Il campo modello di Himmler – (Nikolaus Wachsmann. Storia dei campi di concentramento)

«Sono diventato capo della polizia di Monaco e ho preso il comando del quartier generale della polizia, mentre Heydrich ha avuto la sezione politica» avrebbe ricordato circa dieci anni più tardi il capo delle SS, Heinrich Himmler, a proposito del 9 marzo 1933, il giorno che segnò l’inizio del suo cammino per diventare l’indiscusso padrone della macchina del terrore del Terzo Reich, con il fedele tenente Reinhard Heydrich al suo fianco.

«È così che cominciammo» aggiungeva Himmler in tono nostalgico.165 La sua carriera nel partito era iniziata prima del 1933, ovviamente. Nato a Monaco nel 1900, era uno di quei ragazzi arrabbiati della generazione della prima guerra mondiale che – troppo giovani per prestare servizio attivo al fronte – si unirono alle file della destra radicale dopo la sconfitta della Germania e la rivoluzione del 1918, sfogando nella battaglia per procura contro la Repubblica di Weimar la frustrazione di non avere combattuto. Soldato semplice nel nascente movimento nazista, la grande occasione di Himmler arrivò nel 1929, quando fu messo a capo delle SS. Inizialmente, si trattava di una piccola unità di guardie del corpo, niente più che una sezione periferica delle potenti SA sotto il controllo del mentore di Himmler, Ernst Röhm.

Ma lo scaltro e ambizioso Himmler trasformò ben presto le SS in una forza paramilitare a tutti gli effetti. Himmler, che a differenza della maggior parte degli attivisti nazisti proveniva dalla colta classe media, fece delle SS l’autoproclamata élite razziale e militare del movimento nazista, che gli consentì di realizzare le proprie fantasie militaresche frustrate. Quando i nazisti presero il potere, nel 1933, le SS di Himmler avevano ingrossato i propri ranghi, passando da poche centinaia di uomini a oltre 50.000, e divennero sempre più potenti a mano a mano che il loro leader si faceva strada nella gerarchia nazista. Il 1° aprile 1933 Himmler aveva già il comando della polizia politica bavarese e della polizia ausiliaria, e si apprestava a costruire un potente apparato di repressione nel suo Stato natale. Dachau era al centro del progetto di Himmler. Il 13 marzo 1933 una commissione ispezionò la vecchia fabbrica di munizioni e ne approvò l’utilizzo come campo per la detenzione preventiva; i preparativi iniziarono il giorno successivo, e il 20 marzo 1933 Himmler annunciò alla stampa la creazione del «primo campo di concentramento».

La sicurezza con cui quel novizio della politica presentava la sua radicale visione delle cose era notevole. L’ambito di competenza di Dachau non era limitato ai funzionari comunisti, disse, ma si estendeva a tutti gli esponenti della sinistra che «minacciavano la sicurezza dello Stato». La polizia doveva essere intransigente, aggiunse Himmler, e incarcerare questi funzionari per tutto il tempo necessario. E Himmler pensava in grande: Dachau avrebbe tenuto in detenzione preventiva 5000 prigionieri, più della media della popolazione carceraria di tutte le grandi prigioni bavaresi nel 1932. Il campo di Himmler divenne presto il centro per la detenzione extralegale in Baviera: una volta che la detenzione preventiva fu centralizzata nelle mani della polizia politica bavarese, i prigionieri arrivarono a Dachau da tutto lo Stato, e nel giro di pochi mesi il loro numero passò da 151 (31 marzo) a 2036 (30 giugno). A quel punto, anche l’aspetto del campo era cambiato. I prigionieri erano stati trasferiti dal complesso provvisorio in uno più grande, che avevano contribuito a costruire sul terreno della vecchia fabbrica.

Il nuovo campo di Dachau, circondato da filo spinato, conteneva dieci baracche di mattoni e cemento a un piano, che un tempo avevano ospitato le officine della fabbrica di munizioni. Ognuna era destinata a ospitare 54 prigionieri in cinque stanze con letti a castello (ciascuna dotata di un piccolo bagno con lavandini). Sempre all’interno del complesso dei prigionieri c’erano l’infermeria, la lavanderia e il piazzale dell’appello. Appena fuori c’era il grande poligono di tiro delle SS – un quotidiano memento del dominio delle guardie – e diversi altri edifici per i prigionieri, compresa la mensa e un nuovo bunker. Al di là di questi casotti si trovavano gli uffici amministrativi, le officine e gli alloggi delle guardie. L’intera area era circondata da altro filo spinato e da un lungo muro con torrette di guardia. Secondo la stima di un prigioniero, percorrere a piedi tutto il perimetro del campo avrebbe richiesto due ore.

Il cambiamento più considerevole non riguardò però l’aspetto, ma il personale, perché Dachau divenne un campo delle SS. Le prime guardie provenivano dalla regolare polizia di Stato, ma Himmler la considerava soltanto una misura temporanea. Verso la fine di marzo 1933, un piccolo distaccamento di SS venne inviato a Dachau, ufficialmente nelle vesti di polizia ausiliaria, e, il 2 aprile 1933, Himmler ordinò che il campo fosse posto sotto il suo controllo. Dopo diversi giorni di addestramento da parte della polizia di Stato, le truppe delle SS, che a quel punto erano arrivate a contare 138 uomini, assunsero il comando. L’11 aprile 1933, un gruppo selezionato di SS prese in carico il complesso dei prigionieri; nel frattempo le sentinelle delle SS di stanza attorno al filo spinato, alcune delle quali erano a malapena in grado di puntare le armi nella direzione giusta, continuavano a essere supervisionate e addestrate da una piccola forza di polizia. Alla fine di maggio 1933, la polizia lasciò il campo per sempre e l’intera operazione Dachau si trovò a essere nelle mani delle SS.

La struttura base del terrore extralegale bavarese adesso era operativa: la polizia politica eseguiva gli arresti e mandava i prigionieri in detenzione preventiva al campo di Dachau, sotto la sorveglianza delle SS. L’aspetto fondamentale è che sia le SS sia la polizia facevano capo a un solo uomo, Heinrich Himmler, che aveva creato il modello di quello che sarebbe diventato il successivo sistema dei campi tedeschi. Himmler sapeva che i suoi uomini avrebbero gestito Dachau in maniera diversa rispetto alla polizia di Stato. Il primo distaccamento delle SS era stato accolto sul posto dal capo distrettuale delle SS di Monaco, il barone Erasmus von Malsen-Ponickau. Con un discorso agghiacciante, dipinse i prigionieri come bestie che progettavano di massacrare i nazisti, e adesso le SS avrebbero reso pan per focaccia. Il soldato semplice Hans Steinbrenner, che era tra gli uomini radunati, ricorderà che il barone terminò il proprio discorso con un esplicito incitamento all’assassinio: «Se uno [un prigioniero] tenta di scappare, sparate, e mi auguro che prendiate bene la mira. Quanti più di questi tizi muoiono, tanto meglio è».

Tali parole echeggiavano ancora nelle orecchie delle SS quando presero il controllo del complesso del campo, l’11 aprile 1933. Erano capitanate dal nuovo comandante, il trentatreenne SS-Hauptsturmführer Hilmar Wäckerle, che si dimostrò non meno bellicoso del barone assetato di sangue. Wäckerle era un altro attivista nazista della prima ora – un ex combattente della prima guerra mondiale e della guerra civile virtuale di Weimar – e si dimostrò all’altezza del proprio brutale personaggio anche all’interno del campo, dove compariva raramente senza la sua frusta e il suo immenso cane.

Le SS inaugurarono il regno su Dachau con un’esplosione di violenza. Nel loro primo giorno, picchiarono i nuovi arrivati, riservando il peggio agli ebrei, e la notte, ubriache, aggredirono le vittime all’interno delle baracche. Il giorno successivo, 12 aprile 1933, erano ormai in preda a una frenesia assassina. Nel tardo pomeriggio, Steinbrenner chiamò quattro prigionieri: fra loro c’era Erwin Kahn, internato a Dachau fin dall’inizio, che solo una settimana prima aveva assicurato ai genitori di non potersi lamentare del trattamento ricevuto: «Spero!! di essere libero presto» scrisse in quella che sarebbe stata la sua ultima lettera. Gli altri tre uomini, Rudolf Benario, Ernst Goldmann e Arthur Kahn, erano poco più che ventenni e nuovi del campo, essendo arrivati il giorno precedente. Tutti e quattro avevano patito terribili sofferenze per mano delle SS – qualche ora prima Steinbrenner li aveva frustati a sangue – e temevano altre torture mentre questi li conduceva fuori dal campo con alcuni altri uomini delle SS, a quanto pareva per una sessione di lavoro coatto punitivo. Raggiunto un bosco poco lontano, una delle guardie chiese ai prigionieri con aria innocente se gli attrezzi che stavano portando fossero pesanti. Erwin Kahn rispose che non era troppo dura, ma la guardia ringhiò: «Fra poco ti cancelleremo quel lurido sorriso dalla faccia». Poi le SS alzarono i fucili e spararono alle spalle ai prigionieri. Quando le grida si spensero e tornò il silenzio, tre di loro giacevano morti, caduti scompostamente faccia a terra. Pur con una profonda ferita alla testa, Erwin Kahn era ancora vivo e una delle SS stava per finirlo, ma uno degli ufficiali di polizia rimasti arrivò sulla scena e si assicurò che il prigioniero venisse trasferito d’urgenza in un ospedale di Monaco. Quando, tre giorni più tardi, sua moglie andò a trovarlo, Erwin Kahn era lucido e le raccontò l’accaduto. Qualche ora più tardi, però, era morto anche lui, forse strangolato durante la notte dalle guardie che stazionavano fuori dalla stanza in cui era ricoverato.

I primi assassini compiuti dalle SS a Dachau furono premeditati, volti a dimostrare il potere dei nuovi padroni, ora che il regno della polizia era finito. In che modo, però, le SS scelsero le prime vittime fra i circa 400 prigionieri di Dachau? Sorprendentemente, fra le quattro vittime designate non c’erano oppositori politici di spicco: due erano stati semplici attivisti locali di sinistra, mentre gli altri due, in sostanza, non si erano mai occupati di politica. «In tutta la mia vita non mi sono mai iscritto a un partito politico» scrisse Erwin Kahn nella sua ultima lettera, non riuscendo a capire il motivo della detenzione a Dachau. Ciò che distingueva Kahn e gli altri tre dalla maggior parte dei compagni di prigionia era l’origine ebraica: tutti e quattro erano stati identificati dalle SS come ebrei, e come tali erano considerati i nemici più pericolosi. Come disse Steinbrenner a un altro prigioniero poco dopo gli assassini: «Lasceremo stare voi, ma faremo fuori tutti gli ebrei».

Una volta che le SS di Dachau cominciarono a uccidere, trovarono sempre più difficile smettere. Dopo una tregua di qualche settimana – mentre aspettavano di capire se l’avrebbero fatta franca –, giustiziarono diversi altri prigionieri. L’odio nei confronti dei comunisti era chiaramente un fattore importante, e tra i morti ci furono alcuni esponenti del KPD (solo Hans Beimler sfuggì per poco allo stesso destino), ma l’estremo antisemitismo metteva in ombra tutto il resto. Almeno 8 dei 12 prigionieri uccisi in sei settimane, dal 12 aprile al 26 maggio 1933, erano di origine ebraica, il che fece di Dachau di gran lunga il più letale dei primi campi per gli ebrei in Germania. E tra gli ebrei, quelli presi maggiormente di mira erano gli attivisti comunisti, che incarnavano l’odiata figura del «bolscevico ebreo»: solo uno dei sostenitori ebrei del KPD trascinati a Dachau nel 1933 sopravvisse. Per tutto il primo periodo del dominio delle SS, il comandante di Dachau, Wäckerle, si comportò come se fosse onnipotente. Questo influì anche sulle regole speciali da lui introdotte nel maggio 1933, che ponevano il campo sotto la «legge marziale» esercitata dal comandante e che minacciavano la «pena di morte» per qualunque prigioniero osasse incitare gli altri a «rifiutare obbedienza» alle SS.179 Sebbene la pena capitale fosse ancora monopolio del sistema giudiziario regolare, il veterano nazista Wäckerle riteneva che Dachau fosse al di sopra della legge.
Estratto: Nikolaus Wachsmann. Storia dei campi di concentramento

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