La leggenda del volto di pietra

A cura di Cristina M. D. Belloni

In una delle vallate dell’Appennino Ligure, la valle di Borzone, è stata scoperta, nel 1965,durante i lavori di ampliamento della strada, una grande stele di sette metri per quattro. Il masso scolpito raffigura un volto e molte ipotesi si sono spese per datare e contestualizzare il monolite che si rivelò una delle più grandi sculture rupestri europee. 

Se le prime supposizioni volevano datare la scultura al periodo Neolitico, quando le prime popolazioni stanziali cominciarono a popolare quel territorio, una analisi più approfondita arrivò alla conclusione che il volto risalisse invece all’alto medio evo. In quell’epoca infatti nella collina retrostante era sorta una complesso abbaziale, fondato sui resti di una fortificazione longobarda, di cui resta tutt’ora la chiesina, una torre forse risalente al tardo impero ramano, e i ruderi del monastero.

 L’insediamento monastico faceva parte della potente diocesi retta dai monaci benedettini dell’importante abbazia di San Colombano di Bobbio, località che si trova a nord-est, dietro la cresta dell’Appennino.  

Il viso scolpito è orientato proprio in quella direzione, e all’epoca, doveva essere ben visibile da chi attraversasse il passo della Forcella che permette, in quel tratto, il passaggio più agevole dall’Emilia alla Liguria. Ciò ha fatto pensare ad un segnale di orientamento per quei monaci che da Bobbio avessero dovuto raggiungere l’Abbazia di Borzone. C’è chi sostiene inoltre che la fisionomia del volto ricalchi quella della Sacra Sindone.

Ma anche un’altra storia aleggia intorno al grande masso scolpito.

Antiche leggende narrate nella valle raccontano delle bande di briganti che infestavano la zona, rapinando e uccidendo i viandanti che varcavano il passo.

Il capo di uno di quei manipoli di rinnegati decise un giorno di nascondere i frutti delle loro scorrerie proprio vicino al grande monolite.

Scelse uno solo dei suoi uomini per scavare insieme a lui un nascondiglio dove sotterrare la cassa colma di monete e gioielli.

Quando ebbero ben celato il bottino l’astuto capobanda chiese al suo scagnozzo se volesse rimanere a guardia del tesoro. L’uomo, allettato dall’idea di rimanere solo vicino a tutto quell’oro e di potersene impossessare, rispose subito di si. Però alla sua risposta positiva il capo subito lo freddò infilzandolo con il pugnale.

Poiché l’uomo aveva volontariamente acconsentito a rimanere a custodire il tesoro, anche la sua anima è stata obbligata a mantenere l’impegno. In più lo spietato bandito intimò al fantasma del malcapitato che non sarebbe stato libero dall’onere della parola data finché qualcuno non avesse  consumato un pasto a base di pesce di mare nelle vicinanze, cosa quasi impossibile vista la lontananza del luogo dalle coste.

Passò infatti molto, molto tempo, la banda di assassini fu catturata dalle guardie della Repubblica Genovese e giustiziati per impiccagione; e lo spettro, legato alla promessa, rimase comunque lì, a inquietare e a scacciare chiunque passasse vicino alla grande scultura creando nel posto un’aurea di maledizione.

Successe poi che un giorno, parecchi anni dopo, un gruppo di pellegrini che stavano viaggiando verso Bobbio, si fermò proprio sotto il macinio inciso. Venivano da Genova e nulla sapevano delle voci che circolavano attorno a quel luogo. Accesero un fuoco per riscaldarsi e quando fu mezzodì dalle loro bisacce estrassero gallette, vino e…acciughe  sotto sale.

A quel punto, con loro grande sorpresa e spavento, videro comparire l’eterea presenza del bandito-guardiano che si mostrò immensamente grato verso quei forestieri che inconsapevolmente avevano reso possibile l’unica circostanza che gli era stata imposta per poter finalmente liberare la sua anima dal gravoso compito a cui era stata costretta. Raccontò loro la sua sfortunata storia e rivelò anche l’esatta ubicazione del tesoro.

Molte leggende parlano di tesori nascosti che avrebbero avuto un fantasma per sentinella e forse, come in questo racconto, anche in quelle circostanze la cupidigia può aver causato lo scellerato legame tra un’amina immortale e l’oggetto delle sue brame in vita, legandola così  ad un limbo terreno per un tempo infinito.

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