L’amico fucilato di Silvio Villa

Questo volume presenta per la prima volta al lettore italiano la figura di Silvio Villa (1882-1934), un ricchissimo industriale tessile piemontese che a New York, insieme con il fratello, seppe creare un impero della seta, e che nel 1919, esattamente un secolo fa, pubblicò a proprie spese il racconto Claudio Graziani. An Episode of War, forse il primo testo letterario dedicato all’orrore delle fucilazioni sommarie così frequenti nell’esercito italiano nell’ultima fase della Prima guerra mondiale, cui Villa aveva partecipato come volontario. Fu l’inizio di una piccola carriera letteraria che fece di lui uno dei primi narratori italo-americani: dopo Claudio Graziani, pubblicò infatti altri due libri, stavolta per l’importante editore Macmillan. Nell’autobiografico The Unbidden Guest (1922) offrì vivaci racconti delle sue esperienze in Italia e in America, inserendovi anche alcune storie della Grande Guerra e lo stesso racconto d’esordio, materiali tutti che sono stati recuperati in L’amico fucilato. Pubblicò infine la raccolta di racconti fantastici Ultra-Violet Tales (1927). Socio dei pionieri torinesi del cinema, Sciamengo e Pastrone, Villa inoltre importò e distribuì in America Cabiria, il kolossal cinematografico di Gabriele D’Annunzio, che tanta influenza avrebbe avuto anche sui registi statunitensi. Onnipresente nelle cronache mondane dei giornali newyorkesi del suo tempo, Villa fu in contatto con i nomi più in vista della cultura e dello spettacolo, della politica e dell’alta società in generale: da Enrico Caruso a Douglas Fairbanks e a tanti altri. Morì a Sankt Moritz, in Svizzera, durante una vacanza sulla neve, in seguito a un incidente.

Copertina flessibile: 125 pagine
Editore: Neri Pozza (31 ottobre 2019)
Collana: Piccola biblioteca Neri Pozza
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8854519936
ISBN-13: 978-8854519930

Recensione a cura di Flavia Zaggia

“Chiunque abbia avuto una parte per quanto piccola in una qualche sconosciuta tragedia, ne porta con sé tutto il peso, ed è sempre ossessionato, senza rendersene conto, dal desiderio di farla conoscere, per fare sentire alle persone ciò che un tempo gli aveva colpito il cuore e il cui ricordo ancora torna di tanto in tanto a colpirgli la mente con la forza di una realtà viva” .
Credo sia questa la frase che spiega meglio il perché l’autore abbia voluto scrivere questo racconto in cui i ricordi, le immagini, le sensazioni e gli odori della guerra affiorano pagina dopo pagina e si materializzano nella mente di chi legge.
Sembra quasi impossibile che in poche pagine l’autore sia riuscito a condensare così tante emozioni, ma come egli stesso scrive, le sue parole sono un omaggio ai tantissimi uomini (500.000) che sono morti sulle montagne del Carso durante la I Guerra Mondiale per amore della libertà e di tutti quelli che hanno affrontato grandi sofferenze.
Non è la prima volta che leggo libri in cui si raccontano storie di uomini che hanno combattuto in trincea e come ogni volta scorrere le pagine è stato spesso difficile. In questo libro a differenza di altri però ho trovato anche qualcos’altro: un senso di grande affetto e di gratitudine nei confronti di chi nonostante la paura, il dolore, la voglia di fuggire lontano ha resistito e ha lottato contro ogni aspettativa di vittoria per difendere ogni singolo metro di territorio italiano in una lunga e logorante partita a scacchi in cui ogni giocatore aspetta la mossa dell’avversario per preparare la mossa vincente.
“La guerra: che razza di gioco! Si praticava sotto il sole, sotto le stelle, nella polvere e nel fango, sotto il ghiaccio e nel mare e al di sopra delle nuvole: che razza di gioco! Un solo giocatore è dovunque, non visto, sulla terra, nel cielo, nel mare, sempre presente, sempre pronto e sempre vincente. È la morte!”
Nelle prime pagine ho “conosciuto” tanti soldati: alcuni giovani e inesperti, spaesati e impauriti, altri meno giovani, più filosofi e meno entusiasti ma comunque sempre pronti a compiere il loro dovere. Molti di loro, i più fortunati, li ho nuovamente “incontrati” qualche capitolo dopo sempre impegnati nella loro battaglia per la sopravvivenza, più stanchi, più sporchi, ancora più spaventati e spesso più rassegnati. Tutti loro combattevano sperando di arrivare vivi al giorno dopo e quelli che sfortuna loro si trovavano i prima linea mi hanno raccontato di quanto fosse difficile trascorrere ore interminabili aspettando che succedesse qualcosa e quanto gioire per la morte anche solo di un soldato nemico rappresentasse per loro la vera sconfitta.
Li ho visti mentre si aggrappavano ai ricordi per sopportare il dolore, la disperazione per la perdita dei compagni, la fame e il freddo, quel freddo che è “l’inverno feroce delle trincee lassù in alto, dove gli uomini muoiono come le mosche, congelati fino alla morte, ogni notte. Là dove non sai mai se il cibo arriverà prima che la fame ti stronchi. Dove, se non è un proiettile ad ucciderti, è probabile che lo facciamo le valanghe, e in ogni caso, anche se ti salvi la vita, potresti perdere il senno per tutte quelle sofferenze”.
Accanto a questo l’autore però lancia un grido di condanna nei confronti di chi la guerra la viveva da lontano, di chi stando comodamente seduto dietro una scrivania decideva la prossima strategia, il prossimo attacco senza tenere conto che ogni mossa, ogni decisione sbagliata portava con se morte e distruzione e che erano uomini e non pedine quelli che quegli ordini li avrebbero eseguiti, pena la morte per fucilazione in caso di rifiuto come accade al protagonista del racconto Claudio Graziani.
Capitoli brevi ma intensi. Una lettura toccante che resta dentro a lungo e che lascia un senso di profonda amarezza per ciò che è stata la guerra e le ingiustizie che i nostri soldati hanno dovuto sopportare. Storie che si intrecciano, vite di soldati che si incontrano e si separano, emozioni che arrivano improvvise e si sovrappongono.
Nell’ultima parte del libro vi voglio segnalare l’inserimento di una dettagliata e completa parte biografica dedicata all’autore e alla sua importante famiglia che mi ha permesso di capire meglio perché, a proprie spese, Silvio Villa abbia voluto pubblicare questo libro.

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