Il mare d’amore. Eros, tempeste e naufragi nella Grecia Antica – Giorgio Ieranò

La tempesta d’amore, l’onda della passione, l’amante come naufrago. Il desiderio erotico ha un suo lessico marinaro che è entrato anche nel linguaggio comune. Ma il rapporto indissolubile fra l’amore e il mare nasce nella Grecia antica. Nelle saghe della mitologia gli amanti eroici (Teseo e Arianna, Giasone e Medea, Paride ed Elena) solcano le onde sospinti dal vento del desiderio. Isole e scogli sono spesso scenari dei drammi amorosi e un tuffo tra le acque, come quello di Saffo dalla favolosa rupe di Leucade, sigilla talvolta una storia infelice. Sullo sfondo c’è il culto della dea Afrodite che, per i greci, non era solo la divinità dell’amore ma anche una signora dei mari e una protettrice della navigazione. Tramite le parole dei poeti, dai lirici greci alle elegie di Ovidio, l’immagine del mare d’amore ha attraversato i secoli. Alla radice, un nucleo profondo, un senso drammatico dell’esistenza umana. C’è l’antica consapevolezza che oscure potenze divine, come il tremendo Eros, possono in ogni momento sconvolgere la vita dei mortali, vanificando ogni orgogliosa pretesa di autosufficienza. E c’è il senso, tipicamente greco, della vita come esperienza aperta e mai risolta, come scacchiera su cui il destino o il caso giocano la loro partita. Non solo in amore, ma in ogni nostra vicenda, la tempesta è sempre in agguato.

  • Editore ‏ : ‎ Laterza (7 novembre 2019)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 271 pagine

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

“Afrodite è il mio capitano, Eros tiene

il timone,

reggendo in mano la barra della mia 

anima.

Infuria il vento tempestoso del desiderio”

~ Meleagro ~

Gli antichi poeti greci hanno spesso fatto ricorso a immagini in cui il desiderio amoroso e il mare appaiono indissolubilmente legati. Entrambi incostanti, imprevedibili, a volte ingannevoli e traditori. Più volte, l’innamorato è stato rappresentato come un nuotatore in balia delle onde o come una nave alla deriva.

Come nasce questa associazione così ricca di sfumature e di significati?

Se per i latini si può parlare di un’assonanza tra le parole “mar” e “amor“, non si può dire lo stesso dei termini utilizzati dai greci per indicare il mare (thalassa, pèlagos, pontos). La relazione tra questi due elementi nasce all’interno di una dimensione simbolica, nella quale si mescolano credenze religiose e mitologiche.

Che rapporto avevano i greci con il mare?

Nella letteratura greca, la bellezza del mare non era quasi mai celebrata. Il mare era “l’elemento insondabile ed infido per eccellenza, il luogo della dissoluzione e della morte”; un luogo dove avvenivano fatti prodigiosi, ma al contempo pieno di insidie e di pericoli. L’incarnazione perfetta dell’esperienza amorosa, che turba, agita, confonde, e non è priva di rischi.

“L’amante sta all’amore come la nave, il marinaio, il naufrago o il nuotatore stanno al mare.”

Nell’Odissea, questa natura terribile e insidiosa del mare è particolarmente evidente. Si parla di naufragi, di un viaggio travagliato verso Itaca, e di mostruose creature marine. 

Anche i colori che i greci attribuivano al mare (porpora, vino, bianco abbagliante), così diversi dai nostri, evocano la percezione di esso come un elemento misterioso, inquietante, pericoloso e cangiante.

C’è anche una divinità che incarna questa associazione tra il mare e l’amore. Si tratta di Afrodite, dea dell’amore, ma anche signora dei mari e protettrice dei naviganti.

Chi doveva intraprendere un viaggio per mare si affidava alla sua protezione attraverso sacrifici, preghiere ed ex voto. Sulle navi erano spesso imbarcati altari e immagini di culto della dea.

Numerose iscrizioni attestano questo suo ruolo, e troviamo traccia di culti di Afrodite marina un po’ in tutto il Mediterraneo.

C’è un luogo, in particolare, dove la sessualità, il mare e il culto di Afrodite si intrecciano in modo evidente: Cipro.

Si parla dell’esistenza, in antichità, di forme di prostituzione sacra, e dell’usanza di mandare le giovani a prostituirsi sulla riva del mare, prima del matrimonio, per guadagnarsi il necessario per la dote. La loro verginità veniva offerta a Cipride (Afrodite). 

Clemente di Alessandria ci testimonia la presenza nell’isola di Riti afroditici di Cipro o Riti sacri del piacere marino.

Nelle opere degli antichi greci, Afrodite è spesso contrapposta a Eros. Eros è descritto come un tiranno capriccioso e selvaggio, che fa perdere la ragione e l’equilibrio agli uomini dei quali s’impossessa. È “brama mostruosa“, una passione malata e distruttrice, che rende schiavi e conduce al delirio. Afrodite, invece, è l’aspetto gioioso, appagante e rasserenante dell’amore. Eros è il mare in tempesta; Venere è il mare calmo (galène), sul quale si può navigare senza rischi. Afrodite rappresenta un desiderio erotico controllato, ma non per questo meno appagante.

“Non perde il frutto di Venere chi evita Amore, ne deliba piuttosto le gioie e ne schiva gli affanni.”

Ma per molti autori classici, tra i quali Meleagro, la “bonaccia” è quasi sempre soltanto un’illusione, perché la tempesta amorosa è qualcosa di permanente, e l’uomo è per tutta la vita in balìa di essa.

“Onda amara di Eros, passioni gelose

che soffiate

Senza tregua, mare tempestoso dei festini:

dove mi trascinate? La barra del

timone si è ormai allentata.”

Se si parla di mare e di seduzione, non si può non parlare delle Sirene, e anche in questo caso emerge il lato inquietante e insidioso del mare.

Ho voluto darvi solo un piccolo assaggio degli argomenti affrontati da Giorgio Ieranò in questo interessante saggio, scritto con un linguaggio ricercato ed evocativo. È stata una lettura affascinante e suggestiva, e non nascondo che i continui rimandi alla letteratura classica e latina mi hanno fatto venire voglia di leggere/rileggere le opere citate. 

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