La schiava ribelle. Briseide, amante di Achille e custode dei suoi segreti di Eleonora Fasolino

Troia è sotto assedio. Ogni giorno gli attacchi dei greci si abbattono implacabili contro le sue alte mura e nessuno sembra in grado di opporsi alla furia dei più valorosi tra loro, i micidiali guerrieri mirmidoni. Si dice che il loro re, il nobile Achille, sia il combattente più forte mai esistito. Il più veloce, il più impavido. E il più spietato. Quando viene privata della libertà e condotta al suo cospetto, Briseide sa di non essere più una principessa, ma una schiava. E, non aspettandosi clemenza, si aggrappa all’unica cosa che le resta: la sua dignità. Con il trascorrere delle giornate nell’accampamento di Achille, però, si accorge che la fama oscura che circonda il leggendario eroe non tiene conto dell’umanità che ogni tanto lascia trasparire, specialmente nei confronti dell’inseparabile Patroclo, il valoroso principe che lo affianca in ogni battaglia. E che il suo onore è pari alla sua abilità con la spada. Forse, nonostante il fato li abbia resi nemici, Achille e Briseide non sono poi così diversi. Forse uno spietato invasore e una principessa ridotta in schiavitù possono cambiare il corso della storia. Schiava di un re. Padrona del proprio destino. La storia mai raccontata di Briseide, Patroclo e Achille…

  • Editore ‏ : ‎ Newton Compton Editori; 2° edizione (30 agosto 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 288 pagine

Recensione a cura di Claudia Pellegrini

Cantami, o Diva, del Pelìde Achille 

L’ira funesta che infiniti addusse 

Lutti agli Achei, molte anzi tempo all’Orco 

Generose travolse alme d’eroi 

E di cani e d’augelli orrido pasto 

Lor salme abbandonò (così di Giove 

L’alto consiglio s’adempia), da quando 

Primamente disgiunse aspra contesa 

Il re de’ prodi Atride e il divo Achille”.

È facile restare affascinati dai poemi omerici, lasciarsi rapire dalla narrazione di una storia ancestrale che mescola il vissuto umano a quello divino, ripercorrere un tempo in cui uomini, eroi e divinità convivevano sulla terra. Ma non lo è creare un retelling, rivisitare una storia nota per approfondirne i protagonisti, tappare quei buchi che l’originale ha lasciato all’immaginazione di chi legge. Eleonora Fasolino corre il rischio e ci riesce, raccontandoci la storia di Briseide, Achille e Patroclo in versione sì romance, ma restando comunque fedele, per quanto possibile, alla versione aedica della storia. 

Siamo a Troia, ed è in corso la celebre guerra che vede come causa scatenante l’arcinoto rapimento di Elena, moglie di Menelao, da parte del principe troiano Paride. Così almeno recita il mito. La realtà storica è ben lontana da questo fiabesco casus belli, e senza dilungarmi troppo su questo argomento preciserò solamente che una terra ricca di pianure fertili, pascoli in abbondanza, artigianato fiorente e intensi traffici non poteva non aver reso la città in questione una delle più ricche dell’intera regione, dunque molto appetibile. Per non parlare poi della sua posizione strategica… Ma questa è un’altra storia, e in questa sede ci interessa di più quella di Briseide.

La principessa Briseide, o Ippodamia che dir si voglia, è nativa di Lirnesso, città dell’Asia Minore sotto l’influenza di Troia, è la sposa del re Minete che viene ucciso dai Mirmidoni (gli uomini di Achille) mentre si trova nel tempio con lei che viene fatta prigioniera e donata come schiava ad Achille. Terrorizzata e inizialmente incapace di accettare un così funesto destino, la principessa esprime persino il desiderio di togliersi la vita, ma poi qualcosa cambia, e questo qualcosa è l’incontro con Achille, il guerriero più temibile e temuto degli Achei:

“La morte aveva scelto un rifugio amabile alla vista per nascondersi sulla terra degli uomini”.

Achille, figlio della Nereide Teti, dunque un semidio, non ha quello che propriamente si può definire un comportamento da sovrano, le sue abitudini non sono affatto aristocratiche, non necessita di schiave come gli altri re Achei, e soprattutto non teme né venera gli dei. Per lui esiste solo la sete di gloria alla quale ha dedicato l’intera vita.

“Era Patroclo a fare di Achille un uomo, erano i Mirmidoni a fare di lui un re, ed era la guerra a fare del suo corpo uno strumento del dio della morte in grado di mietere anime”.

Patroclo. La debolezza di Achille, l’unico che ascolta, l’unico che ha la capacità di indurlo al ragionamento, l’unico che inizialmente si mostra gentile con Briseide che ne resta subito colpita e affascinata. Il rapporto tra Achille e Patroclo non è ovviamente una semplice amicizia, Briseide se ne avvede quasi da subito, dopotutto divide la tenda con loro due e non è né sorda, né tantomeno cieca. Dopo che una freccia avvelenata con lo stramonio ferisce quasi mortalmente Patroclo, curata prontamente dalla stessa Briseide, Achille cambia atteggiamento nei confronti di quest’ultima: questa donna ha salvato il suo Patroclo, lui gliene sarà riconoscente per sempre.

Un giorno Briseide viene rapita dagli uomini del re Agamennone per fare un dispetto ad Achille:

“Il re di tutti gli Achei aveva oltraggiato Apollo rapendo la figlia di un sacerdote, e l’ira del dio si era abbattuta tra le file del suo esercito: decine e decine di soldati erano morti improvvisamente di una inspiegabile febbre. E Achille, pur senza nutrire alcun timore per l’ira divina, aveva preteso che Agamennone riconsegnasse la fanciulla”.

Nonostante Achille si sia recato alla tenda di Agamennone accompagnato da Patroclo e Odisseo (ho apprezzato particolarmente la scelta dell’autrice di chiamarlo con il suo vero nome, quello greco) per pretendere la restituzione della sua schiava, il “ladro” non cede, e il re dei Mirmidoni lo minaccia di ritirare dalla guerra i suoi uomini. Ma per evitare di essere violata, Briseide afferma di aspettare un figlio da Achille, e una violenza su di lei potrebbe scatenare l’ira degli dei, a partire da quella di sua madre Teti:

“Come potrebbe reagire una Nereide sapendo che un frutto della sua stirpe è stato strappato al mondo prima ancora di farsi maturo? E per mano di un re, nientemeno”.

Una schiava non vale l’ira degli dei, e Agamennone la lascia tornare nella tenda di Achille. Ed è a questo punto che nasce un rapporto che oggi possiamo definire poliamoroso tra Briseide, Achille e Patroclo:

“Non poteva amare Achille senza amare Patroclo e non poteva amare Patroclo senza amare Achille; quella era la verità”.

Nel bel mezzo di questo idillio però resta la questione della guerra. Achille ha costretto i suoi uomini all’inattività, e la cosa non giova alle sorti della guerra. Più volte Patroclo si offre di prendere il comando e scendere in battaglia, ma Achille oltre che non avere alcuna intenzione di darla vinta ad Agamennone, non vuole rischiare la vita di Patroclo, anche se dopo molte insistenze, troppe, cede e acconsente. Lo scontro si chiude favorevolmente per i Mirmidoni, ma già abbiamo un vago sentore che sia un preludio di qualcos’altro, dopotutto conosciamo già la storia.

Una mattina Briseide nota l’assenza nella tenda di Achille della sua armatura. Credendo che si sia finalmente deciso a tornare in battaglia non attribuisce troppo peso alla cosa. Ma poco dopo giunge all’accampamento la notizia della morte di Patroclo: Ettore, principe troiano, lo ha ucciso in battaglia credendolo Achille poiché indossava la sua armatura. Il triangolo si rompe. Ed è qui che si scatena l’ira funesta di Achille, quella che passerà alla storia:

“Sembrava arso dalle fiamme, avvolto dalla clamide della morte. Il volto si era sporcato di terriccio, la pelle si era escoriata, le lacrime non smettevano di scorrere. Impauriti dalle sue stesse reazioni, Briseide notò alcuni Achei sfilargli un pugnale dal sandalo, forse per timore si potesse fare del male”.

Fuori di se, il re dei Mirmidoni veglia il cadavere di Patroclo per giorni, finchè non decide di lanciare una sfida ad Ettore per ottenere vendetta. Briseide in tutto ciò teme di perdere anche Achille, ma lui è irremovibile:

“Potevo scegliere una lunga vita, una vita quieta ma serena, o un’esistenza gloriosa, fatta di imperitura memoria. Ho scelto la seconda”.

Ma prima di recarsi all’appuntamento con Ettore, Achille, nonostante la sua notoria contrarietà al matrimonio, decide di sposare la schiava che ormai è divenuta parte integrante della sua vita, così come lo era il beneamato Patroclo, in modo che in caso di morte possa avere un futuro da legittima regina a Ftia. Il matrimonio, celebrato da Teti in persona, è noto solo a pochissimi e agli dei. E nonostante la felicità di Briseide, le resta comunque il timore di poter perdere il novello sposo dato che il giorno seguente è previsto lo scontro con il principe Ettore.

Come è noto a tutti Ettore non solo viene ucciso da Achille, ma i suoi resti vengono legati al carro del vincitore e portati a spasso. Ciò fa inorridire tutti, in primis Briseide, la quale dopo aver passato tutto quel tempo al fianco di Achille e aver iniziato a conoscerlo, proprio non riesce a farsi una ragione di ciò che ha fatto:

“La vendetta per lui non era stata abbastanza, no: aveva dovuto umiliare il principe di Troia. Aveva dovuto infliggere il più atroce dei dolori al suo vetusto padre e alla sua dolce sposa. Aveva tentato di cancellarne il nome, la dignità, di impedire il dolore e il lutto per la sua morte”.

Non c’è verso di convincere Achille a restituire le spoglie. Ci provano tutti, persino Odisseo e sua madre Teti, ma lui è irremovibile, il principe troiano, colui che ha osato strappare Patroclo dal divino Achille deve marcire nella sabbia e sotto al sole. Una notte una figura si aggira per l’accampamento Acheo in cerca della tenda di Achille, è il vecchio re Priamo che viene a prostrarsi ai piedi dell’uccisore di suo figlio per supplicarlo di restituirgli ciò che resta di suo figlio. Grazie all’intervento di Briseide, e mosso a pietà nei confronti di un vecchio che senza alcun timore per la sua vita si reca nell’accampamento nel nemico mostrando un ineguagliabile coraggio, restituisce il cadavere, dimostrando di essere ancora un essere umano, di non essere stato annientato e mutato dal dolore e dalla vendetta.

Ma il fato di Achille sta per compiersi, e con esso quello di Briseide che nel mentre è in attesa di un figlio. Grazie al noto inganno del cavallo gli Achei penetrano all’interno della rocca di Troia portando gli eventi a prendere una piega funesta. Achille viene colpito al tallone, l’unica parte del suo corpo vulnerabile e, ironia del destino, a colpirlo è il pavido Paride, colui che aveva dato inizio alla guerra. La devastazione di Briseide all’idea di aver perso entrambi gli uomini che amava è totalizzante. Ma deve cercare di andare avanti, così come aveva prestabilito per lei lo stesso Achille, deve raggiungere Ftia e regnare per poi passare lo scettro a suo figlio.

“Mentre saliva sulla nave che l’avrebbe trasportata verso una nuova casa come regina, alzò lo sguardo in direzione delle mura lontane; Troia bruciava, e con lei la sua storia”.

Nonostante il romance non sia il mio genere preferito, ho apprezzato la storia di Briseide poiché l’autrice, durante la narrazione, non ha enfatizzato in maniera eccessiva sulla componente romantica, nonostante chiare ed esplicite scene che, trattandosi di un romanzo di genere, non potevano essere tralasciate, preferendo dare ampio spazio a quelle che sono le emozioni del personaggio e la sua complessa psicologia. Ha eccellentemente reso infatti la battaglia interiore che si è svolta dentro di lei e che è andata di pari passo con quella che fa da sfondo al suo vissuto, l’evolversi di una donna nata principessa e finita schiava per poi ritrovarsi nuovamente a cingere una corona.

La narrazione è fluida, scorre veloce senza troppi artifizi pur avvalendosi di un linguaggio e uno stile eleganti, molto appropriato a mio parere dato che si sta rivisitando una storia di un certo spessore. Dunque come già accennato, nonostante possiamo annoverare La Schiava Ribelle tra le interminabili fila dei romance, è un tipo di lettura adatto anche a chi poco tollera le smancerie ma gradisce una caratterizzazione psicologica dei personaggi e, perché no, una bella storia ambientata al tempo dei grandi miti. E quale miglior mito della celebre guerra di Troia che ha dato vita ai personaggi più straordinari, quelli che hanno attraversato indefessi i secoli e sono giunti fino a noi conservando intatto il loro fascino e le loro lucenti armature.

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