due indicate, la parola bath risulta quella più difficile da interpretare: può voler dire “tintura”, nella sua accezione più letterale, quindi può essere messa in relazione a “qualcosa che impregna”; estensivamente dunque il vocabolo in esame potrebbe essere tradotto con “impronta”.

Un possibile indizio a favore di tale interpretazione mi è balzata all’occhio a partire altro nome rivelato durante gli interrogatori: Magometum. Qui è abbastanza evidente l’analogia con la lingua latina e se teniamo per buona la commistione con l’ebraico, il risultato che si ottiene può essere questo: imago + emeth, quindi “immagine della verità”. Ma se invece che ebraico il secondo termine fosse anch’esso latino?

Di qui il passo è breve. Imago emetis, dove il secondo è la latinizzazione del termine greco aima, cioè “sangue”. Un’immagine di sangue, termine che al di là di ogni suggestione può suggerire ben poco, se non fosse per le peculiari informazioni che possediamo sulla Sindone.

L’ICONA E LA TESTA BARBUTA

Come già accennato, le informazioni attinenti all’idolo misterioso dei Templari risultano scarsissime, e spesso persino contraddittorie. In altri termini, non sappiamo ciò di cui stiamo parlando: si tratta di una statua? Di un’icona? Di una reliquia?

È bene però ribadire che, dato il fatto che le testimonianze in esame sono state raccolte in tempi non sospetti, ossia in seguito agli interrogatori da parte dei giudici del re di Francia, è possibile propendere per un’autenticità delle stesse. Si fa riferimento, talvolta ad una testa barbuta, e in un caso persino all’immagine di un uomo rappresentato senza aureola (anche se la testimonianza in questione non menzione esplicitamente il Bafometto): se si trattasse di un’immagine dipinta, un cristiano dell’epoca avrebbe dedotto che non si trattava della rappresentazione di un santo.

Il sospetto, più che fondato è che, come accadde per il Mandylion, di tale immagine o reliquia siano state fatte delle riproduzioni a scopo devozionale.

Le testimonianze raccolte durante il processo, plausibilmente estorte tramite tortura, riguardanti un’immagine diabolica o mostruosa, sono sicuramente da trattare con molta cautela: tuttavia, se messe in relazione con gli altri dati in nostro possesso, possono riserbare delle sorprese. Mettendo insieme tutte queste informazioni possiamo dedurre che si parla di quell’immagine avrebbe due teste e quattro piedi, due dei quali “dalla parte della testa”.

Immagine integrale della Sindone

Aggiungiamoci pure il dettaglio, per quanto assai bizzarro, che vorrebbe il Bafometto rappresentato con le sembianze o con la testa di un gatto.

Un’immagine con quattro piedi potrebbe far pensare ad un’immagine tridimensionale, e la “testa di gatto” può derivare da un fraintendimento: immaginiamo che durante la deposizione uno degli inquisiti abbia fatto riferimento ad un’immagine baffuta “come quella di un gatto”.

A ciò si aggiunge l’appena accennato particolare dell’”immagine d’uomo” senza aureola.

In diverse chiese e roccaforti templari, compare una scultura tradizionalmente identificata con il Bafometto, e consistente, per l‘appunto, in una testa barbuta dai grandi baffi.

Particolare della chiesa di San Galgano, Montesiepi, Toscana

Ma se questo è veramente il “Bafometto”, o la testa barbuta menzionata nei processi, cosa mai poteva significare per i Templari?

LA SINDONE È IL BAFOMETTO?

Abbiamo raccolto abbastanza indizi e posto le basi per la nostra argomentazione: ora si tratta solo di unire i punti.

Come abbiamo spiegato nel secondo paragrafo del saggio, non sappiamo nulla della Sindone nei secoli precedenti alla sua prima menzione. Possibile però ipotizzare, viste le sue asserite origini, che sia stata custodita in Oriente, forse proprio in Terrasanta.

Il misterioso oggetto menzionato nei processi veniva talvolta esposto nelle cerimonie del capitolo generale dell’Ordine del Tempio ad Acri, ultima roccaforte templare in Terrasanta.

Ciò che colpisce nell’immagine impressa sulla Sindone sono i baffi prominenti. Che si tratti della “testa barbuta” menzionata nelle confessioni?

Testimonianza chiave proviene dal templare Arnaut Sabbatier, il quale rivelò di aver visto di persona durante la propria iniziazione un lungo telo di lino che portava impressa la figura di un uomo il precettore gli impose di adorarlo baciandogli per tre volte i piedi.

Nel paragrafo precedente, parlando del Bafometto, abbiamo inoltre cercato di fornire un’etimologia della parola, giungendo ad una probabile “immagine di sangue”. Gli studiosi che hanno esaminato la Sindone sono unanimamente concordi su un dato: che la Sindone non sia un’immagine dipinta, ma l’impronta o il calco di un corpo, o di qualcosa che somiglia ad un corpo (una statua? Un rilievo?).

Abbiamo anche detto che quella di riferimento è un’epoca in cui il commercio delle reliquie è particolarmente intenso. Grandi collezionisti di reliquie furono proprio i Templari.

Se i Templari hanno posseduto la Sindone, è possibile che essi ritenessero di avere tra le mani il vero sudario di Cristo; ciò però apre la strada ad ulteriori pressanti interrogativi. In particolare, se i Templari confidavano nell’assoluta autenticità della Sindone, perché non rendere pubblica la cosa? Una notizia avrebbe già al tempo reso il sacro telo la reliquia più importante del mondo cristiano, e il prestigio dell’Ordine del Tempio non sarebbe potuto che aumentare.

Possiamo formulare diverse ipotesi: innanzitutto, se è vero che la Sindone fu conservata ad Acri, in Terrasanta, una reliquia di tale fama avrebbe attratto le attenzioni di ogni potentato islamico in Medio Oriente.

Non è poi da escludere che i Templari abbiano voluto difendere la reliquia da invidie per così dire “interne”, come poteva essere ad esempio quella che ha portato alla distruzione dell’Ordine, ovvero a gelosie o contese tra gli stessi confratelli.

Inoltre se, come vuole l’ipotesi, la Sindone-Mandylion è stata trafugata da Costantinopoli, non si voleva forse far sapere che il possesso era stato ottenuto per vie illecite: la Chiesa infatti, proprio a seguito del saccheggio della capitale bizantina, aveva sancito che il trafugamento delle reliquie era da considerarsi atto criminale.

IL “BAFOMETTO DI TEMPLECOMBE”

Finora abbiamo parlato di tre cose apparentemente distinte tra loro: il Mandylion, la Sindone e il Bafometto. Abbiamo tentato di cercare prove, o quantomeno indizi, che portassero a pensare che tutti questi elementi in realtà fossero una cosa sola.

Il Bafometto di Templecombe

A gettare ulteriore luce sul dilemma, è una scoperta del 1945, avvenuta nella chiesa templare di Templecomble, in Inghilterra: si tratta di una tavola di legno risalente al XIII secolo e raffigurante il volto di Cristo.

La figura in questione rappresenta notevoli somiglianze con le immagini del Mandylion, tanto da essere considerata essa stessa una delle tante versioni dello stesso, e con la Sindone di Torino; in particolare, delle analisi svolte tramite sovrapposizione delle immagini avrebbe permesso di stabilire ben centoventicinque punti di congruenza tra quest’ultima e il Cristo di Templecombe, ben di più di quelli che sarebbero sufficienti per stabilire la sovrapponibilità delle immagini. Detto in altri termini: l’uomo della Sindone e il Bafometto ritrovato in Inghilterra sarebbero la stessa persona.

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