La bambina di Auschwitz – trova Friedman e Malcolm Brabant

La storia vera di Tova, una tra i pochissimi ebrei a essere uscita viva da una camera a gas Tova Friedman è una delle più giovani sopravvissute ad Auschwitz. A soli quattro anni scampò alle esecuzioni di massa nel ghetto della città polacca in cui viveva insieme alla sua famiglia. A sei anni fu fatta salire su uno dei treni diretti verso l’inferno in terra e deportata nel campo di concentramento nazista di Auschwitz-Birkenau. Nonostante la giovane età, in quel luogo fu testimone di terribili atrocità e si trovò, come pochissimi altri hanno avuto la possibilità di testimoniare, dentro una camera a gas. In questo libro Tova Friedman racconta finalmente la sua storia.

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori (6 gennaio 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 288 pagine

Recensione a cura di Jessica Pennini

Ho finito questo libro dopo un paio di giorni di lettura ma ho avuto bisogno di un pò di tempo per metabolizzare il tutto prima di scrivere questa recensione. 

Come tutti i libri che narrano le storie di coloro  che sopravvissero all’Olocausto, anche questo entra dentro, scuote e lascia una profonda tristezza nell’animo di chi legge a causa di tutte le innumerevoli atrocità di cui si parla. 

Questo libro inizia con una lettera accorata dell’autrice, Tova, in cui si presenta e spiega al lettore l’intento con cui ha scritto la sua storia. 

Mi chiamo Tova Friedman. Sono una delle più giovani sopravvissute al campo di sterminio nazista noto come Auschwitz-Birkenau. Ho parlato dell’Olocausto per gran parte della mia vita adulta affinché la gente non dimentichi.” 

È proprio su questo che l’autrice insiste: non dimenticare, non permettere mai che si ripetano simili atrocità. Purtroppo non è una cosa così  scontata, l’odio e il razzismo sono tuttora molto presenti nel mondo e moltissime persone vengono discriminate continuamente. 

Oggigiorno, uno dei fenomeni in più rapida crescita è l’odio; odio di ogni tipo, ma soprattutto nei confronti delle minoranze. Ovunque siate nel mondo, vi imploro, non ripetete la storia di cui sono stata vittima.” 

Tova prosegue esortando chi legge a vivere il suo vissuto, a immedesimarsi nei suoi occhi di bambina, che conobbe guerra, distruzione e morte fin da poco dopo la sua nascita. Questo, secondo il mio parere, è impossibile: conoscere, informarsi e sapere il più possibile lo ritengo un dovere nei confronti delle vittime innocenti del  nazismo, ma immedesimarsi in una storia simile, se non la si è vissuta, non è semplice. Capire il perché di tante scelte, di azioni compiute al solo scopo di sopravvivere, “vivere” in modo così disumano non sono cose fattibili per chi non ha vissuto tutto ciò sulla propria pelle. 

Da quando ero nata, abitavo in un mondo in cui essere ebrei voleva dire essere destinati a morire.” 

Tova conosce la parte più oscura della mente umana in un momento della sua vita in cui dovrebbe essere spensierata e felice, non rinchiusa in un ghetto, facendo la fame e rischiando la vita per un niente. 

“Nessun bambino dovrebbe vedere quello che vidi io. Nessun bambino dovrebbe morire di 

fame o essere torturato o trattato come un subumano. L’infanzia mi fu strappata via non appena ebbi imparato a comunicare.” 

Tova nei confronti di chi aderì al nazismo e di coloro che si voltarono dall’altra parte di fronte a questi crimini usa parole di condanna, che condivido fermamente. 

“Per quanto mi riguarda, la comune scusa della Germania del dopoguerra, “Stavo solo eseguendo gli ordini”, non ha la minima validità.  Sono in moltissimi a scegliere il lato oscuro. Se imparerete qualcosa dalla mia storia, spero che sia di scegliere la luce.” 

Da queste pagine emerge però un aspetto molto positivo, che mi ha colpita molto: il rapporto che Tova ebbe da sempre con i suoi genitori. Un rapporto di amore reciproco che le infuse il coraggio e l’istinto di sopravvivenza che le servirono durante la sua prigionia. Notevole fu il coraggio della madre Reizel, che cercò in ogni modo di salvarla e di guidarla affinché la piccola si comportasse nel modo adeguato per evitare di attirare l’attenzione dei nazisti. 

“Hitler cercò di eliminare gli ebrei sterminando i bambini. Per cui, salvando me, mia madre non stava solo cercando di preservare la sua famiglia. Combatté per la mia sopravvivenza come un atto di ribellione a nome del suo popolo. Davanti a un annientamento totale, un solo bambino poteva offrire al popolo ebraico un’ancora di salvezza.” 

È incredibile come Tova sia riuscita a scampare alle camere a gas, pur essendo una bambina e quindi inadatta al lavoro, secondo l’ottica nazista. 

Pochi mesi prima della liberazione fu condotta nella camera a gas insieme agli altri bambini del suo blocco, ma Himmler, avendo capito di avere ormai perso la guerra, ebbe dato ordine di cessare le esecuzioni con lo Zyklon-B. 

Tova, in questo modo, è l’unica a poter affermare di essere uscita viva da una camera a gas, un evento eccezionale. 

Dopo indicibili sofferenze e dopo aver assistito a ogni tipo di nefandezza, i suoi occhi di bambina possono iniziare a vedere il mondo senza essere costretta dietro a un filo spinato. Uscì dal campo di sterminio insieme alla madre con cui si era riunita da poco

“Fummo tra i pochi fortunati a lasciarsi alle spalle il motto di Auschwitz, Arbeit macht frei. Ma il lavoro non ci aveva rese libère. Uscimmo 

da Birkenau, mano nella mano, una mattina di aprile del 1945. La mamma disse una sola parola. “Ricorda”.” 

È proprio su questa parola che si basa gran parte della vita adulta di Tova, che si dedicherà a incontri, conferenze e viaggi per far sì che la sua storia venga conosciuta da più persone possibili e venga tramandata alle future generazioni. 

L’antisemitismo tuttavia non finì con la caduta del nazismo. Dopo essere tornate nella loro cittadina natale Tova e la madre si scontrarono con l’ostilità delle persone, un tempo amiche, e episodi simili, si verificarono anche dopo la loro emigrazione negli Stati Uniti. 

“La mamma faceva fatica a orientarsi. Poi riconobbe una donna che conosceva da prima della guerra. Una che era stata sua amica. La mamma accelerò il passo per andare a salutarla. Ma quando la donna si avvicinò, sibilò: “Perché siete tornate? Pensavo che Hitler vi avesse uccisi tutti”. 

Parole così fanatiche sono davvero raccapriccianti e dimostrano quanto l’odio verso il popolo ebraico fosse radicato nella gente, a prescindere dal nazismo in sé. 

Non solo, Tova si trova, come molti altri sopravvissuti, a non dover fare parola di ciò che ha vissuto, se non con altri superstiti come lei. La gente comune non vuole saperne, vuole andare avanti e non essere turbata da crimini di guerra. 

Il professore di Tova le chiede esplicitamente di reinventarsi facendo finta che non le sia accaduto nulla. Una cosa impossibile, un insulto alla memoria di chi perse la vita in questo genocidio. 

“Arrivai alla conclusione che solo un mondo crudele mi avrebbe fatto pressione affinché coprissi il crimine di guerra che avevo subìto. Ormai il mio numero era parte integrante di me; era una prova di quello che mi avevano fatto, e dimostrava quanto fossi fortunata a essere ancora viva.” 

La bambina di Auschwitz è stata una lettura toccante, scioccante in certi momenti ma assolutamente da consigliare agli amanti del genere. È un libro imprescindibile, una testimonianza che deve essere conosciuta. 

Le uniche pecche, a mio avviso, sono dovute a refusi che si trovano nella traduzione e a ripetizioni che possono risultare pesanti, ma nel complesso lo stile è scorrevole così come la storia che racconta. 

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