Il processo – Franz Kafka

Josef K. condannato a morte per una colpa inesistente è vittima del suo tempo. Sostiene interrogatori, cerca avvocati e testimoni soltanto per riuscire a giustificare il suo delitto di “esistere”. Ma come sempre avviene nella prosa di Kafka, la concretezza incisiva delle situazioni produce, su personaggi assolutamente astratti, il dispiegarsi di una tragedia di portata cosmica. E allora tribunale è il mondo stesso, tutto quello che esiste al di fuori di Josef K. è processo: non resta che attendere l’esecuzione di una condanna da altri pronunciata.

Copertina flessibile: 256 pagine

Editore: Feltrinelli; 13 edizione (1 febbraio 2014)

Collana: Universale economica. I classici

Lingua: Italiano

ISBN-10: 8807900963

ISBN-13: 978-8807900969

È un romanzo incompiuto pubblicato per la prima volta nel 1925. Si compone di dieci capitoli scritti tra l’agosto del 1914 e il gennaio del 1915 e riveduti a più riprese da Kafka fino al 1917. Il manoscritto giunse nel 1920 nelle mani di Max Brod, amico di K.,  che lo valutò come la più grande opera dello scrittore. Brod esaminò il manoscritto e dopo aver eseguito alcune piccole modifiche contrariamente alla volontà dello scrittore, pubblicò il romanzo nel 1925.

In quest’opera K. usa uno stile che serve lo scopo di rendere la narrazione spersonalizzante e angosciosa. I personaggi sono spesso descritti in modo parziale e criptico. Lottano, ma poi si arrendono. Dicono no all’esistenza nel bene o nel male. Sono personaggi deboli, fragili, raggirati che spesso non si sentono all’altezza e provano vergogna. Sono personaggi che non hanno timore dell’ignoto, quanto piuttosto di essere ignoti, di risultare trasparenti al resto del mondo. Sono personaggi che vivono in un universo in cui incombe il caos, governato da leggi quasi sempre incomprensibili.

La scrittura è lucida, fredda, tagliente che sfregia come un rasoio.

 

“Qualcuno doveva aver calunniato Josef K, perché, senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato”.

 

Eccolo, l’imprevisto, l’alienante eventualità.

E’ tutto lì, potremmo anche non andare avanti a leggere.

Raramente un incipit riassume così profondamente ed esplicitamente tutto un romanzo.

La  vicenda è nota a tutti: tratta di un tale Joseph K. ( K come l’autore, ma è bello osservare come “K” sia in matematica uno dei simboli delle costanti, e dunque di una condizione universale) che viene sottoposto improvvisamente ad un processo di cui ignora le ragioni, ignora il tipo di accusa che grava su di lui e di cui non riesce  ad intravedere né la spiegazione né la conclusione.

La narrazione è frammentaria. Il tutto dà un’idea di non finito, di lasciato a metà, spezzato dalla precoce morte dell’autore che diventa tutt’uno con la pagina scritta e con la storia narrata, aumentando così la tensione e il disagio che colpisce il lettore fin dalle prime righe. Nell’avvicinarci a quest’opera noi entriamo in diretto contatto con lo scrittore, con i suoi disagi, con la sua vita e con la sua morte fattesi esse stesse romanzo e nel contempo esperienza. In K. la fusione tra parola e autore è completa, perfetta, ci avviciniamo a qualcosa che supera l’umano o l’umanamente comprensibile per toccare l’ineffabile.

Il tema principale del romanzo è il rapporto che sussiste tra colpa e innocenza. Il soggetto viene condannato a livello sociale e giuridico senza che ve ne sia una ragione evidente. Tutti sono coscienti di ciò che sta accadendo e con il loro atteggiamento giustificano, rendono plausibile e vera la condizione di accusato del protagonista. Posto dunque che la colpa del protagonista non è immediatamente identificabile, ma è nota a tutta la società in cui vive, emergono dunque i tratti di una colpa atavica, immensa, di cui il reo è solo in parte consapevole e, pertanto, non può reagire scagionandosi. La sua è una sorta di eredità inalienabile, che fa parte di sé e lo condanna qualunque siano le sue azioni.

Il Processo è, sicuramente, un romanzo altamente simbolico e le chiavi di lettura sono molteplici. La lettura più immediata, e non per questo la più ovvia, è certamente quella nichilista: la vicenda di Joseph K è un riflesso dell’assurdità, del nulla dell’esistenza. L’uomo s’illude che la propria vita abbia un fine, ma in realtà l’esistenza umana è assurda, casuale, priva di significato, proprio come lo è la drammatica vicenda di Joseph che muore perché non sa decifrare i segni che lo circondano e perché il mondo stesso rimane illeggibile.

La lettura di questo libro tormenta il lettore che non riesce a dimenticare l’incombenza del processo, che si diffonde, come tutte le strutture del tribunale, che si estendono come un reticolo in tutta la città, in ogni spazio e interstizio della nostra mente e della nostra anima. Sottile il fatto che K., il processato, assuma spesso nei confronti degli altri, gli stessi toni inquisitori di chi processa. Segno questo tangibile dell’ambivalenza della natura umana e della fusione della vittima nello stesso ruolo del carnefice, senza soluzione di continuità e senza la possibilità di razionalizzare la realtà.

Recensione di Cristina Costa

 

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.