“Il magnifico perdente” di Sonia Morganti

Londra, 1837.Un uomo e un bambino s’incontrano lungo le strade affollate e fumose della città. Entrambi, per motivi diversi, sono stati costretti a lasciare l’Italia e i propri cari, entrambi hanno negli occhi la malinconia degli esuli e il coraggio dei sopravvissuti. L’uomo è Giuseppe Mazzini. Quell’incontro, nel giro di pochi anni, porterà alla nascita della scuola italiana gratuita di Hatton Garden che concretizza gli ideali più elevati del nostro Risorgimento. Il filo della storia s’intreccia con le vite degli esuli italiani, con i loro ricordi e le loro speranze, tra delatori e nuovi amici, sostenitori e traditori, amori senza fine o senza inizio. Sullo sfondo, un’Inghilterra contraddittoria e un’Italia ancora informe, ma già molto simile alla nostra. Il romanzo nasce sia dalle suggestioni delle molte lettere di Mazzini, vivida testimonianza del suo sentire profondo e del suo spirito indomito, sia dallo studio dei suoi scritti che ne documentano l’eccezionale modernità di pensiero.

Copertina flessibile: 253 pagine
Editore: Oakmond Publishing (24 aprile 2019)
Lingua: Italiano

Recensione di Giuseppe Cuminatto

Quando mi è stata proposta la lettura di “Il magnifico perdente” ho avuto un attimo di titubanza: era il terzo romanzo storico con ambientazione “recente” che mi trovavo tra le mani nel giro di pochi mesi. Amo profondamente i romanzi storici, ma ho sempre preferito epoche un po’ più lontane nel tempo e, forse, senza uno stimolo esterno non avrei scelto il libro di mia iniziativa. Mi ha molto incuriosito, però, fin dalla prima pagina il fatto che il protagonista fosse Giuseppe Mazzini: un personaggio conosciuto(?) sui banchi di scuola, onestamente non tra i più simpatici. Mi aveva sempre un po’ urtato quello che consideravo un’incongruenza: il suo dichiarato anticlericalismo (o meglio anti-papismo), il suo volere un’Italia definitivamente decristianizzata, che strideva con i concetti di “Dio e Patria” o “Libera Chiesa in libero Stato” sicuramente da lui condivisi e propugnati.
La lettura, però, ha cominciato subito a scorrere, merito sicuramente anche di una scrittura che aiuta a scivolare sulle pagine, grazie alla piacevolezza del linguaggio, al fraseggio semplice e al contempo ricco di vivacità, scorrevole, lessicalmente ricco e corretto (cosa non scontata, in molti autori emergenti o sedicenti tali).
L’uomo Mazzini, che emerge dalla narrazione del suo esilio londinese, è una persona che il lettore sente istintivamente amica; un compagno con cui percorrere un tratto di strada, quello non facile della lontananza forzata da casa e dagli affetti più cari. Ci si sente come uno dei suoi compagni di (s)ventura, se ne condividono i sentimenti, i pensieri e le emozioni; ci si immerge, da italiani, in una Londra certamente accogliente, ma non certo allegra, né invitante. Si soffre con i bambini “venduti” e usati come strumenti di accattonaggio. Si incontrano persone, a volte simpatiche, altre volte scostanti o addirittura “cattive”, ma sempre vere, concrete, vive.
Leggendo diventa quasi naturale seguire i pensieri di Pippo (così chiamano Giuseppe gli amici), abbandonarsi con lui alle note della sua chitarra (non avrei mai immaginato che Mazzini suonasse questo strumento), condividere le sue ansie per gli amici lontani e in pericolo (in particolare i fratelli Bandiera) e gioire della maturazione del suo pensiero.
«Fino ad ora abbiamo lavorato per il popolo, è il momento che si inizi a lavorare con il popolo.»
e ancora
credere, nonostante tutto, in «un’Italia che nasce nell’educazione, nel pensiero, nell’anima prima che sulla carta geografica. Nasce con ogni figlio amato dalla famiglia e protetto dalla società.»
Il Mazzini, che gli allievi della scuola serale gratuita che fonda e gestisce a Londra chiamano “Capitano”, che si fa beffe dell’umorismo inglese, che è fedele alla scelta di vestire sempre di nero in segno di lutto, che crede e lotta a costo della vita per la libertà sempre, nonostante tutto, e per tutti (amici e nemici), sostenendo:
«… la libertà senza uguaglianza diventa una realtà per un piccolo numero di privilegiati e una parola priva di senso per la grande maggioranza. In troppi sono sprovveduti di mezzi, di tempo, di educazione e di occasioni per goderne.»,
diventa, pagina dopo pagina, un compagno e un amico.
L’amico che i fratelli Bandiera, prima di morire, consapevoli di essere uomini d’azione, padroni dei propri gesti, eleggono a loro testimone tramite la parola, perché
«Invece la parola è altro: è azione celata in una pallottola di inchiostro. Colpisce ed entra dentro a fermentare; a volte infetta, altre germoglia.
D’altronde in principio era il Verbo.
Il Verbo era presso Dio.
E il Verbo era Dio.
Allora Dio è davvero pensiero e azione.»
Per concludere non si può che far riferimento a quanto scritto nella postfazione del libro e che mi ha fatto cambiare lo sguardo su quest’uomo, che avevo conosciuto in un certo modo sui banchi di scuola. Ora posso condividere con l’autrice che
«… Mazzini aveva ragione. L’educazione può salvare il mondo. L’unico difetto è che ci mette parecchio tempo. Ma “il magnifico perdente” ha comunque vinto, perché nulla può strapparci principi interiorizzati profondamente.»
“Il magnifico perdente”, dunque è un libro da leggere senza remore, con la mente aperta: se ne trae più di un beneficio. Provare per credere.

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