La Francia non aiuta le 13 Colonie: l’ancienne régime è salvo (ma non per molto)

a cura di Eugenio Mandolillo

La storia è una successione inevitabile di ere, fatti, personaggi? È frutto di semplici casualità? Forse entrambe e nessuna. In effetti, spesso gli eventi si succedono in modo tale che nessun evento, per quanto fortunato (o sfortunato), potrebbe cambiare sostanzialmente il corso della storia. Eppure ci sono alcuni momenti (in verità assai pochi) nei quali la storia si trova davanti ad un bivio, momenti nei quali è possibile variare il succedersi, a quel punto sì, inevitabile di eventi successivi. In questa serie di articoli ci occuperemo esattamente di analizzare alcuni di questi momenti per valutare se, e in quel caso come, sarebbe cambiata la storia successiva.

Premessa: Espulsa dal continente americano al termine della Guerra dei Sette anni, la Francia approfitta della ribellione di alcune colonie inglesi per provare a riconquistare i territori perduti e infliggere un pesante colpo alla nascente, e già in pieno sviluppo, potenza inglese.
A.D. 1777, la clamorosa sconfitta inglese a Saratoga da inizio ad una successione di eventi che porta il Regno di Francia ad intervenire direttamente e massicciamente nel conflitto tra Inghilterra e le 13 Colonie.
Supponiamo che, preso tra le contrarietà degli elementi più conservatori del proprio Consiglio privato (per nulla convinti di sostenere una rivoluzione di borghesi e plebei contro il loro legittimo sovrano scatenando un precedente che sarebbe stato meglio evitare) e il Ministro delle Finanze Necker (che lamentava i costi elevati e la loro insostenibilità per le già compromesse casse dello Stato), Luigi XVI decide di mantenere neutrale la Francia nel conflitto limitandosi a “non proibire” a singoli francesi di partire per l’altra sponda dell’Atlantico.

Privi dell’appoggio e del sostegno francese, gli Americani non poterono sfruttare pienamente le vittorie sul campo che pure si succedevano: la Corona non avrebbe mai potuto sopportare lo smacco di essere costretta a venire a patti con dei semplici ribelli. La guerra si protrasse così per altri lunghi, logoranti, ed inconcludenti 5 anni al termine dei quali le Colonie furono costrette ad arrendersi ed accettare l’unico accordo che il governo inglese era disposto a concedere: la possibilità di eleggere una rappresentativa parlamentare alla Camera dei Comuni e la creazione di una grande entità, il “Dominion dell’America del Nord” comprendente oltre alle 13 Colonie anche i territori del Canada ed ad ovest della Linea del Proclama che erano rimaste leali alla Corona.

Conseguenze (Secolo XIX)
Stremata, anche se tecnicamente vittoriosa, l’Inghilterra decide di isolarsi dalle questioni inerenti al continente europeo (in effetti, le sconfitte contro delle semplici “bande di straccioni” avevano gettato molto discredito sulle armate di sua Maestà) per concentrarsi alla conquista di un impero coloniale extraeuropeo mentre nelle Americhe, per evitare il ripetersi di “entità coloniali” eccessivamente autonome, senza contare lo scatenarsi possibili frizioni col Vicereame della Nuova Spagna, venne fortemente scoraggiata l’emigrazione di coloni oltre i Monti Appalachi mentre al contempo vennero istaurati rapporti sempre più stretti con i Nativi che, uniti in una confederazione sempre più integrata al Dominion, offrì in un gesto simbolico di grande rilevo storico un Calumet della pace a re Giorgio IV accettandolo così come sovrano universale e consentendo così al sovrano d’Inghilterra di acquisire il “Imperatore delle Indie d’Occidente”.
La Francia, non depauperata delle risorse destinante alla campagna americana non si trovò nella crisi finanziaria che avrebbe portato alla convocazione degli Stati Generali mentre la borghesia, memore della batosta subita degli omologhi americani, rimase sostanzialmente paralizzata del punto di vista politico e, mentre i suoi esponenti più intraprendenti tentavano la scalata sociale a suon di Luigi d’oro, la piccola e media borghesia rientrava in uno stato di torpore che avrebbe condannato la Francia a quello che gli storici del Novecento chiameranno il “Lungo XVIII secolo” ed ad una decadenza analoga a quella che subirà nello stesso periodo la Spagna.
Nello scacchiare dell’Europa Centro-Orientale la Russia, sfruttando gli attriti tra la Prussia e l’Austria, da inizio ad una serie di campagne contro l’Impero Ottomano, culminate con la conquista di Costantinopoli (1854).
L’Italia, infine, rimane invischiata nelle pastoie di un sistema dal quale non sa, e forse neanche vuole seriamente, liberarsi condannandosi ad un XIX secolo non molto diverso dal secolo precedente.
P.S. Nel 1789 un giovane emigrato di origine corsa, tale Napoleone Bonaparte, sbarcò nel porto di Veracruz e dopo una spettacolare carriera nell’esercito del vicereame della Nuova Spagna, si mise alla testa di un movimenti indipendentista che lo porterà a diventare imperatore del Messico. Ribattezzato l’Alessandro Magno delle Americhe, dopo aver riformato in profondità il Messico perse tutto in una disgraziata campagna contro gli inglesi: sperava di sorprenderli attaccando Toronto da Nord, ma il gelo dell’inverno canadese distrusse il suo esercito e, costretto ad una drammatica ritirata, venne infine sconfitto nella battaglia di Tenochtitlán. Costretto all’esilio in una sperduta isola dell’Atlantico, il suo ricordo è tuttora presente nel folklore dell’America Centrale e ricordato tra i padri della patria e tra gli studiosi della cultura Azteca di cui fu grande estimatore e che cercò di far riemergere dalle tenebre della storia anche grazie al fortunato ritrovamento di una tavola, redatta a quanto si legge, direttamente da Doña Maria e contenete l’accordo preliminare tra Cortes e Montezuma II scritto in spagnolo e in lingua azteca, ritrovata durante una campagna di scavi a Tenochtitlán che secondo gli studiosi avrebbe potuto costituire la base per la decifrazione della lingua Azteca.

Un ultimo sguardo (XX Secolo)
L’inizio del XX secolo vede un’Europa che, pur controllando gran parte del mondo, è in realtà un gigante malato, stanco, diviso tra monarchie assolute (Russia, Austria, Prussia) e monarchie parlamentari dominate dall’aristocrazia (Francia e Inghilterra), mentre l’Italia, la Spagna e sono ridotte a terra di conquista e di scambio tra i vari stati che ne fanno a brandelli il territorio (la prima) e l’impero (la seconda).
Ma le cose stanno per cambiare: la rivoluzione industriale, sia pur lentamente, ha dato nuova linfa ad un nuovo ceto imprenditoriale che chiede di contare non solo in ambito economico ma ora anche politico, una successione di rivolte scuote così l’Europa, da Madrid fino a Mosca portando alla caduta della monarchia in Francia, Austria e Germania, mentre in Inghilterra re Giorgio V salva la corona ma deve concedere ai Comuni ampi poteri che suscitarono forti recriminazioni da parte dei Lords culminate in una congiura, sventata quando ormai sembrava che il re avesse le ore contate. A distanza di qualche decennio, il nuovo re Edoardo VIII comprenderà che il sistema non può reggere a lungo e decide di concedere ai territori a maggioranza anglosassone (Dominion dell’America del Nord, dell’Australia e Nuova Zelanda) e all’India ampie autonomie in materia di politica interna mettendo così in crisi lo stesso Partito Conservatore che, incapace di sceglie tra una linea conservatrice in senso stretto o di seguire le riforme del monarca entrerà in una profonda crisi d’identità che lo porterà a scomparire in favore di un nuovo duopolio imperniato sullo scontro tra Laburisti e Liberali.
In Russia, l’assassinio di Alessandro II per mano di un nazionalista polacco, inaugura una nuova fase autocratica per l’Impero che, con Alessandro III cancella tutte le riforme introdotte nel cinquantennio precedente. Una tale struttura statuale, tuttavia, può reggere solo se sul trono siede un monarca deciso e risoluto, regnante in un mondo isolato dal resto del mondo: tutto il contrario di quello che avvenne.
Sul finire del secolo, ascende al trono Nicola II, uno zar debole eppure desideroso di imporre il proprio volere; ciò lo porta a sfidare il Giappone per il controllo della Manciuria, perdendo miseramente nella Battaglia di Tsushima e consegnando, de facto, ai nipponici l’intera Asia orientale, dalla Corea fino alla Birmania, mentre ad Occidente, il ruolo di protettore dell’Ortodossia e il controllo del patriarcato di Costantinopoli non è più sufficiente ed una dopo l’altra tutte le nazioni balcaniche insorgono (a lungo si parlerà di un progetto in tal senso finanziato discretamente da Londra, molto interessata al controllo degli Stretti ed ad un allentamento della pressione russa in Afghanistan) e si dichiarano indipendenti, mentre la morte in un incidente di caccia dello zarevic Alessio mette l’Impero in una crisi dinastica di difficilissima soluzione, riconsegnando il Paese ad una condizione simile a quella del Periodo dei torbidi.
Infine il resto d’Europa, trasformato in una serie di repubbliche più o meno stabili ritiene di doversi unire in una confederazione sul modello svizzero costituendo un blocco che deve la sua solidità alla riconosciuta debolezza dei singoli membri che, da soli, non sarebbero capaci di reggere agli eventuali urti provenienti dall’esterno (ritenuti progressivamente sempre più improbabili) e dall’interno (dove le tensioni tra il movimento operaio a sinistra e reazionari di varia natura si alternavano come si alternano le stagioni).

 

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