La seduzione nell’Odissea – #bookblogadventure. L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso.. – Marilù Oliva

a cura di Marilù Oliva

Le scene di seduzione nell’Odissea sono innumerevoli e ci ricordano quanto allora, come spesso oggi accade, sedurre fosse considerato un talento. Il primo esempio è Calipso che trattiene Ulisse nella sua isola per sette anni, sfruttandolo come toy-boy. Lei è frivola e competitiva con le donne, propone all’eroe l’immortalità per convincerlo a restare. Rincara la dose facendogli notare che Penelope non potrebbe reggere il confronto con una dea, quanto a bellezza. Lo lusinga con cibi prelibati e coccole, ma lui, rivelando ancora una volta la forza dei sentimenti e la decisione del traguardo, non cede alla tentazione. La maga Circe è molto più determinata: non chiede, ma agisce. Quando capisce che non riuscirà a trasformare anche Ulisse in maiale (mentre i compagni di lui hanno già subito la metamorfosi e razzolano in un recinto), la seduzione che prelude l’atto sessuale sembra quasi inutile: in realtà si è consumata poco prima, nella strenua battaglia quasi fisica dove si sono riconosciuti. Perché questo, in qualche modo, significa sedurre: “condurre via”, svelando la parte più ammaliante di sé, quella più utile al fine ultimo che è poi la conquista. I greci utilizzavano la parola “eperopèuein”, che indica uno stato che portavava a indurre qualcuno all’amore, ammaliandogli mente e sensi.
Gli dei adescano in tanti modi, basti pensare a Afrodite ed Eros, le due divinità della seduzione per antonomasia, o alle immaginifiche trasformazioni di Zeus, che arriva ad assumere le sembianze di cigno pur di possedere Leda. Da loro nascerà Elena, la donna più fascinosa del mondo, che della seduzione è l’incarnazione stessa. Diversamente dalla maggior parte delle persone e degli dei, Elena per soggiogare gli uomini non deve spendere alcuna energia: mentre le altre donne ricorrono ad armi come vesti preziose, gioielli, oli e unguenti, profumi, parole invitanti, magari cantate, Elena è la creatura più bella, la personificazione stessa dell’attrazione e tale primato si riverbererà su di lei come un’ombra minacciosa. Questa doppia faccia della seduzione la troviamo ribaltata – e in maniera più pericolosa – nelle Sirene. Il loro tentativo di allettamento è soltanto un imbroglio, ciò che vogliono – alla fine – è spolpare i marinai e, pur di farlo, promettono loro ciò che più desiderano. Lo strumento è una sensualità spiazzante, carnale, espletata attraverso una voce che lascia senza fiato e infonde la brama irrefrenabile di raggiungerle. A ciascun navigante promettono ciò che lui desidera e al re di Itaca, ovviamente, porgono su un piatto d’argento la conoscenza. Ci vorrà un potente giro di corde più volte annodate per trattenerlo. Anche questa volta Ulisse dimostra che talvolta può cedere: lui è un uomo e, come tale, ha diritto alle sue fragilità, non può resistere ogni volta a ogni tentazione. Eppure lui, a cui sembra che tante donne caschino ai piedi, lui innumerevoli volte sedotto, diviene alla fine il seduttore. Quando, tornato a Itaca, viene ristabilito l’equilibrio e i pretendenti sono stati uccisi, Odisseo – ringiovanito e reso più attraente da Atena – si disvela alla moglie, lei potrebbe finalmente buttargli le braccia al collo e inondarlo di baci. Ma non lo fa e, complice la stessa cautela che il coniuge ha sfoderato in diverse circostanze, pretende una prova, vuole un segnale prima dell’amplesso che li occuperà una notte intera, tra tenerezze, sesso e parole. Penelope esige una sorta di corteggiamento, insomma: dopo che lei ha affrontato tante lotte e ha sofferto tanta solitudine, il marito non può negarglielo.

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