Nell’anno 2013, in un mondo dominato dal Consiglio dei Magnati dell’Industria, scoppia un’epidemia che in breve tempo cancella l’intera razza umana. Sessantanni dopo, nello scenario post-apocalittico di una California ripiombata nell’età della pietra, un vecchio, uno dei pochissimi superstiti (e a lungo persuaso di essere l’unico), di fronte a un pugno di ragazzi selvaggi – i nipoti degli altri scampati – riuniti intorno a un fuoco dopo la caccia quotidiana, racconta come la civiltà sia andata in fumo allorché l’umanità, con il pretesto del morbo inarrestabile, si è affrettata a riportarsi con perversa frenesia a stadi inimmaginabili di crudeltà e barbarie. “La peste scarlatta” è uno dei grandi testi visionari di Jack London, che qui ancora una volta anticipa temi che, un secolo dopo, diventeranno ossessivi.
- Editore : Adelphi (2 settembre 2009)
- Lingua : Italiano
- Copertina flessibile : 94 pagine
Recensione a cura di Sara Valentino
Acquistato tempo immemore addietro, finalmente ho trovato il tempo per leggerlo. Vi stupirà la modernità dello stile narrativo, London pare davvero scrivere a noi uomini del 2022.
E’ un libricino minuto, poche pagine condensate in altrettante poche righe. Il messaggio è profetico e dal titolo lo possiamo già immaginare.
London racconta il 2013, un anno in piena evoluzione e sviluppo, classi dominanti, classi borghesi e classi operaie. Non dissimile dal nostro dunque. Il mondo è saturo di persone, le moltitudini si affrettano a guadagnare, comandare, noncuranti di organismi così microscopici che non parrebbero dover destare alcun timore. Del resto lo sviluppo, la medicina e gli studi sono così avanzati che ogni malattia, o quasi, ha una cura o un palliativo. Eppure un morbo invisibile riesce ad aprire una breccia nel sistema, è troppo veloce per gli scienziati, troppo veloce a uccidere e contagiare.
“Fugaci i sistemi come schiuma. Così crollò la nostra gloriosa, colossale civiltà”
Il mondo resta di proprietà di poche unità di sopravvissuti. Il romanzo è il racconto di uno di essi, un giovane professore universitario oggi nonno di alcuni ragazzetti primitivi. Primitivi perchè il mondo, così come lo conosciamo è finito, la civiltà estinta.
“La civiltà crollava e ognuno doveva pensare a se stesso”
E’ spaventoso vedere il contagio dilagare, impressionante immaginare gli occhi di chi si ama spegnersi e non poter fare nulla, soccombere. Ma lo è di più immaginare superstiti uccidere altri superstiti, pochi uomini appartenenti alla peggior specie rimanere i novelli Adamo ed Eva e ripopolare il mondo, con grettezza e vendetta. Gli ultimi saranno i primi, proprio così, finalmente sentirsi potenti e dominanti è una miccia esplosiva che evade e dilaga. Così la distruzione dell’epidemia si unisce a quella dell’uomo, tra gli ultimi di quelli che compongono la “civiltà”, ironia della sorte.
Il vecchio ricorda, malinconia per tutto il buono che è andato, per il sapere perso per sempre, lui ha salvato pochi libri con la speranza che un giorno qualcuno possa tornare a leggerli e interpretarli e ricordarsi di una umanità perita.
Corsi e ricorsi storici portano sempre l’uomo a ripetere gli stessi errori, faticare per vivere, per vestirsi, per curarsi e poi passare il segno e con la sovrappopolazione dare avvio a nuove guerre, nuove epidemie in un cerchio infinito.
“La polvere da sparo tornerà. Niente potrà impedirlo… la stessa vecchia storia si ripeterà. L’uomo si moltiplicherà e gli uomini si combatteranno. La polvere da sparo permetterà agli uomini di uccidere milioni di uomini, e solo a questo prezzo, con il fuoco e con il sangue, si svilupperà, un giorno ancora lontanissimo, una nuova civiltà. E a che pro? Come la vecchia civiltà si è estinta così si estinguerà la nuova.”