Se tante lettrici, in tutto il mondo, amano con passione i libri di Clarice Lispector è perché pochissime sono le scrittrici che come lei hanno saputo imporre una voce così prepotentemente femminile – e al tempo stesso mai banale, mai gravata da rivendicazioni, o querimonie, o ammaestramenti edificanti, ma, al contrario, audace, inquieta, ardente, attraversata da fremiti, aperta a epifanie e illuminazioni. Qui, ancora una volta, la protagonista è una donna, una ragazza di nome Lucrécia, che si lascia vivere, in una sorta di incantata ottusità, e deve riuscire a dare una forma al mondo che la circonda – per potersene appropriare. Un mondo frantumato, al pari di quello dell’autrice stessa, dove si è continuamente sbalzati fra una realtà che viene a mancare e una realtà che sopraffà. Accompagneremo Lucrécia nel percorso che dal sobborgo di São Geraldo, ancora a tratti odoroso di stalla, la porterà, al seguito di un marito ricco, nella grande città, dove frequenterà teatri, ristoranti e negozi eleganti; poi di nuovo, rimasta vedova, nel borgo natìo – molto meno selvaggio, ormai, quasi irriconoscibile; e forse anche, chissà, a incontrare un nuovo marito. Ma la vera protagonista dei libri di Lispector come sempre è la scrittura: immaginifica, abbacinante, ustionante – quella di «una Virginia Woolf amazzonica, arruffata e vagamente stregonesca» come la definì una volta Roberto Calasso.
- Editore : Adelphi; Edizione standard (30 aprile 2024)
- Lingua : Italiano
- Copertina flessibile : 186 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini
La Città Assediata è un romanzo che possiamo definire di difficile lettura. È una storia in cui la protagonista più che dialogare con gli altri attori del romanzo dialoga con se stessa, si mette a nudo raccontandoci una storia che si regge esclusivamente sull’evoluzione della sua vita che va di pari passo con quella del sobborgo in cui è nata, São Geraldo, un luogo immaginario che cambia faccia con il passare del tempo.
“Il sobborgo di São Geraldo, nel 192 …, mescolava già all’odore di stalla qualche progresso. Quante più fabbriche venivano aperte nei dintorni, tanto più il sobborgo si elevava a vita propria senza che gli abitanti potessero dire quali trasformazioni li toccassero”.
Siamo dunque in un sobborgo immaginario in Brasile. L’autrice non lo dice chiaramente, preferisce che il lettore lo comprenda da se, e nemmeno ci dà un’indicazione precisa sull’anno in cui inizia questa storia, tranne dirci che si tratta degli anni 20. In questo sobborgo si muove la protagonista della storia, Lucrécia, una giovane donna arrivista, sognatrice e apparentemente vuota, che vive in attesa di qualcosa o di qualcuno, non è chiaro neanche a lei.
“Lucrécia Neves non sarebbe mai stata bella. Eppure c’era in lei un eccesso di bellezza che non si riscontra nelle persone belle”.
“Lucrécia Neves voleva essere ricca, possedere cose e crescere socialmente”.
“Lucrécia che non possedeva la futilità dell’immaginazione ma solamente la stretta esistenza di ciò che vedeva”.
La giovane donna passa le giornate tra amene passeggiate in compagnia di uomini come Perseu, il presunto fidanzato, ma anche il tenente Felipe, entrambi però con un interesse per lei molto superficiale, cosa che la irrita poiché lei, come già accennato, vorrebbe elevarsi socialmente attraverso un buon matrimonio. Lo studente Perseu potrebbe essere un giusto compromesso per la sua ambizione, ma il giovane, nonostante l’affetto che lo lega alla ragazza, comprende che Lucrécia non è assolutamente adatta a lui, che non lo comprende, che ha altre aspirazioni, altri pensieri per la testa che stridono con i suoi, e modi di fare talmente irritanti e incomprensibili che non riesce più a tollerare:
“Lucrécia Neves lo aveva irritato. Un giorno avrebbe potuto sposarla e trasformarla, così come un uomo può suonarle a una donna; ma avrebbe avuto la delicatezza di lasciare questo lavoro a un altro”.
La madre della ragazza, Ana, è una vedova che tenta senza successo di passare un po’ di tempo con sua figlia, di avere un dialogo con lei, di coinvolgerla nelle attività domestiche, ma la ragazza la sfugge nella sua ostinazione di stare costantemente a contatto con tutto ciò che è fuori dalla loro abitazione, e quasi la spaventa con la sua irrequietezza e ostinazione, quindi tra le due non esiste praticamente alcun dialogo, se ne stanno lì nella stessa stanza ognuna persa nei propri pensieri:
“Ma fra persone prive d’intelligenza non c’era bisogno di spiegarsi”.
La donna, tuttavia, è convinta che certi atteggiamenti della figlia possano essere in un certo senso corretti con il matrimonio, dunque perora la causa di un tale Mateus Correia, un uomo apparentemente ricco che è interessato alla ragazza e che sarebbe disposto a sposarla, cosa alla quale nessuno dei suoi accompagnatori precedenti aveva mai accennato. E Lucrécia, che come abbiamo già detto vuole elevarsi socialmente, accetta le nozze e va a vivere con il marito in un albergo di lusso lontano dal sobborgo, nella grande città.
Quale sia questa città non è specificato, ma da quel momento in poi la giovane donna ottiene tutto ciò che in passato aveva desiderato. Inizia a frequentare ristoranti, teatri, e altri luoghi così come altre persone totalmente estranee a quella che era la piccola realtà di São Geraldo.
“Aveva pensato che alleandosi con un forestiero si sarebbe scrollata di dosso São Geraldo per sempre e sarebbe caduta nel mondo incantato? Si era sbagliata”.
La grande città in un qualche modo l’ha come incastrata. Lucrécia non trova pace neanche conducendo finalmente la vita che aveva sempre sognato, inizia a fingere una felicità che non prova realmente. E quando tornano a São Geraldo per far visita alla madre nota che il sobborgo sta iniziando a cambiare faccia, si sta modernizzando, riabilitando. Sono sorti molti ristoranti, gli edifici più cadenti sono stati ristrutturati, e tra le persone si è verificata una netta spaccatura, così come avviene nelle grandi città. Questo sembra appagare, forse in apparenza, la donna, che inizia a pavoneggiarsi per le strade indossando i suoi bei vestiti da persona benestante, pur restando fedele a quell’ambiguità che l’aveva caratterizzata anche in passato.
“Più São Geraldo si ingrandiva, più le risultava difficile parlare con chiarezza, tanto era diventata insincera”.
E quando poi il marito muore, non sappiamo esattamente perché e soprattutto quando, se sono passati pochi anni dal matrimonio o decenni, Lucrécia vende la casa di città e rientra nel sobborgo, convinta di poter tornare alla vita precedente. Ma ormai tutto è cambiato:
“Quando usciva si meravigliava del balzo di progresso di São Geraldo, atterrita dal traffico come una gallina scappata dal cortile”.
Ma man mano che il tempo passa, la donna sembra tornare ad essere quella di prima, ad accettare i cambiamenti, a essere nuovamente un tutt’uno con l’ambiente circostante, a fondersi con il sobborgo di São Geraldo, che ormai sobborgo non è più.
“Da quel momento in poi la storia del sobborgo non sarebbe più interessata a nessuno, abbandonato alle sue serie suddivisioni, alle sanzioni penali, alle sue pietre e panchine da giardino, un avaro del quale nessuno, per punizione, avrebbe più desiderato i tesori. Il suo sistema di difesa, ormai inutile, se ne stava dritto al sole, monumento storico. Gli abitanti l’avevano disertato o ne avevano messo in fuga gli spiriti. Pur rimanendo consegnati alla libertà e alla solitudine”.
Non conoscevo questa autrice di origine ucraina naturalizzata brasiliana, che oltre a essere stata una scrittrice, era anche giornalista e traduttrice. É considerata una delle scrittrici brasiliane più importanti del XX secolo, e le sue opere sono famose poiché abbondano di scene di semplice quotidianità e soprattutto di trame psicologiche e introspettive. Proprio come ho potuto riscontrare ne La Città Assediata, dove la trama in se è molto ridotta, non abbiamo molti riferimenti storico-temporali per poter collocare la scena in un periodo preciso, né è possibile comprendere a quale età i personaggi svolgono determinate azioni o quanti anni passano tra un avvenimento e l’altro.
La narrazione si costruisce intorno a quello che è lo sguardo della protagonista, ciò che vede, un caleidoscopio di oggetti accompagnati da emozioni e stati d’animo, dalle sue aspirazioni delle quali però sembra non avere neanche lei un’idea troppo chiara.
Come ho accennato, i dialoghi sono pochissimi poiché Lucrécia parla soprattutto con se stessa. Inoltre i pochi personaggi maschili che le gravitano intorno sono come ombre che appaiono e scompaiono, come se contassero poco, perché tutto ruota intorno alla protagonista che catalizza non solo la nostra attenzione ma soprattutto quella dell’autrice che non ha parole troppo gentili nei suoi confronti ma al tempo stesso investe questo suo personaggio di una certa solennità.
Non è un romanzo di facile lettura, come accennato non ha una trama ben definita e non si prospetta di raccontarci una storia in maniera classica, è piuttosto una sorta di viaggio all’interno dell’evoluzione psicologica e di vita di un personaggio che sembra cambiare, dunque evolversi, ma che alla fine resta fedele a se stesso, a quello che era all’inizio. L’unica cosa che cambia è il sobborgo in cui è ambientata gran parte della narrazione, l’immaginario São Geraldo, che incarna alla perfezione l’immagine di tutti quel luoghi che investiti dal progresso mutano pelle fino a diventare quasi irriconoscibili, estranei persino a chi quel progresso lo ha desiderato con tutte le sue forze.