La palude dei fuochi erranti – Eraldo Baldini

Anno del Signore 1630. A Lancimago, villaggio perso tra campi e acquitrini, gli abitanti aspettano con angoscia la peste che si avvicina. Per prepararsi al peggio, i monaci della vicina abbazia decidono di preparare una fossa comune. Ma durante i lavori di scavo trovano numerosi scheletri sepolti in modo strano, con legacci intorno agli arti e crani fracassati. La memoria collettiva non sa dire chi siano e i frati più anziani, interrogati, rispondono con un muro di reticenza e silenzio. Mentre, con poteri di commissario apostolico, arriva monsignor Diotallevi, incaricato di allestire i cordoni sanitari per contenere il contagio, nelle paludi nebbiose, nei poderi smisurati e nelle boscaglie intorno cominciano a succedere cose inspiegabili e inquietanti: fuochi che paiono sospesi nell’aria, animali scomparsi, presunti untori che si aggirano tra le vigne. «È opera del Demonio» dicono i paesani, e subito cercano streghe e fantasmi da combattere; ma c’è anche chi a Satana si rifiuta di credere, e in nome della scienza perlustra i terreni a caccia di risposte. Eraldo Baldini ci trascina in un mondo sospeso tra religiosità e superstizione, tormentato da paure ancestrali, in cui è impossibile distinguere il naturale dal sovrannaturale, i giusti dai colpevoli, i carnefici dalle vittime.

Copertina flessibile: 224 pagine
Editore: Rizzoli (1 ottobre 2019)
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8817109991
ISBN-13: 978-8817109994

Recensione a cura di Sara Valentino

“Quelle devono passare” aveva intimato “Metteremo le guardie ai traghetti, controlleranno che chi arriva sia sano e che una volta scaricato se ne torni subito da dove è venuto, ma non possiamo bloccare quei carri, così come non possiamo fermare il mondo e arrestare il tempo”

Monsignor Rodolfo Diotallevi si pronuncia in questo modo per arginare, come è nelle sue possibilità, la peste che miete vittime nell’anno del signore 1630. Ne racconta anche il Manzoni, ne I Promessi Sposi, della peste bubbonica epidemia che colpì il nord Italia.

Siamo nelle terre del Ravennate, a Lancimago una piccola comunità inesistente, ma che vuole rappresentare un possibile scenario di cosa accadde nelle piccole comunità rurali del tempo passato, una terra di paludi. Le atmosfere sono quelle del gotico rurale, pochi colori, tetri paesaggi, paura.

Leggere degli anni in cui la peste la fece da padrone, per me è sempre da brividi, nonostante ciò ho questo desiderio “morboso” di leggerne, capirne la psicologia, non già del morbo, ma bensì di chi vive tra i miasmi. Vedo gente correre a cercare un medico, nel mentre dice finte parole che mai avrebbe pronunciato, dettate dal terrore per un possibile contagio, chiudere la porta di casa ai propri parenti o con all’interno i propri cari. Urla, gemiti e invocazioni di anime abbandonate a un nero destino. La paura a volte sa essere demoniaca, per paura si dimenticano affetti, si abbandona la pietà e la carità fraterna. E’ terrificante il quadro: vedere amici, fratelli, ammalarsi e sfiorire in stanze ormai dense di orrore, terrore e odori “pestilenziali”.

Monsignor Diotallevi giunge dunque al momento opportuno per adempiere a un compito, quello di creare un cordone sanitario, che tutto sommato è la regola in caso di epidemie. Succede però che la comunità religiosa del convento e quella laica della comunità vengono ulteriormente sconvolte da fatti che hanno dell’incredibile.

“Pareva che Dio avesse ceduto al diavolo il dominio del mondo. Che stanco degli uomini, avesse deciso di abbandonarli al loro destino, togliendo al suo gregge i pascoli per sostituirli con smisurati pantani, infidi e privi d’erba, in cui cercare inutilmente il cibo”

Bisogna scavare una fossa, è necessario farlo per poter seppellire i morti. La sorpresa è grande quando, smuovendo la terra del prato designato per l’ingrato compito, si scopre che questo ha già assunto questo compito: corpi, scheletri in una muta danza macabra sono ammucchiati sotto i loro piedi. Un cimitero in terra sconsacrata. A nulla vale il ragionamento di Frate Orso e dell’abate che è certo di sapere che la terra è della chiesa da sette secoli e che i monaci non macellano le persone. Già perché la fossa scoperta rivela persone morte di morte violenta.

Si scomoda anche il signorotto locale, il conte Lorenzo Cappelli, accompagnato da suo cugino il dottor Zecchini.

Si scopre così un vaso di Pandora volto a ripercorrere fatti accaduti quarant’anni prima, e a conoscere un tempo in cui le piogge erano diluvi, bufere, il ghiaccio sterminava i campi e le campagne e uccideva uomini, animali. Chi è Rodolfo? da dove viene? quali orrori ha dovuto vivere, per poi celarli e cercare di dimenticare? La notte di Pietramala..

“Più forti e selvaggi dei lupi, più spietati delle donnole, quei briganti avevano razziato e percosso, e laddove avevano incontrato qualche resistenza avevano ucciso e incendiato, tra una cacofonia di strepiti, grida e l’abbaiare e ululare di cani impazziti e impotenti”

Se tutto ciò non fosse sufficiente, per Lancimago è tempo di guardare negli occhi il Diavolo in persona, la comunità pare dimenticare anche la peste, fuochi, fiamme demoniache, come tizzoni infernali, hanno attraversato le strade del villaggio. La mano del Male con fili invisibili ha scatenato l’inferno. Si deve capire, e forse un capro espiatorio potrebbe essere quella vecchia, la strega; forse metterla al rogo sarebbe la soluzione.. Il mistero da sempre è una calamita, ma a volte bisogna cercare le risposte e a volte il Male non è uno solo.

“Adesso ditemi: c’è il Diavolo, qui?” “Ce ne sono tanti. Ma non hanno l’aspetto che voi pensate”

Narrazione con un ritmo non serrato, ma una trama intrigante e ben costruita. Avrei preferito che fosse un po’ più lungo e descrittivo per conoscere più profondamente i personaggi. Le atmosfere sono proprio come le avevo immaginate dalla copertina e il linguaggio è estremamente curato ed elegante.

 

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