La stanza -Fabio Cosio

Apro gli occhi.
Buio.
Dove sono? Come sono arrivato fin qui ma, soprattutto… cosa e dov’è, qui?
In testa il sangue mi martella, non so per quale motivo, se perché sono stato colpito o è semplicemente il panico che pompa il sangue nelle vene. Rimane il fatto che aggiunge confusione al terrore, spavento all’incredulità.
Mi rannicchio su me stesso, cercando di ritrovare un minimo di lucidità. Devo capire cosa è meglio fare.
Respira.
Piano.
Cosa è successo? Ricordo che ero per strada. Sono stato colto di sorpresa, afferrato per il collo e stordito. Il vago ricordo del suono di un motore e poi qui, nel buio più assoluto.
Il respiro sta tornando normale. Non importa quello che è successo. Devo pensare a come uscire da qui.
Striscio sul pavimento. È freddo, sembra metallo. Avanzo piano, tastando ogni centimetro. Per quello che ne so potrebbe esserci un buco davanti a me, o una distesa di vetri rotti.
Un passo dopo l’altro fino a che non trovo la parete. È di metallo anche questa, liscia. Mi sembra di sentire dei suoni arrivare dall’esterno, ma sono ovattati. Qualcuno che parla, o forse ride.
All’improvviso un colpo. Per lo spavento salto all’indietro e mi ritrovo sdraiato su un fianco. Il cuore riprende a martellare.
La calma, devi ritrovare la calma.
Aspetto qualche attimo poi ritorno dov’ero, ritrovo il muro e decido di seguirlo. Mi rendo conto che il pavimento non è piatto, sia a destra che a sinistra è come muoversi in salita.
Come se fossi in un tubo.
Il pavimento diventa una parete insormontabile, senza appigli, solo freddo metallo.
Cerco di non perdere l’orientamento. Ritorno nel punto più basso e mi giro, in modo che la parete sia alle mie spalle. L’uscita deve per forza essere dall’altra parte.
Mi accorgo che l’aria sta cambiando. Fa più caldo, e umido. Riprendo ad avanzare. Per terra è bagnato. L’odore di sudore mi riempie le narici.
Davanti a me c’è qualcosa che si muove. Mi blocco, mentre sento il panico che riprende ad avanzare.
Riempie ogni cellula, mi suggerisce contemporaneamente di restare immobile ma anche di andare avanti, perché a stare fermi ci può essere solo la morte.
Il pavimento ora è scivoloso. Faccio qualche passo indietro e poi lo sento: il calore.
Il metallo sta diventando rovente. Mi volto e i miei occhi vedono finalmente qualcosa, anche se avrei preferito restare cieco: la parete di fondo emette un leggero bagliore, il colore del ferro incandescente.
Nel momento in cui il panico prende il sopravvento corro in avanti, fino ad andare a sbattere contro la parete opposta. È molle, bagnata, si muove. Una creatura spaventosa pronta ad ingoiarmi. Mi rannicchio tremante, in attesa di fauci oscene pronte a fare a brandelli il mio corpo. Attendo che quella cosa mi prenda e spero faccia in fretta, non mi faccia soffrire.
Adesso arriva, lo sento.
Arriva.
Sento qualcuno gridare. Un urlo di terrore che si propaga per tutto il mio corpo, mi fa tremare le ossa e i denti. Un suono ad una frequenza talmente alta capace di perforare il cervello.
È ciò che mi aspetta? Morire nel terrore?
Il calore è sempre più forte. In pochi secondi l’acqua che è sul pavimento evapora mentre l’aria diventa irrespirabile. La parete viva si muove sempre di più ma non mi aggredisce. Per quanto orribile sia è ormai l’unica via, l’unica speranza di sopravvivenza.
Provo a sfondarla. Mi ci lancio contro con tutto il mio peso ma l’unico risultato è di venire scagliato all’indietro sul metallo ormai completamente incandescente. Con un balzo gli sono di nuovo addosso. Affondo le unghie e la sento che si apre. Inizio a scavare, mentre tutto si muove. Le urla sono sempre più forti ma ora si mescolano con le mie. Non penso più a niente se non che devo passare.
Con le unghie e coi denti.
Perché nella testa ora c’è un unico imperativo: sopravvivere.
Improvvisamente il muro si apre. Vengo investito da un fiume di liquido caldo ma non ci bado. Ho gli occhi chiusi, sento odore di ferro e di sangue, le unghie che mi si staccano dalla pelle, ma devo continuare a scavare, è la mia unica speranza.
Il rumore sordo diventa sempre più forte, lo sento sopra di me. Avanzo in un ambiente che vibra, pervaso di suoni ripugnanti. Colpisco qualcosa di duro, impossibile da scavare. Mi sposto di lato, avanzo alla cieca invaso da odori fetidi. Si muove tutto, mi manca l’aria. Cerco di respirare ma mi ritrovo ad affogare.
Improvvisamente cala il silenzio. Attraverso gli occhi ciechi intravedo una luce. Scavo con più foga e finalmente la sento.
Aria. Respiro.
Riempio i polmoni e sputo il liquido che mi ha invaso la bocca, il naso, le orecchie.
Provo ad aprire gli occhi e lo vedo. Un uomo con un sorriso osceno sul viso, una lampada puntata contro la mia faccia. Parla nella sua lingua che non comprendo. Un altro uomo si avvicina, mi guarda, ride, poi da una pacca sulla spalla del compagno, si voltano e se ne vanno.
Guardo in basso. C’è un bel salto fino al pavimento ma non mi importa, voglio solo andarmene via da qui. L’impatto mi toglie il fiato. Mi scrollo, cercando di ripulirmi il pelo. Loro mi ignorano, sono già impegnati a fare altro. Mi allontano correndo, poi mi volto a guardare e finalmente capisco.
Una volta, alla tana, era arrivato un vecchio topo. Aveva le zampe bruciate dal fuoco e le unghie spezzate.
Aveva raccontato di essere stato catturato da degli uomini che poi lo avevano infilato in un secchio che avevano legato al petto di un altro uomo. Lui si era trovato in trappola, mentre questi continuavano a colpire il secchio e a scaldarlo con il fuoco, fino a che lui non aveva avuto altra scelta che scavare attraverso il corpo dell’uomo per trovare una via d’uscita.
Nessuno di noi gli aveva creduto. Erano leggende metropolitane che circolavano da anni in tutte le tane di topi di tutto il mondo. Ma perché mai gli uomini avrebbero dovuto fare una cosa simile? Perché uccidere un loro simile in quel modo?
Il vecchio topo aveva ribattuto che l’essere umano sa essere sadico e crudele. Qualcuno aveva provato a ribattere ma poco dopo l’argomento aveva perso interesse. Ci era venuta fame e qualcuno aveva trovato un posto in cui altri uomini avevano buttato via un mucchio di cibo.
Osservo gli uomini mentre tolgono il secchio da addosso al cadavere. Nel petto ha il buco che gli ho scavato.
Pensare che ho avuto paura che fosse un qualche animale feroce. Invece era solo un uomo.
Ho fame. In fin dei conti sono solo un topo.

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