LA NASCITA DEL ROMANZO STORICO

a cura di Sibyl von der Schulenburg

   Letteratura, storia e storiografia sono, insieme, oggetti di annose discussioni sulla questione se la letteratura possa essere fonte storiografica, se possa essere un veicolo della conoscenza storica o, ancora, se la storia possa essere frutto di una creazione letteraria, quella che Benedetto Croce chiamava pseudo-storia in quanto si fonderebbe sui valori di sentimento e non di pensiero.

   Si pone allora la domanda se la storia sia la somma dei fatti o solo l’interpretazione – o peggio, la fantasia – dello storiografo, questione che trova fondamento nell’asserzione di studiosi che ritengono che la storia sia essenzialmente un’arte letteraria, come sosteneva Georges Duby oppure un genere letterario con proprie particolari specificità.

   L’informazione storica è stata per millenni tramandata con il pensiero narrativo, e il sentimento, inteso come insieme di emozioni in contrapposizione alla ragione, è stato impiegato per far presa sulla memoria di chi ascoltava e imparava. Si tramandava la storia oralmente, di generazione in generazione: le gesta degli eroi si narravano con enfasi nelle ballate o nei poemi epici e la genesi del mondo era tramandata con deferenza nei racconti a sfondo religioso, ma il pathos era in ogni caso l’ingrediente principale. 

   Sin dall’età ellenistica gli storiografi ambivano a stilare cronache di avvenimenti e coglierne i nessi, si sentivano chiamati a riportare e tramandare la realtà dei fatti e i nomi degli eroi. Lo facevano però in quella che Cicerone chiamò “Opus oratorium maximae”, un racconto che, oltre all’informazione, doveva offrire un intrattenimento letterario in quanto la storia era un ramo della letteratura. Più avanti nei secoli si perse in parte il desiderio di realtà storica e la storiografia fu più indirizzata alla creazione del mito, cosa per cui la fabulazione letteraria si prestava benissimo.

   A partire dal diciassettesimo secolo però, la storiografia s’incrociò con scienze come economia, finanza, demografia, sociologia e altre, acquisendo una veste scientifica, e lo storiografo dovette gradualmente dismettere quella dell’intrattenitore.

   La lacuna lasciata fu in parte colmata dai memorialisti. Dal diciassettesimo al diciannovesimo secolo circa, i personaggi di una certa notorietà che si ritiravano dalla vita militare, politica o semplicemente sociale, comprese alcune famose maîtresse, si dilettavano nell’attività che più di ogni altra li soddisfaceva: raccontare se stessi per lasciare una traccia del proprio passaggio sulla terra. Si diffuse così l’abitudine di scrivere le proprie memorie, soprattutto in Francia, creando voluminosi scritti, dove spesso le opinioni scadevano in pettegolezzi, infarciti di aneddoti che – proprio per questo – ebbero molto successo. Il memoriale, lo ricordiamo, non è scritto a ridosso dell’evento registrato, come può essere il diario personale o quello di guerra redatto dagli osservatori degli eventi bellici descritti, ma è una fonte narrativa frutto di rievocazione mnestica, quest’ultima notoriamente soggetta al fenomeno di revisione e adattamento all’attualità. 

   Nonostante ciò ci furono memorie che ebbero anche un valore storico come ad esempio le Memorie del Cardinale di Retz pubblicate postume nel 1717 e tanto elogiate da Voltaire; le Memorie di Mademoiselle de Montpensier di fine 1600 e soprattutto le Memorie del Duca di San Simone pubblicate nel 1781.

   Verso la fine del diciottesimo secolo, si cominciò a discutere dell’attendibilità di questi memoriali e pretendere quelle che i francesi chiamarono le “pezze giustificative”, ossia dimostrazioni a sostegno di quanto scritto. Nacque così una certa documentazione su fatti storici frammisti a quelli personali a cui diversi storiografi dell’epoca attinsero a piene mani, aprendo la questione se la letteratura amena, opera di finzione letteraria, possa essere utilizzata come fonte nella ricerca storiografica. Oggi si ritiene che possa essere considerata perlomeno una testimonianza del periodo in cui l’opera fu concepita, scritta e pubblicata.

   Di là di queste considerazioni, le antiche memorie, autobiografie spesso arricchite di contenuti di fantasia, possono essere considerate l’embrione di quello che sarà il romanzo storico.

   Il romanzo, come genere letterario, è nato nel ‘600 circa e quello storico molto dopo, nel diciannovesimo secolo. Il desiderio del romanziere storico era di creare un’opera in grado di utilizzare la conoscenza storica, ma si trattava di muoversi su un terreno diverso da quello dello storiografo di professione. Per la sua potenza evocatrice e la capacità d’immedesimazione, questo genere letterario costringe il lettore a porsi domande sull’intreccio tra vero, falso e fittizio, ciò che in sostanza costituisce la trama della nostra presenza in questo mondo, nel senso proposto da Carlo Ginzburg, ed è questo forse il fascino maggiore del romanzo storico. In tempi più recenti si è dimostrato quanto questo genere letterario possa lasciare tracce nella memoria del lettore, al punto da incrementare, o eventualmente revisionare, la sua conoscenza storica attraverso i meccanismi emotivi che sono alla base dell’apprendimento.

   È innegabile che la trasmissione al grande pubblico della conoscenza del passato passi ancora, come nell’antichità, attraverso una sorta di “storiografia-divertimento” di cui molti deplorano che sia ormai la principale fonte di conoscenza pseudo-storica per la maggior parte della popolazione.

   Il tipo di documentazione posta a fondamento di un romanzo storico è ciò che distingue l’opera mediocre da quella buona, o eccellente. Lo scrittore di romanzi storici sa che il termine storia deriva dal greco istoria, ossia ricerca, e che non può pensare di iniziare la stesura dell’opera senza aver prima speso tempo nelle ricerche storiche. Si avvale di lavori storiografici di vario tipo, e più desidera ricostruire il passato, più deve ricercare dettagli forniti da una storiografia che non è solo quella politica, bellica, militare o economica, ma deve immergersi nelle ricerche della storiografia culturale che ha infinite diramazioni. Non c’è, in effetti, un limite del campo di ricerca per uno scrittore di romanzi storici poiché oggetto del suo interesse è l’umanità, in tutte le sue manifestazioni, in un determinato intervallo storico. 

   Lo scrittore di romanzi storici sa anche che non basta allineare una serie di dati per mettere in scena la storia, serve altresì – e forse molto di più – la capacità di ambientazione e caratterizzazione dei personaggi perché sono loro che, tra le pagine, raccontano il passato. Se si vogliono mettere in scena personaggi come Eugenio di Savoia o Enrico VIII, occorre creare anzitutto un profilo personologico che sia coerente con le fonti, ma dotato delle caratteristiche umane – vizi e virtù – necessarie a elicitare emozioni nel lettore. Ecco allora che la misoginia del Savoia o la passionalità del Tudor diventano elementi importanti sui quali costruire frammenti di storia, e là dove nulla è documentato, dove la storiografia ha lasciato una delle sue tante lacune, il romanziere costruisce ponti servendosi di ogni indicazione sul periodo, usando come pilastri i personaggi di fantasia. Tutte queste informazioni sono però sempre frutto di ricerche, gli stessi personaggi creati dello scrittore hanno un loro fondamento storiografico. 

   Il primo romanzo storico della letteratura italiana, “I promessi sposi”, è l’esempio perfetto di questa tecnica e, se molti italiani sanno che Milano è stata sotto il dominio spagnolo, lo devono al Manzoni. Ma gli devono anche la conoscenza di una Milano tra gli artigli della peste, della caccia agli untori o della figura della Monaca di Monza.

   Il rischio dello scrittore di romanzi storici è l’accusa di eccesiva fantasia storiografica per come ha eventualmente concatenato gli eventi nell’opera o per come ritrae certe figure, per come le fa muovere e per le conclusioni che fa trarre al lettore. Qualcuno è già stato accusato di falsificare il passato ed eminenti storici tuonano: “La licenza creativa non autorizza a tradire la verità della storia!” 

Quale verità?

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4 Risposte a “LA NASCITA DEL ROMANZO STORICO”

  1. Bellissimo excursus, ampio quanto basta a toccare tutti gli elementi in gioco e allo stesso tempo sintetico, davvero interessante!

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