Il romanzo della foresta – Ann Radcliffe

Il romanzo della foresta 

Una carrozza lanciata a tutta velocità nella notte termina la sua corsa tra le rovine di un’antica abbazia nel sud della Francia, nel folto di una foresta, dove un inconsueto gruppo di fuggitivi trova finalmente riparo. Pierre e Constance De la Motte, nobili decaduti, si nascondono dalla legge e dai creditori; la giovane Adeline, la loro misteriosa protetta, si è unita ai De la Motte lungo la strada, consegnata da un manipolo di banditi. Il sollievo per il nuovo rifugio dura fino al giorno in cui il proprietario di quei boschi, l’ambiguo marchese di Montalt, mette gli occhi sulla ragazza. Tra la scoperta di sinistre reliquie del passato, incubi ossessivi e l’eco di un crimine commesso tra le mura dell’abbazia, Adeline comincerà a credere che il suo protettore sia coinvolto nei piani del marchese. Il romanzo della foresta apparve con clamore nel 1791 e diventò il libro con cui tutti i grandi del XIX secolo letterario dovettero confrontarsi: fu d’ispirazione per Jane Austen, John Keats, Mary Shelley, Honoré de Balzac, E.A. Poe, Charles Dickens e Wilkie Collins. Un romanzo pioniere del genere gotico, che con la cura di Massimo Ferraris è qui proposto in una nuova traduzione, la prima integrale in italiano.

  • Copertina flessibile: 415 pagine
  • Editore: Elliot (28 novembre 2019)
  • Collana: Raggi
  • Lingua: Italiano

Recensione a cura di Fabiana Farina

Ecco a voi il padre del genere gotico.

Questo libro, scritto nel 1791 e pubblicato, in un primo momento in forma anonima, per poi essere, successivamente rivendicato da Ann Radcliffe, da spunto a numerosissimi autori dell’800, da Jane Austen, a Mary Shelley a Honoré de Balzac a Edgar Allan Poe e tantissimi altri mostri sacri della letteratura che traggono da questo romanzo ispirazione per i loro libri e io, modestamente nel mio piccolo mi sento onorata di aver letto la prima traduzione in italiano.

Cercherò di spiegare la trama in modo semplice e sintetico visto che è abbastanza cervellotica.

“Un amico è degno di stima solo se la sua condotta lo merita, l’amicizia che sopravvive ai meriti della persona, amata è in disgrazia, invece di un onore, per entrambi le parti”. 

Il nobiluomo Pierr

e de la Motte non riuscendo a saldare i debiti di gioco e con una condanna sulla testa decide di scappare da Parigi e rifugiarsi, con la moglie e due servi, in un luogo lontano, nella speranza di non essere braccato dai soldati del Re durante la fuga.

Mentre attraversano una foresta, sotto un bruttissimo temporale, perdono la strada e vedendo in lontananza una casupola, decidono di fermarsi a chiedere informazioni. Lì vengono ricevuti da personaggi loschi che chiedono in cambio per le informazioni date di portarsi via una fanciulla di nome Adeline, che è stata abbandonata da suo padre.

Continuando nella loro fuga arrivano davanti a un’abbazia abbandonata e mezza diroccata e decidono di passare la notte. L’indomani, facendo una ricognizione del posto decidono di soggiornarvi.

Passa il tempo in modo abbastanza tranquillo fino all’arrivo del marchese di Montalt, proprietario della foresta e del suo seguito. Il marchese fa una corte serrata alla bellissima, dolcissima, ingenua, piagnona e svenevole Adeline, ma lei lo rifiuta e davanti al suo no,  la rapisce e la porta nella sua villa. Lì con l’aiuto di Theodore riesce a scappare fino a quando il marchese li ritrova, denunciando e arrestando Theodore e riprendendosi Adeline.

Riportata nell’abbazia, il marchese chiede a de la Motte di ucciderla ma quest’ultimo non ne ha il coraggio e aiuta Adeline a fuggire insieme al suo fedele servitore.

Adeline e Peter attraversano le Alpi arrivando in un villaggio in Svizzera e lì saranno ospiti del pastore (reverendo) La Luc.

La salute di La Luc peggiora e su consiglio del dottore si mettono in viaggio verso Nizza, ma quando stanno ritornando dal mare verso l’entroterra si fermano in Linguadoca dove per caso Adeline incontra Louis. E l’incontro con Louis vuol dire che dovrà affrontare nuovamente la sorte con il marchese Montalt.

“Là dove c’è la colpa, la pace non può entrare”. 

Che dire, è un libro bellissimo che ha i suoi pro e contro.

PRO: La traduzione in italiano mantiene e rispetta fedelmente lo stile di scrittura dell’epoca.

CONTRO: Un po’ troppo prolisso, la scrittrice non si è risparmiata a parole, a volte risulta ripetitivo, gli inserimenti di sonetti, poesie, canzoni a volte vengono a noia.

PRO: Alcuni di questi inserti sono meravigliosi, potrebbero fare in libro a sé.

CONTRO: La nostra eroina manca di spina dorsale (qui non possiamo farci nulla, erano i canoni femminili dell’epoca), si piange continuamente addosso per la sorte capitata, l’unico modo che usa per affrontare le avversità sono piangere e svenire.

PRO: La scala gerarchica dei personaggi maschili è ben delineata e conforme al loro status sociale perciò l’unico cattivo del racconto è il marchese il quale detta legge nel bene e nel male.

CONTRO: In questa scala, tutti i maschi che siano al di sotto del marchese sono fin troppo buoni, troppo intergerrimi, troppo sensibili; addirittura li ritroviamo con le lacrime agli occhi solo al sentire il racconto della vita sfortunata di Adeline.

PRO: La descrizione dei luoghi è stravolgere.

PRO: Va letto almeno una volta nella vita e non solo perché è un libro meraviglioso o perché rientra nella categoria dei classici, va letto solo per il piacere della lettura prendendosi il tempo che ci vorrà dal momento in cui non si può dire che è scorrevo

le, ma si lo è ipnotico.

PRO: la sua lettura ci aiuta a capire e “studiare” il pensiero dell’epoca.

“È come se noi stessimo camminando sulle rovine del mondo e fossimo gli unici sopravvissuti al disastro. Faccio fatica a convincermi che non siamo rimasti solo noi sulla Terra”. 

Adesso tocca a voi scoprire ciò che ne è stato dei personaggi e in particolar modo ciò che sarà di Adeline e il marchese Montalt.

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