I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso di Giuseppe Franza

Primavera del 1272, regno di Napoli. Padre Ciommo, un vecchio monaco benedettino, sta scortando la giovane Rafilina da Torrecuso nella città di Napoli, per far sì che ella possa essere visitata dal magister Tommaso d’Aquino del convento di San Domenico. Giunti dalle parti del Vesuvio, i due viandanti vengono sorpresi da una tempesta e sono perciò costretti a rifugiarsi in una taverna per trascorrere la notte. In questa bettola incontrano un certo Zosimo, servitore senza cultura e creanza, che si offrirà di accompagnarli fino al cenobio napoletano in cambio di qualche spicciolo. Nella Capitale del regno, Rafilina sarà dunque visitata da fra Tommaso d’Aquino, somma intelligenza della Chiesa, chiamato a scoprire quale possa essere il vero male che insidia la vergine. Ella è forse vittima di una possessione demoniaca? Costretti da fosche circostanze, Rafilina e Zosimo prenderanno parte a un viaggio caratterizzato da numerosi imprevisti. E ne verranno fuori situazioni spaventose e assurde, sordide o penose, attraverso cui i due personaggi misureranno forze e limiti morali e proveranno ad allargare i loro meschini orizzonti.

  • Editore ‏ : ‎ Ortica Editrice; Unabridged edizione (25 novembre 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 368 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Nel Regno di Napoli durante il Basso Medioevo (siamo nella primavera del 1272) la gente non se la passava benissimo. Gli Svevi ormai erano un ricordo e la nuova dinastia al potere, quella angioina, nonostante esternamente potesse dare un’immagine di stabilità delle istituzioni e dell’impianto fiscale, aveva iniziato ad adottare certi meccanismi istituzionali propri della monarchia francese che avevano inasprito l’umore della nobiltà e del ceto urbano che non venivano mai consultati in merito a nulla, se non nel caso dell’aumento delle tassazioni dovuto alla guerra contro l’ultimo rappresentante della fortunata dinastia Sveva, Corradino. 

Dante Alighieri la definì “mala Signoria Angioina”, ed è proprio in questa cornice che si sviluppa la storia di una giovane donna diversa da tutte le altre, Rafilina, una che non si trova a suo agio con le imposizioni dettate dalla società del suo tempo, e per questo viene tacciata di essere un’ossessa, e quella di Zosimo, un giovane pezzente che la accompagnerà nel suo viaggio, e nonostante la sua ignorante semplicità si dimostrerà l’unico in grado di andare al di là delle apparenze.

Come accennato siamo nella primavera del 1272, padre Ciommo (al secolo Girolamo) è un frate del monastero di San Lupo in Benevento che viaggia alla volta di Napoli in compagnia di una giovane, la nostra suddetta Rafilina, che gli è stata affidata affinchè possa scortarla al convento di San Michele Arcangelo a Morfisa. Mentre attraversano un territorio malsano e paludoso detto Casa della Bolla, sono costretti a chiedere asilo in una locanda poiché sorpresi da una spaventosa tempesta:

“…la giovane, che era stata muta e inerte per l’intero viaggio, tre giorni e tre notti di cammino per monti, poggi e foreste, tutt’a un tratto, di fronte all’inferno, sorrideva”.

Ed ecco qui che già l’autore ci solleva qualche piccolissimo dubbio circa la ragazza, un dubbio che inizia man mano a farsi certezza con il procedere della storia, a partire proprio dalla notte che la giovane Rafilina trascorre nella locanda in compagnia di padre Ciommo. In questa circostanza il duo di viaggiatori fa la conoscenza di Zosimo, un giovane al quale il frate chiede, in cambio di equo pagamento in denaro e generi alimentari, di accompagnarli a Napoli per evitare che si possano perdere in quel territorio tanto inospitale. Il giovane misteriosamente sembra essere rimasto particolarmente colpito da Rafilina:

“Ma al di là della grazia esteriore, a ispirarlo a quel modo doveva essere stata una forza più misteriosa e sottile, giacchè l’ammaliamento da cui si sentiva preso aveva a che fare con una sorta di eccitata trepidazione, con un desiderio agitato e spaventato, mai provato prima di allora”.

“Ammaliamento”, così ci dice l’autore, Zosimo non è semplicemente rimasto affascinato da una giovane donna, ne è stato ammaliato. Se poi a questo aggiungiamo anche che durante la notte dal luogo in cui sono stati messi a riposare i due viandanti si siano levate alte grida, il quadro finisce quasi per completarsi quando, di buon mattino, frate Ciommo, Rafilina e Zosimo si mettono in marcia per Napoli a dorso di mulo, e durante il tragitto il frate confida alla loro guida che la ragazza è afflitta da un male dell’anima e necessita di essere esaminata da nientemeno che il venerabile frate domenicano Tommaso d’Aquino.

Eccoci qui di fronte ad un personaggio storico di una certa levatura, uno dei principali pilastri teologici e filosofici della Chiesa cattolica, punto di incontro fra la cristianità e la filosofia classica. Nel periodo in cui l’autore ha ambientato la vicenda di Rafilina Tommaso si trovava proprio a Napoli, dove leggeva e commentava testi filosofici disputandone i contenuti con i suoi confratelli e studenti, si dedicava alle opere scientifiche di Aristotele relative a fenomeni atmosferici e terremoti e studiava testi sulla costruzione degli acquedotti e la possibilità di applicazione della geometria alle costruzioni. E tra un tomo e l’altro a Tommaso spetterà anche dare un parere riguardo alle condizioni di salute del corpo e dell’anima di Rafilina.

Appena giunti a Napoli, dopo aver constatato che in quella città sono presenti non solo una inquietante mescolanza di lingue e razze ma anche di simboli pagani e cristiani, e dopo essere stati ripuliti bene bene da tale Titino l’Infamone (“Siamo membri della guarnigione pridisposta, gli uomini scelti della confraternita del sedile di Nilo, fedeli al lione con la capa dorata dei Capece. Il che va significando una cosa sola: o ci pavate subito o ci pigliamo i sacchi che tenete sopra al ciucciariello e vi riempiamo pure di mazzate e cultellate. Ho stato chiaro?”), giungono finalmente al cospetto del venerabile Tommaso che, coadiuvato da frate Bastiano da Casale di Pollanella che è il responsabile dell’infermeria, e dal frate farmacista, tenta di visitare Rafilina che si ribella alle mani dei monaci e inizia a prendere a calci e pugni tutti. Ed è a questo punto che frate Ciommo, poverino, viene interrogato circa la storia della giovane, e così apprendiamo che i primi sintomi di un male oscuro hanno iniziato a palesarsi quando la ragazza è stata promessa ad un pastore del suo paese, ha cominciato infatti a rifiutare il cibo, ad essere preda di vaneggiamenti e cefalee e, cosa ancora più grave, a dubitare dell’esistenza di Dio.

Per Tommaso ovviamente, a questo punto, non ci sono più dubbi, la giovane necessita di essere esorcizzata e bisogna eseguire il rito immediatamente. Viene preparato tutto l’armamentario per il sacro rito, la povera Rafilina viene sedata con una mistura a base oppiacea così che non si agiti eccessivamente e si da inizio all’esorcismo. E questo è solo l’inizio, non solo per Rafilina, ma anche per il buon Zosimo che nel cuore della notte viene convocato da Tommaso d’Aquino, e non per essere pagato così come il poveraccio ormai aspetta da quando ha lasciato la Bolla, ma per informarlo che deve tenersi pronto a ripartire di nuovo per Salerno, più precisamente per la scuola medica dove Rafilina verrà esaminata dal maestro Pietro Caposcrofa. Sotto compenso il povero Zosimo, che ha anche appreso della morte improvvisa e misteriosa (sarà per caso stata Rafilina?) del povero frate Ciommo si ritrova solo in compagnia della strana giovane, ed è in questa circostanza che comprende la vera natura della ragazza, ovvero che non è affatto posseduta, ed è sempre taciturna poiché le persone le stanno poco simpatiche e di loro non si fida. Ma scopre anche che la ragazza mette in dubbio l’esistenza stessa della religione, la sua veridicità e i suoi principali dogmi, tra i quali la resurrezione della carne:

“I defunti, io penso, non possono mai resuscitare. E non dev’esserci nulla ad aspettarci dopo la morte: mi pare così chiaro! Prima di nascere non siamo niente, non esistiamo, e dopo la morte dev’essere uguale…torniamo a essere niente, a non esistere. Passiamo da un buio all’altro, e questo è tutto”.

Per l’epoca sono affermazioni forti, blasfeme, eretiche, e se ne rende conto persino il buon Zosimo che è un’ignorante, e nonostante sia spaventato a tratti dalla ragazza, ormai ha preso a cuore il suo tragico caso ed è intenzionato a proteggerla e a farla arrivare quanto prima alla scuola medica di Salerno, altra importante presenza storica in questo romanzo. 

È stata la prima e più importante istituzione medica d’Europa nel Medioevo (fondata nel IX secolo), e come tale è considerata l’antesignana delle moderne università. Le basi teoriche seguivano il sistema degli umori elaborato da Ippocrate e Galeno, ma il suo vero e proprio bagaglio scientifico era costituito dall’esperienza maturata nella quotidiana attività di assistenza ai malati, avvalendosi anche della traduzione dei testi arabi. Non dimentichiamo che in questa sede fu probabilmente attiva la nota Trotula de Ruggiero alla quale, a mio parere, si è probabilmente ispirato il nostro autore nell’introdurre il personaggio di Frumenzia di Montecorvino, un’esperta sanatrice che lavora insieme al già citato Caposcrofa, una mulier salernitana che stupisce molto Zosimo:

“…Io, con rispetto parlando, non me l’immaginavo proprio che pure le femmine potevano mettere le mani in queste cose difficili di scienza medica. Ma però devo ammettere che ti sei imparata bene!”.

Ma pur nella sua profanda ignoranza, una cosa Zosimo la comprende, ovvero che la sua protetta, Rafilina, in quel posto non è completamente al sicuro: Caposcrofa infatti vuole effettuarle una trapanazione del cranio:

“Vi è il sospetto che la giovane sia oppressa da una tumefazione interna, in sede del cervello. In pratica una sostanza estranea si è lì annidata e ora spinge e crea una stretta […] all’interno del teschio, sotto la dura mater…E, in base ai miei studi, sarei orientato a ipotizzare l’azione di quel male che chiamiamo karcinoma o granchio”.

A Zosimo interessa poco se Rafilina abbia o meno questo granchio in testa che lui, oltretutto, non ha idea di come abbia fatto ad entrarvi, quindi decide di optare per una cura alternativa che lo stesso Caposcrofa gli suggerisce, ovvero di recarsi da tale frate Marinello, abile curatore, presso il santuario di Cava. Anche perché apprende che il Caposcrofa non ha mai eseguito tale pratica su un essere umano ma solo su di una pecora, dunque meglio non rischiare.

Durante il viaggio per Cava de’ Tirreni si imbattono in un insolito compagno di viaggio, un penitente lì diretto per espiare il suo passato da negromante, tale Sisino Nocella da Casale dei Cornuti, il quale però si rivela essere un po’ il menagramo della situazione poiché complica faccende già di per se complesse. Infatti, vantandosi di possedere certe abilità magiche, durante la notte convince Zosimo ad improvvisare un esorcismo per poter scacciale il male che si annida all’interno della povera Rafilina, ma nel bel mezzo del rituale vengono sorpresi da un paio di villici del luogo che li fanno finire prima tutti e tre in cella, e dopo al cospetto della contessa Margherita Sanseverino al castello di Sarno, con l’accusa gravissima di praticare la magia. Si salveranno in extremis poiché casualmente Zosimo fa il nome di Tommaso d’Aquino (che lui chiama d’Equino!) per conto del quale sono in viaggio che, guarda un po’ il caso, è un parente della contessa, dunque vengono assolti da ogni accusa, rifocillati e rivestiti (per i capelli che sono stati rasati causa sporcizia estrema purtroppo non c’è nulla da fare).

Sisino Nocella da Casale dei Cornuti colpisce ancora quando convince Zosimo a rivelare i suoi sentimenti a Rafilina, cosa che il villico fa nel modo più sbagliato:

“…combinata come stai, per il fatto della malattia e le altre cose, un altro pretendente è difficile che lo trovi. Io te lo dico con tutto il bene: tieni un brutto carattere, e poi ormai ti sei fatta pure una brutta nominata, per la storia del sorcismo e del monaco che è morto. Ma, a parte questo, io penso che sei bella, veramente, dico. Pure che non tieni più neanche un capello in testa e c’hai un granchio dentro al cervello, o peggio ancora un diavolo dentro al seno…io ti piglierei lo stesso a te”.

Ma il viaggio continua tra una dissertazione teologico-religiosa e l’altra in cui si evidenzia ancora di più l’animo insofferente alle assurde credenze religiose di Rafilina, e il suo essere avanti rispetto all’epoca in cui suo malgrado è costretta a vivere:

“Tutte le leggi dei re e tutti i comandamenti di dio continuano a ribadire che una donna vale meno dell’uomo, che la vita di un contadino è meno importante di quella di un cavaliere e che l’opinione dell’ignorante ha meno rispettabilità di quella del dottore. Ed è così che si calpesta la dignità della povera gente, delle donne inconsapevoli e di chi non è abbastanza forte per imporre il proprio pensiero”.

Quando giungono a Cava de’Tirreni notano una certa desolazione del luogo, dovuta allo spopolamento a seguito delle guerre recenti contro Corradino di Svevia, e vengono indirizzati al monastero di Castellabate dove si è ritirato il vecchio frate Marinello. Ma quando giungono a destinazione trovano il luogo devastato da un’incursione pirata che, giusto per complicare la situazione di Zosimo e Rafilina, ha fatto persino dei prigionieri, tra i quali figura il frate guaritore. Per riaverlo indietro dai saraceni bisogna pagare un riscatto, e a questo punto Zosimo, per amore di Rafilina, smette i panni di Tersite per indossare quelli del prode cavaliere! Ebbene sì, il nostro villico un po’ cafone si finge un nobile e grana alla mano si reca all’accampamento dei saraceni per riportare indietro il monaco. Ci riesce, ovviamente grazie a una serie di fortunate coincidenze e non certo al suo valore o alla sua scarsa capacità oratoria, e riporta indietro persino tutti gli altri prigionieri, ma giunto di nuovo a Castellabate si trova davanti una situazione disperata: Rafilina è stata sottoposta all’ennesimo esorcismo nel quale però ha commesso l’errore di esternare le sue convinzioni antireligiose:

“Con libera e infame disposizione, la vergine si è insozzata della colpa più grave e concepibile: ha riferito di non avere peccato di cui pentirsi e di non sentire bisogno alcuno di consegnarsi a un dio che, per suo intendimento non esiste … Ecco la professione di miscredenza che solo un animo depravato dal Maligno poteva esprimere! Ecco la prova inconfutabile della presenza del demone infame!”.

Rafilina è stata accusata di essere un’eretica, una bestemmiatrice e un’amica del Nemico!

“…probabilmente una concubina di Palmon, re dell’inferno e signore dei tuoni e delle folgori”.

Zosimo è incredulo, d’altronde lui non conosce questo Palmon e si lagna del fatto che invece di acclamarlo come salvatore dei loro cari liberati dal giogo saraceno quella gente ingrata se ne stia lì a fare le pulci ad una povera ragazza inferma e durante il processo, perché viene persino  istruito un bel processo casareccio seduta stante e in mezzo alla strada, il nostro lo dice chiaramente e a gran voce:

“Gesù! Certo siete proprio la schifezza della gente …Io vi salvo le figlie grandi e i figli piccoli dalle mani fetenti degli infedeli, e voi che fate? Mi inguaiate a me… Non tenete proprio rispetto e manco un poco di pietà nel cuore vostro, mannaggia alla morte infame!”.

Sì perché il povero Zosimo che è ignorante e non comprende a pieno le questioni giuridico-teologiche che gli accusatori di Rafilina gli sciorinano sotto il naso, parla un po’ a vanvera e per questo viene persino accusato di non avere rispetto per il Vangelo. La fortuna però vuole che i nostri personaggi abbiano tribolato abbastanza, infatti, mentre anche padre Marinello tenta di convincere i presenti ad attenersi agli insegnamenti di Cristo quando si tratta di giudicare le persone, in questo caso Rafilina, sulla popolazione ripiombano di nuovo i saraceni. Approfittando del parapiglia i nostri fuggono accompagnati da padre Marinello e Sisino Nocella a Galdo, paese natale del frate, nel quale sicuramente potranno stare al sicuro da esorcismi, trapanazioni al cervello e accuse di eresia.

Tempo dopo al venerabile Tommaso d’Aquino (o d’Equino che dir si voglia!) giunge una missiva da parte di Zosimo, il quale ci tiene a informarlo che si sono felicemente sistemati a Galdo in compagnia del padre Marinello che ha provveduto persino a far stare meglio Rafilina con i suoi medicamenti, ed egli si mantiene facendo un mestiere che non vuole rivelare poiché potrebbe essere frainteso e finire sotto inquisizione (qualcosa mi dice che abbia preso in presto l’antico mestiere di Sisino Nocella…):

“Qua mannaggia alla miseria infame, nel mondo succedono un sacco di cose brutte, e il diavolo fetente sta sempre in agguato. E che possiamo fare noi uomini da niente per salvarci? La religione dice di pregare, che è una cosa bella e giusta. Ma secondo me, santissimo, non è sempre abbastanza. Ne discutevo proprio l’altro giorno con Marinello e gli dicevo che, senza offesa per nessuno, a parer mio, l’unico modo per resistere al male è darsi la mano l’un l’altro”.

Al di là della suggestione nel leggere questa lettera soprattutto alla parola “santissimo” che no, non è seguita da Savonarola ma rende l’idea lo stesso, Zosimo è un personaggio che si è evoluto rispetto all’inizio di questa storia. Ebbene sì, il cafone della Bolla è diventato un novello Renzo che alla fine del lungo cammino all’interno della fantasia narrativa del suo autore cambia in meglio, diventa più saggio, più riflessivo, più maturo e disincantato davanti alla vita. E sebbene sia naturale considerare Rafilina come il personaggio principale di questo bellissimo ed insolito romanzo storico, dopotutto è da lei che inizia tutto, è per lei che gli attori si muovono su questo teatro, non riesco ad accantonare la convinzione che il vero protagonista della vicenda sia invece il bollese cafone e ignorante che con la sua verve casareccia, vera, senza filtri, mi ha intrattenuto per tutta la narrazione.

Rafilina è sì una donna e un personaggio interessante, dopotutto stiamo parlando di una giovane donna affetta da problemi comportamentali e/o mentali scambiata per un’indemoniata e quindi sottoposta a vari esorcismi, processi nonché punizioni corporali, inoltre incarna la critica al patriarcato e alla violenza maschile, è una vittima perchè rifiuta le regole dominanti, quelle dell’epoca, quelle dietro le quali ancora oggi purtroppo la società si nasconde, ma manca di quella ingenuità, di quel candore tipico dei bambini che invece rende buffo, comico e irresistibile il suo compagno di viaggio.

Giuseppe Franza ci racconta il Medioevo in età angioina descrivendoci sempre con riferimenti storici, sociali e culturali più che pertinenti situazioni spaventose e assurde, viste però con gli occhi di questi due personaggi che nelle loro peregrinazioni avranno modo di mettere a dura prova le loro forze, i valori, la morale e il buon senso. 

Rafilina ne uscirà quella di sempre, la donna tenace che ha portato avanti sempre e a qualsiasi costo il suo credo, ciò che pensava, Zosimo invece amplierà la sua visuale allargando l’orizzonte dei suoi pensieri dal mondo finito che conosceva all’inizio di questa vicenda a quello che può invece mostrargli ma anche offrirgli infinite possibilità.

“Se fossero stati dei signori, invece che dei pezzenti, quella loro storia, probabilmente, sarebbe potuta diventare la trama di una bella fiaba da raccontare ai bambini prima di addormentarsi. Ma anche quei bambini, riflettè il bollese, sarebbero dovuti essere figli di signori, giacchè ai figli dei pezzenti non si contavano mai le fiabe: dovevano imparare il prima possibile a sopravvivere, quelli, altro che storielle; dovevano affrontare l’aspra vita e capire quanto prima il senso del motto mors tua vita mea”.

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.