INTERVISTA AL LIBRO – Il miglio verde di Stephen King

Tornano le interviste al libro!

Oggi abbiamo con noi Fabiola Madàro e Maria Grazia Dicarlo con Il miglio verde di Stephen King

Trama.

Nel penitenziario di Cold Mountain, lungo lo stretto corridoio di celle noto come Il Miglio Verde, i detenuti come lo psicopatico Billy the Kid Wharton o il demoniaco Eduard Delacroix aspettano di morire sulla sedia elettrica, sorvegliati a vista dalle guardie. Ma nessuno riesce a decifrare l’enigmatico sguardo di John Coffey, un nero gigantesco condannato a morte per aver violentato e ucciso due bambine. Coffey è un mostro dalle sembianze umane o un essere in qualche modo diverso da tutti gli altri? Un autentico capolavoro firmato Stephen King e dal quale è stato tratto lo straordinario film di Frank Darabont con Tom Hanks.

 

 

Cosa vi ha spinto a leggere questo libro?

MARIA GRAZIA: Raramente rileggo un libro, ma “Il miglio verde” è una delle poche letture che nel tempo ho riletto, e che mi fa sempre piacere rileggere.

FABIOLA: Amo Stephen King e questo romanzo in particolare. L’ho riletto perché ne sentivo la mancanza e già so che lo rileggerò il prossimo anno dato che ho intrapreso la lettura in ordine cronologico delle opere di King.

C’è una citazione che vi ha colpite?

MARIA GRAZIA: “Il fatto semplice è che il mondo gira. Puoi sederti e girare con il mondo o puoi alzarti in piedi per protestare e venire catapultato fuori.”

FABIOLA: “Il tempo si prende tutto, che tu lo voglia o no. Il tempo si prende tutto, il tempo lo porta via, e alla fine c’è solo oscurità. Talvolta incontriamo altri in quell’oscurità, e talvolta li perdiamo di nuovo là dentro.”

Pur essendo un libro scritto da un autore che viene considerato “il re dell’incubo”, è molto amato anche da chi non ama il genere horror. Secondo voi come mai è riuscito a conquistare un pubblico così vasto?

MARIA GRAZIA: Beh direi proprio di sì, e io e Fabiola ne siamo la dimostrazione. Al contrario di Fabiola (lettrice accanita di King), io non amo molto il genere horror, ma adoro questo libro, anche se non lo definirei proprio un horror, difficile trovare una definizione precisa, perché è narrativa, thriller, un pizzico mistery/sovrannaturale (o fantascienza), con ambientazione storica.

FABIOLA: Semplicemente perché non è un libro Horror. Spesso nei libri di King l’orrore vero non sta dove lo si cerca e cioè nel paranormale, nell’umanamente incomprensibile, ma è proprio lì, nelle persone che conosciamo, nella vita che conduciamo…

Il lato sovrannaturale della storia è il filo conduttore che lega tutti i personaggi e le loro vite, credete che questo renda il libro meno credibile?

MARIA GRAZIA: Secondo me no, perché non è molto marcato. Pur non amando il fantasy o sovrannaturale, devo ammettere che è ben dosato ed equilibrato con gli altri elementi, quali la costruzione della storia e descrizione dei personaggi.

FABIOLA: Assolutamente no. Il soprannaturale in questo caso è un dono, un dono così forte, puro e buono da essere confuso per cattiveria da chi non riesce a vedere oltre. E spesso nella vita di tutti i giorni si vede il male anche dove non c’è, solo perché è più comodo.

Nel libro viene toccato un argomento molto delicato come la pena di morte. In che posizione secondo voi si pone l’autore di fronte a un argomento così tanto controverso?

MARIA GRAZIA: Generalmente chi viene condannato alla pena di morte di certo non è un santo, ma considerando, che la maggior parte della storia è ambientata nel 1932, e che uno dei detenuti è un omone di colore un po’ tardo, non proprio tutte le sentenze (secondo me) erano eque. Ma, da quel che traspare dalla lettura, per King, è per una giusta sentenza, anche se chi giudica spesso si ferma alle apparenze o ai pregiudizi (razziali o di altro tipo), ma una volta arrivati al braccio fino all’esecuzione della condanna, tutti i detenuti, che siano bianchi o di colore, “ragazzi difficili” o meno, devono essere trattati in modo uguale, evitando situazioni critiche, istigano reazioni in persone già di per sé in tensione per quello che sta per succedere loro.

FABIOLA: Stephen King è palesemente contrario alla pena di morte e con questo libro lo ha dimostrato ampiamente. Una frase tra tutte mette in chiaro il suo pensiero ed è con le parole di Brutal “«Ho fatto alcune cose nella mia vita di cui non vado fiero, ma questa è la prima volta che mi sento veramente in pericolo di finire all’inferno.»

Quali altre tematiche importanti vengono affrontate in questo romanzo?

MARIA GRAZIA: Oltre a razzismo e pena di morte, viene trattato l’amicizia in tutte le sue forme, l’amore incondizionato, la crudeltà di alcune persone solo perché si sentono superiori o perché hanno persone potenti che li proteggono.

FABIOLA: beh, i temi trattati sono davvero tanti. A parte l’argomento principale che è appunto la pena di morte, si dà ampio spazio alla discriminazione razziale, poi ci sono argomenti positivi come l’amicizia, la fiducia e l’amore, c’è il coraggio delle proprie azioni.

Cosa rappresenta il Miglio verde?

MARIA GRAZIA: Il miglio verde è l’ultimo tratto del braccio della morte, che i detenuti percorrono prima dell’esecuzione della condanna. Il momento in cui anche il più incallito dei criminali si prepara a fare i conti con le conseguenze delle proprie azioni, scortati non solo dai secondini ma anche qualcosa che ti aspetteresti da chi sta per essere condannato per crimini atroci, ossia la paura.

FABIOLA: Il Miglio Verde rappresenta la vita, o meglio, l’ultima parte di una vita percorsa nel bene o nel male. È quel momento in cui ci si ferma a pensare che cosa si è fatto di giusto nella vita, dove si è sbagliato, pur non potendo più rimediare. “Tutti noi dobbiamo una morte, non ci sono eccezioni, lo so, ma certe volte, oddio, il Miglio Verde è così lungo.”

Cosa colpisce della particolarissima personalità di John Coffey?

MARIA GRAZIA: John Coffey è grande e grosso, ma sembra un bambinone, infatti non si può immaginare che un omone del genere possa avere paura del buio o non sappia allacciarsi le scarpe, ma le sue particolarità principali è la sua bontà, il suo voler stare dalla parte dei buoni usando il suo “dono”, che consiste nell’avvertire il dolore altrui e cercare di rimediare e/o aiutare.

FABIOLA: John Coffey colpisce per la sua singolarità: fa paura guardarlo per la sua immensa mole, ma basta sentirlo parlare o perdersi nei suoi occhi per capire quanto è puro il suo cuore.

L’ambientazione nel braccio della morte di un penitenziario nel 1932 è insolita, se non altro per il modo in cui è raccontata. Pensate che sia plausibile?

MARIA GRAZIA: Certo che si! Il libro viene suddiviso in due parti, una parte nel 1995, in cui il protagonista Paul Edgecombe decide di scrivere quello che gli è successo mentre lavorava come guardia carceraria nel 1932, anno che cambiò la vita di molte persone!

FABIOLA: perché no?! Ovviamente non è un’ambientazione molto “frequentata”, ma direi che dal successo del libro e poi del film, si può dire con certezza che è stata un’ottima intuizione!

Ci sono altre differenze che colpiscono particolarmente tra libro e film?

MARIA GRAZIA: La trasposizione di questo libro in film è una delle più fedeli che abbia visto, certo ci sono dettagli che variano, ma sostanzialmente sono abbastanza simili.

FABIOLA: Sono davvero tante le differenze tra libro e film, alcune anche piuttosto evidenti, ma il fatto sostanziale è che funzionano entrambi. Ci sono differenze a primo impatto poco incisive, tipo che il film è ambientato nel 1932 mentre il film nel 1935.

La più sostanziale a mio avviso, è che nel film, Paul si emoziona di fronte a un vecchio film con Fred AstaireCappello a cilindro che gli ricordano Kohn Coffey e racconta alla sua amica Elaine la sua storia. Nel libro, invece, Paul rimane sconvolto dopo aver visto alla televisione Richard Widmark, ne Il bacio della morte, per la sua incredibile somiglianza con Wharton. Elaine legge la storia che Paul ha cominciato a scrivere poco prima di incontrare il signor Jingles, che funge da segnale per liberarsi di quei vecchi ricordi.

Quale personaggio vi è piaciuto di più e quale di meno?

MARIA GRAZIA: Il personaggio che mi è piaciuto di più è Brutus Howell (per gli amici Brutal), uno dei secondini del braccio della morte, leale, disponibile, rispettoso verso di tutti, ma che, però, non si fa scrupoli a dire in faccia quello che pensa!

Il ruolo di personaggio odioso se la contendono Percy Wetmore e Brad Dolan, il primo secondino del braccio della morte, di un’arroganza unica dovuta alla sua parentela con il governatore di stato, mentre il secondo è il sadico (solo per il gusto di esserlo) infermiere nella casa di cura, nella quale è ricoverato un’anziano Paul Edgecombe.

FABIOLA: I personaggi “belli” sono davvero tanti, ma direi uno fra tutti la moglie di Paul, che lo sostiene e lo appoggia nelle sue scelte. Una donna forte, che vive in simbiosi con suo marito e che lo sostiene.

Il personaggio più brutto è senza dubbio William Wharton, il cattivo dei cattivi: spietati, subdolo e maledetto. Naturalmente è in buona compagnia.

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