Il leggendario e misterioso tatzelwurm delle Alpi

Bentrovati al nostro consueto appuntamento con il mistero. Oggi madrina dell’articolo sarà la fotografia di Martina Sartor per il contest #scattaloradelmistero sul nostro gruppo Facebook

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È intorno al 1660, sulle Alpi, che si registra forse il primo avvistamento della misteriosa creatura nota come tatzelwurm quando, durante un’escursione con un amico, il contabile e guardiamarina Andreas Roduner si imbatte in un drago.

È una creatura che di fronte agli umani si alza sulle zampe posteriori raggiungendo l’altezza di un uomo. Ha il corpo ricoperto di scaglie, quattro zampe e una lunga coda. Ma la cosa più bizzarra è la testa, piccola come quella di un gatto e sormontata da una folta criniera che le scende lungo il dorso. A raccontare l’incidente è Johann Jakob Scheuchzer, medico naturalista svizzero, che nella sua Itinera alpina del 1723, prima opera scientifica a catalogare flora e fauna delle Alpi, raccoglie anche folklore locale e racconti su animali mostruosi e, in particolare, draghi.

Avvistamenti simili non sono unanovità. Già lo storico greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C., scrive di avere osservato in Arabia ossa e spine dorsali di “serpenti alati”che, secondo i racconti dei locali, volavano verso l’Egitto e potevano essere fermati solo dagli ibis, che per questo gli egiziani veneravano.

E Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historiae del 77 d.C., descrive la figura del basilisco, serpente alato capace di uccidere chiunque con il solo sguardo, anche se lungo massimo una ventina di centimetri. L’episodio raccolto insieme ad altri simili da Scheuchzer, però, documenta un tipo particolare di rettile che sembrerebbe caratteristico delle Alpi. Il tatzelwurm, o “verme con le zampe”, sarebbe stato infatti avvistato nel corso dei secoli lungo tutto l’arco alpino, dall’Austria alla Francia, passando naturalmente per l’Italia. Si racconta, per esempio, che nel 1779, nei dintorni di Unken, in Austria, un contadino di nome Hans Fuchs se ne trova ben due davanti e per lo spavento muore d’infarto. I familiari lo commemorano con un’icona dipinta, oggi conservata al Museo di storia naturale di Salisburgo, che lo presenta steso a terra e con i due tatzelwurm poco distanti, qui raffigurati simili a furetti o a grossi ratti, con la coda, quattro zampette e una lingua biforcuta.

Nell’immagine Fuchs si tappa il naso con la mano, forse nel tentativo di scampare al fetore letale delle terribili creature. Della loro esistenza è convinto, tra gli altri, il naturalista milanese Carlo Amoretti che, all’inizio del IX secolo, nel suo Viaggio da Milano ai tre laghi, si persuade come “la storia dei lucertoloni alpigiani, lunghi due e più metri,”abbia un fondamento di verità. Secondo lui questi animali appartebbero alla specie degli iguana, ma sarebbe difficile documentarne l’esistenza perché “essendo riputati velenosi collo sguardo, coll’alito e col puzzo, nessun osa toccarli.”

Tuttavia, egli chiarisce che “sono innocui, se non che furtivamente succhiano le vacche.”Non esistendo resti di questi animali, e cambiando la loro descrizione da un avvistamento all’altro, occorre figurarseli in qualche modo. Ecco allora nel 1836 un disegno del tatzelwurm riprodotto in un manuale alpino di Johann von Schultes: a guardarlo ricorda una lunga pigna con quattro zampette e i denti aguzzi. Non molto terrificante.

L’unica fotografia esistente della creatura è quella scattata nel 1934 da un tale di nome Balkin che, incuriosito da quello che gli sembra un tronco molto strano, lo fotografa e in seguito allo scatto del flash lo vede fuggire rapidamente nei boschi di Meiringen, in Svizzera –località rimasta famosa anche per un altro episodio: lo scontro finale, sul ciglio delle sue spettacolari cascate, tra Sherlock Holmes e il professor Moriarty. L’immagine di Balkin ritrae una sorta di pesce quasi sorridente che appare però scolpito nel legno o nella ceramica. Pochi la prendono sul serio e probabilmente nemmeno il detective di Baker Street l’avrebbe degnata di uno sguardo.

Lo stesso Bernard Heuvelmans, il papà della criptozoologia, ovvero la disciplina che si dedica alla ricerca di animali non ancora identificati, dice che in effetti “sembra più la foto di un modello della bestia che un animale vivo.”È molto probabile che gli avvistamenti raccolti, alcuni anche in tempi molto recenti, siano frutto di errori o suggestione. Difficile, anche se non impossibile, immaginare una specie di rettile ancora sconosciuto che si nasconderebbe tra le vette alpine senza lasciare alcuna traccia di sé.

Tuttavia, un barlume di speranza per i cercatori di strane creature arriva dal criptozoologo Jean-Jacques Barloy che, in un suo libro del 1987, racconta: “Ho raccolto di recente una strana informazione: ogni primavera, in Val d’Aosta, un tatzelwurm uscirebbe da una sorgente con il salire delle acque, e sarebbe così visibile per qualche tempo.”Non resta dunque che trovare la sorgente e il gioco è fatto.

Tratto da ATLANTE DEI LUOGHI MISTERIOSI D’ITALIA di Massimo Polidoro
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