In viaggio per le ricerche sulle streghe scozzesi tra storia, leggende e misteri.

d.sa Monia Montechiarini

Donna Prudentia del Fochetto, Belisandra, Eleanor, Frau Gera, Donna Angiola: cosa hanno in comune tra loro? Sono di Stati diversi, ma tutte imputate nei processi contro di loro, per reati di eresia e stregoneria. Questi alcuni dei nomi che i fascicoli antichi e Acta Criminalia ci restituiscono da un passato che rischia di andare disperso.
Dal Tardo Medioevo all’Età moderna, il fenomeno della stregoneria colpì tutta l’Europa e non solo, generando mostri dove l’ignoranza non riusciva a spiegare certi fenomeni, o, ancora peggio, quando la macchina giudiziaria era azionata alla ricerca di un capro espiatorio, colpevole delle disgrazie umane. “E’ stregha, ne è pubblica voce et fama”, così come “Di certo è colpa della strega, è risaputo che la notte si trova con il diavolo”, sono le accuse generali mosse dai cittadini contro alcune donne sospettate di eresia e stregoneria, realmente vissute e sottoposte a giudizio dalle Autorità.
A guidare il mio lavoro da 20 anni, assetata di nuovi casi trovati nei processi da verificare sui luoghi che furono teatro dei fatti e delle “scene del crimine”, è l’impegno a far conoscere al pubblico sempre più vasto l’Inquisizione, come realmente è stata. Il funzionamento di essa e gli aspetti giuridici, certamente, ma soprattutto scoprire ciò che le Carte ingiallite ci svelano dietro ai riti giudiziari. Questo rende necessario, ormai da anni, andare sui siti storici, luoghi di sepolture, cottage e case, palazzi, carceri nascoste sotto ai castelli a picco sulle scogliere, al fine di comprendere effettivamente l’attendibilità dei verbali annotati con cura da notai e cancellieri.
Va detto che si arriva alla definizione del crimine di stregoneria non immediatamente, ma è il risultato di una evoluzione normativa che va di pari passo alla valenza negativa assunta dalla donna, ormai arrivata al centro del legame diabolico. Purtroppo non è questa l’occasione per analizzare l’origine del fenomeno che trasforma la magia popolare in prove del legame diabolico, e nemmeno le procedure che i giudici usavano nei processi inquisitori per scoprire i segni del demonio. Il passaggio necessario per comprendere i fatti, è invece esaminare il profilo criminale di esse.

Il profilo criminale dell’imputata.
“E’ forestiera”, “ non ha figli né marito”, “sa far certi gesti sul capo dei putti guasti dalle streghe”. Ecco riassunte alcune delle caratteristiche delle accusate: forestiere, donne intraprendenti e in possesso di “certe abilità”, curatrici, erboriste, levatrici che mettevano la propria conoscenza a disposizione del prossimo. A titolo gratuito così come contro pagamento in soldi o natura, un pollo o 40 soldi bastavano per guarire “i putti fatti gialli e magri come fruscelli”, partorienti in difficoltà quando il nascituro “veniva coi piedi in avanti” e molti altri casi.
Sole, spesso sopravvissute ai mariti e figli caduti in guerra e arrivate in città per trovare migliore fortuna, avevano subito attirato gli sguardi dei paesani. Erano state colte sul fatto, a camminare di notte col lume spento e spettinate, contravvenendo alle leggi locali. Alcune di loro possedevano terreni di cui altri volevano impadronirsi. Di certo, apparivano, parlavano e si comportavano in modi non in linea con la loro epoca.
Mettendo mano agli archivi in Europa, in particolare in Italia e Scozia per trovare soluzioni a delitti del passato rimasti irrisolti, attraverso la ricerca cerco di scoprire i veri motivi che si nascondono dietro alle accuse. Leggendo ad esempio la storia di Donna Prudentia, processata nel 1588 come strega “Lamia”, ovvero una particolare specie che succhia il sangue ai bambini stretti nella “cunnola”, scopriamo il modus operandi della magistratura e i princìpi legali. Quello che balza agli occhi esperti però, sono gli antefatti che hanno mosso la macchina giudiziaria contro di lei. Antiche inimicizie, gelosie, rancori e interessi economici sono alla base delle denunce. La vicina di casa la indicherà in effetti, “nemica mortale”. Ma cosa avevano fatto queste donne e dove si incontravano?
Sui luoghi dei sabba, le attività delle streghe.
“Incantazione, sortilegio, fatture diaboliche, incitamento dei giovani alla prostituzione, atti contro la fede cristiana, unioni carnali con l’uno e l’altro sesso” erano questi alcuni dei fatti addebitati alle imputate che compivano durante le loro riunioni notturne in cui, mentre ballavano in cerchio, compariva il diavolo. Allora unguenti e altri oggetti magici, venivano ricevuti in cambio dei servizi che, in virtù del patto siglato col signore del male, ottenevano in cambio. Questi riti venivano celebrati in luoghi lontano da occhi indiscreti, raggiunti in volo o grazie a unguenti estratti da “schifezze” o dalle creature “succhiate”. Trasformate in gatte o altri animali (i verbali ci raccontano non solo di civette) in volo potevano raggiungere il celebre noce di Benevento, le foreste della Germania, o il centro della Scozia.
Proprio questo ultimo Paese offre panorami stupendi che sono stati teatro di vicende più dure di quelle avvenute in Italia. Le antiche tradizioni precristiane persistevano nelle isole e nelle aree di campagna come le Highlands, zona battuta dal vento e con condizioni climatiche estreme. Era qui che le donne usavano la digitale purpurea di cui le brughiere sono ricche in estate, per lenire alcuni dolori che però, in dosi eccessive, provocava alterazioni della percezione e allucinazioni al pari della belladonna e dallo stramonio. Il principio attivo è tuttora usato nei preparati farmacologici per il sistema cardiaco.
Sempre in queste Terre, gli atti ci raccontano di gruppi di donne che continuavano a praticare antiche tradizioni: le testimoni affermano di aver partecipato a falò propiziatori in alcuni periodi dell’anno, sepolto parti di tessuto accompagnate con una preghiera, danzato su antichi siti in cui comparivano “pietre”. Sono luoghi che, ancora oggi, conservano un fascino incredibile: uno tra essi, il sito preistorico di Clava Clairns. Reso famoso dalla serie TV “Outlander”, ricostruzione del romanzo di Diana Gabaldon con un altro nome, Craigh Na Dun, si trova vicino a Inverness. Precisamente poco distante da Culloden, Blàr Chùil Lodair in gaelico, campo di battaglia dove il 16 aprile 1746 i Clan Scozzesi sostenitori di Carlo Edoardo Stuart, “Bonnie Prince Charlie”, furono atrocemente sconfitti dalle forze lealiste condotte dal Duca di Cumberland a danno della loro indipendenza. Tra immense querce incastonate nelle colline vicino al mare, secondo le accusatrici, alcune streghe si sarebbero recate lì per celebrare il sabba, ovvero la riunione notturna in cui si danzava e abbracciava il legame col maligno. Era qui che, in cambio di questo, potevano acquisire poteri derivati dal patto satanico, necessari a trasformarsi e compiere crimini efferati soprattutto a danno di bambini. Molte di esse vennero accusate di stregoneria, e nei verbali leggiamo di donne che effettivamente erano convinte di aver valicato il mondo terreno ed aver incontrato la Regina delle Fate. Trasportate da un uomo su un gigante cavallo nero, di cui riportano il nome, o in altri modi del tutto fantasiosi. Mi addentro spesso in queste aree impervie ma di una bellezza unica, per verificare, attraverso il confronto incrociato dei dati a mia disposizione, i fatti riscontrati nelle parole delle protagoniste dei processi, quasi sempre al femminile. E’ qui che i bambini potevano essere rapiti dalle fate: queste creature magiche avrebbero sostituito i propri figli malaticci, con i neonati sani degli umani, ai quali rimaneva il piccolo brutto e debilitato. A distanza di qualche tempo, la famiglia si sarebbe accorta dello scambio e avrebbe cercato di recuperare il proprio discendente, senza riuscirci. Un modo drammatico, di giustificare la perdita che, ancora oggi, viene raccontata dalle persone della zona e raccolta in antichi processi dove le donne furono accusate di infanticidio. Questo luogo sembra ancora oggi custodire i segreti e sussurrare antiche confidenze: l’atmosfera creata dalle pietre poste nel luogo di sepoltura, che in particolare durante il tramonto assume una luce particolare, gli alberi secolari chinati su se stessi per il peso, la valle retrostante battuta da raffiche di vento che trascina con sé l’odore salmastro che sale dall’oceano sul Moray Firth.
Andando più a Nord, i processi raccontano di donne che vivevano sulle coste e cucinavano rimedi salutari estratti dalle alghe, unite alle storie sulle antenate delle streghe: le selkie. Un prete si dirà convinto di averle viste danzare in periodi particolari dell’anno, venute sulla terra ferma. Sono le donne del popolo delle foche, il termine in lingua locale significa proprio questo: i pescatori erano convinti che questi mammiferi assumessero sembianze umane dagli occhi neri e capelli lunghissimi, proprio come è possibile vedere incontrando una foca che, incuriosita, fa capolino tra le acque spiandoti. Quando si trasformano divengono vulnerabili, e gli isolani le sposano per farne amorevoli madri. Sottratte alla loro natura, conserveranno lo sguardo triste e malinconico, finché non faranno ritorno a casa. Esistono documenti che richiamano queste storie, arricchendole di particolari tanto interessanti quanto misteriosi.

Come nel nostro Paese, anche in Scozia mi sono imbattuta in numerosi casi giudiziari che hanno come protagonisti dei contadini poverissimi: vivevano tra gli stenti conseguenti le guerre tra nobili e proprietari terrieri, aggravati dai disagi provocati da condizioni atmosferiche difficilissime. Le carte ci svelano la storia di una donna, che aveva perso il latte e non poteva più allattare il piccolo al seno: era certa che la colpevole fosse la loro vicina di casa che li aveva guardati male la sera prima. Disperata, per un po’ la loro mucca sopperì tale mancanza, e sembrava che le cose procedessero bene. Di lì a poco però furono colpiti ancora dalla “malasorte”: anche l’animale perse il latte. Ecco quindi, cercare a tutti i costi dei rimedi: la madre chiese aiuto a una presunta “creatura che compariva di notte in una buca”, che in cambio di alcuni favori avrebbe salvato il piccolo. Per prima cosa, i genitori avrebbero dovuto rinnegare la fede cristiana e tornare alle antiche usanze. Un oggetto magico avrebbe salvato l’animale, proteggendolo da fatture. Nei documenti si leggono la disperazione e la speranza, al contempo, così pure in alcuni casi del Nord Est italiano: sugli animali era posta al collo una croce di viburno per difesa, da tenere soprattutto durante un viaggio notturno all’interno di boschi fitti e misteriosi. Le streghe non li avrebbero colpiti, lasciando così sano quel mezzo di sostentamento indispensabile alla sopravvivenza.

Ci sono poi i richiami dei giudici che annotano tutte le indagini condotte all’interno delle case: “unguenti come quelli di grasso di lupo o cane, latte d’asina, cenere e polveri di colore rosso” andavano cercati in posti specifici delle abitazioni. Chi conduceva le ispezioni doveva rintracciare anche aghi, erbe e spilli, chiodi o altri ferri.
I documenti quindi ci raccontano storie affascinanti, tra frasi di rito in latino, accuse e confessioni spesso in dialetto, svelando misteriosi oggetti e pratiche annotate con cura e a mano, dai cancellieri e notai. Conservano segreti di persone realmente vissute in luoghi dove si sono consumante vicende drammatiche, quando le presunte streghe erano divenute il capro espiatorio di tutti i mali che affliggevano interi paesi: le colpevoli eccezionali di pestilenze, morti premature, guerre e tempeste. Però, superando i luoghi comuni, i dispositivi delle sentenze sono molto spesso favorevoli alle imputate, condannandole a pene diverse e più leggere dei roghi. Talvolta il tribunale dell’Inquisizione scagiona le imputate, condannando addirittura gli stessi cacciatori di streghe a risarcire anche il danno subìto dalle donne vittime di questo accanimento.
Per saperne di più di questo aspetto, “Stregoneria: Crimine Femminile. Il caso di Donna Prudentia, la Lamia di Blera, e altre streghe” (2018, Edizioni Penne & Papiri).

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L’articolo è un regalo per Septem. E’ vietata la riproduzione e la copia, anche parziale senza autorizzazione.
Le foto sono scattate da Monia Montechiarini, durante le sue numerose ricerche in Scozia e soggette a copyright.

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