Le streghe della foresta di Pendle di Michela Alessandroni

Agli inizi del Seicento, nella foresta di Pendle, abitavano le famiglie di Elizabeth Southerns e di Anne Whittle. In quell’angolo selvaggio del Lancashire, famoso per i furti e le violenze, le due matriarche si erano guadagnate negli anni la sinistra reputazione di essere delle potenti streghe. Sempre in competizione tra loro, anziane e relegate ai margini della società, vivevano grazie a quanto ricavato dalle pratiche magiche, dall’accattonaggio e dall’estorsione. Lì erano rimaste al sicuro per molti anni, intente a praticare la stregoneria e a tramandare le arti oscure alla loro stirpe. Ma quando ascese al trono d’Inghilterra Giacomo I e furono emanate leggi e sgominate congiure, i giudici che erano in cerca di vittime per ottenere il consenso del re cominciarono a indagare. Tra dichiarazioni, confessioni e processi, le streghe della foresta di Pendle divennero protagoniste, tra la primavera e l’estate del 1612, di una delle pagine più cruente della storia inglese: questo saggio si propone di riportarla alla luce, cercando di comprenderne le implicazioni ideologiche, politiche e religiose.

  • Editore ‏ : ‎ flower-ed (16 gennaio 2023)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 122 pagine

Recensione a cura di Lia Angy Fiore

“Le ho udite allora piangere, confessare e chiedere perdono in ginocchio alle loro presunte vittime. E le ho immaginate, una notte d’agosto, attendere insonni il loro destino nel buio delle segrete del castello di Lancaster in cui erano tenute prigioniere. Quella notte d’agosto, più di quattrocento anni dopo, il loro richiamo mi ha destato dal sonno affinché tornassi sui loro passi e scrivessi di loro.” 

Siamo in Inghilterra, più precisamente nel Lancashire, nei pressi di Roughlee e, mentre camminiamo, immersi nel verde, ci troviamo davanti una statua a grandezza naturale. Rappresenta una donna con le dita delle mani intrecciate e delle catene ai polsi; il suo corpo è avvolto da un lungo abito e da una mantella di colore rosso, come gli abiti indossati solitamente dalle ragazze nella campagna inglese, ma anche come il sangue: quello offerto per stringere un oscuro patto, ma anche quello versato a fiumi dai giudici. La donna raffigurata ha il ginocchio piegato e il piede su un gradino, il primo di una serie che la condurranno al patibolo, insieme ad altre persone, tutte coinvolte in un’intricata vicenda. La statua rappresenta Alice Nutter, uno dei tanti nomi presenti nella lista nera delle “Streghe di Pendle”.

La storia delle streghe di Pendle è ben nota agli abitanti del Lancashire, che da quattrocento anni la raccontano di generazione in generazione. 

L’autrice di questo interessante saggio ci conduce indietro nel tempo, agli inizi del 1600, e ci fa conoscere da vicino queste donne che abitavano nella selvaggia foresta di Pendle, ed erano esperte di erbe e di rituali magici. Si trattava di donne povere e prive d’istruzione, che per sfamare se stesse e i loro figli ricorrevano all’accattonaggio e a lavori saltuari. Credevano fermamente di possedere dei poteri magici e si servivano di essi per guadagnarsi da vivere. Pur essendo emarginate e additate come malvagie, pericolose e blasfeme, avevano una funzione riconosciuta dalla comunità, che non esitava a ricorrere alle loro prestazioni. Due di loro erano considerate particolarmente potenti: Elizabeth Southerns, conosciuta come Demdike, e Anne Whittle, meglio nota come Chattox.

 Entrambe ritenevano di avere la capacità di guarire persone e animali, di fare dei malefici talmente potenti da provocare anche la morte, e di liberare attraverso la contro-magia le persone vittime di stregoneria. Tra queste due streghe vi era una forte rivalità, e non esitavano a lanciarsi pesanti accuse pur di screditarsi l’una con l’altra.

Michela Alessandroni ci racconta come ebbe inizio la tragica storia delle streghe di Pendle,  facendoci riflettere su come bastasse veramente poco per essere accusate di stregoneria e finire sul patibolo, e ricostruisce con estrema precisione e accuratezza i lunghi interrogatori e le fasi dei processi. Lo fa servendosi degli archivi, dei registri ecclesiastici, degli strumenti per la ricostruzione degli alberi genealogici e delle fonti dell’epoca, tra i quali il “Demonologiae” di Giacomo I d’Inghilterra, che rappresenta il primo documento a stampa scozzese dedicato alla stregoneria, e aveva il fine di istruire la popolazione sulle varie sottocategorie coinvolte nelle pratiche magiche, sugli elementi identificativi di una strega, sulle varie pratiche, i danni ad esse connesse e la necessità di estirparle. Giacomo I diede inizio ad una vera e propria “caccia alle streghe”. 

Un altro documento prezioso è il “Wonderfull Discoverie of witches” di Thomas Potts, nel quale furono registrati minuziosamente i processi. 

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Quella delle streghe di Pendle è una storia intricata e complessa, fatta di rivalità, di torti subiti, di vendette e di reciproche accuse. Colpisce il numero di persone coinvolte, l’assudità di alcune accuse e il fatto che a muoverle fossero spesso dei familiari (probabilmente costretti dagli inquisitori con i loro metodi coercitivi). Ma c’è un elemento che colpisce più di ogni altro… Il coinvolgimento di una bambina di soli nove anni, Jennet, considerata testimone-chiave dei fatti, la cui confessione portò alla morte di numerose persone, tra le quali sua madre, sua sorella e suo fratello. 

Nelle accuse e nei fatti che vedono coinvolti i protagonisti di questa terribile vicenda vi sono degli elementi che ricorrono: 

– il patto con il diavolo,

– la presenza di “famigli”, che potevano assumere le sembianze di animali o di persone, e promettevano ricchezza e vendetta in cambio dell’anima (che veniva succhiata attraverso il sangue),

– la realizzazione di figure d’argilla per i malefici.

Le donne coinvolte appartenevano tutte ad una stessa area geografica, erano di umile estrazione sociale (ad eccezione di Alice Nutter) e appartenevano quasi tutte a due stirpi di streghe: quella di Demdike e quella di Chattox.

Ho appreso la storia delle Streghe di Pendle lo scorso anno, grazie alla lettura del romanzo di Stacey Halls, “Gli occhi di Alice Grey”, e ne sono rimasta colpita. Questo saggio, breve ma ricchissimo di informazioni e arricchito da illustrazioni, mi ha permesso di conoscere dettagliatamente i fatti. Si evince un lavoro di ricerca notevole, rigoroso e accurato. Alcune informazioni vengono ripetute più volte, e questa è l’unica piccola “pecca” che ho riscontrato. Ho apprezzato molto la chiarezza nell’esposizione e la scelta di inserire ulteriori approfondimenti nelle note per non appesantire la narrazione. 

Nell’ultima parte si parla di come questa vicenda abbia ispirato alcuni autori, e di come i suggestivi luoghi in cui si sono svolti i fatti siano stati abilmente valorizzati a vantaggio dell’industria del turismo.

 Faccio mie le parole dell’autrice per esprimere le sensazioni che questa lettura mi ha trasmesso…

“Ho goduto della bellezza degli scenari naturali, ho respirato odori e fragranze antiche, ho visto quelle donne vivere la loro quotidianità in famiglia, preparare filtri per aiutare i vicini, rivaleggiare tra loro e maledire i nemici”.

Non tutte le donne finite nella lista delle “streghe di Pendle” erano completamente innocenti; alcune di esse commisero effettivamente dei delitti servendosi delle conoscenze sulle proprietà delle erbe, ma ciò non giustifica il trattamento che fu loro riservato. La statua di Alice Nutter è lì a ricordarcelo. 

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