L’isola dei fucili di Amitav Ghosh

Commerciante di libri rari e oggetti d’antiquariato, Deen Datta vive e lavora a Brooklyn, ma è nato nel Bengala, terra di marinai e pescatori. Non c’è stato perciò tempo della sua infanzia in cui le leggende fiorite nelle mutevoli piane fangose del suo Paese, affascinanti storie di mercanti che scappano al di là del mare per sfuggire a dee terribili e vendicatrici, non siano state parte del suo mondo fantastico. In uno dei suoi ritorni a Calcutta, o Kolkata come viene detta oggi, Deen ha la ventura di incontrare Kanai Dutt, un lontano parente ciarliero e vanesio che, per sfidarlo sul terreno delle sue conoscenze del folklore bengali, gli narra la storia di Bonduki Sadagar, che nella lingua bengali o bangla significa «mercante di fucili». Bonduki Sadagar era, gli dice, un ricco mercante che aveva fatto infuriare Manasa Devi, la dea dei serpenti e di ogni altra creatura velenosa, rifiutando di diventare suo devoto. Tormentato dai serpenti e perseguitato da alluvioni, carestie, burrasche e altre calamità, era fuggito, trovando riparo al di là del mare in una terra chiamata Bonduk-dwip, «Isola dei fucili». Braccato, infine, di nuovo da Manasa Devi, per placare la sua ira, era stato costretto a far erigere un dhaam, un tempio in suo onore nelle Sundarban, nelle foreste di mangrovie infestate da tigri e serpenti. La leggenda del mercante dei fucili resterebbe tale per Deen, una semplice storia, cioè, da custodire nell’armadio dei ricordi d’infanzia, se il vanesio Kanai non aggiungesse che sua zia Nilima Bose ha visto il tempio e sarebbe ben lieta se Deen l’andasse a trovare. Comincia così, per il commerciante di libri rari di Brooklyn, uno straordinario viaggio sulle tracce di Bonduki Sadagar che dalle Sundarban, la frontiera dove il commercio e la natura selvaggia si guardano negli occhi, il punto esatto in cui viene combattuta la guerra tra profitto e Natura, lo porterà dall’India a Los Angeles, fino a Venezia. Un viaggio mirabolante, che attraverserà secoli e terre, e in cui antiche leggende e miti acquistano un nuovo significato in un mondo come il nostro, dove la guerra tra profitto e Natura sembra ormai non lasciare più vie di scampo al di là dei mari.

Link d’acquisto

Copertina flessibile: 320 pagine
Editore: Neri Pozza (7 novembre 2019)
Collana: Le tavole d’oro
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8854517607
ISBN-13: 978-8854517608

Recensione a cura di Sara Valentino

La copertina di questo romanzo mi ha chiamata sin da subito, ho una predilezione per i serpenti, la loro simbologia ha radici antichissime e ogni religione ha modellato in qualche modo il significato ancestrale di questo animale su di sé.

Cobra in Sri Lanka

La storia è ambientata ai giorni nostri ma ripercorre quella che è una leggenda dell’antica mitologia indù. Il protagonista, un antiquario esperto in libri rari, durante il suo viaggio di ritorno a Calcutta si trova senza volere, come per una chiamata “divina”, a ripercorrere le vicende del mercante di fucili, Chand Sadagar.

“La più famosa è la leggenda di un mercante di nome Chand, Chand Sadagar, che scappa al di là del mare per sfuggire a Manasa Devi, la dea dei serpenti e di ogni altra creatura velenosa”

Chand era devoto a Shiva ma la dea Manasa Devi cerca in ogni modo di portarlo tra le sue schiere, nessun trucco riesce, la persecutrice invia dunque i serpenti per uccidere i figli del mercante, lo porta alla distruzione, al fallimento della sua attività, un mendicante. Manasa non demorde, quando Chand riesce a ricostruire un piccolo straccio di vita infierisce nuovamente finchè l’uomo non accetta di dedicarsi al suo culto. Chand Sadagar adorerà  Manasa l’undicesimo giorno della luna calante ogni mese. Si dice che abbia costruito un tempio nelle Sundarban. Assomiglia, questa storia leggendaria, alla nostra Odissea, ma qui l’eroe non viene restituito alla sua famiglia, l’ultimo figlio del mercante viene ucciso da un cobra reale e la sua sposa ne reclama l’anima dal regno dei morti.

Deen, il protagonista del romanzo, è un antiquario, si ritrova ad accettare, memore delle favole che ricorda si raccontavano quando era bambino, quando non c’era la televisione, di andare a cercare il tempio perduto della dea nella foresta di mangrovie pluviale delle Sundarban.

“Le Sundarban!” L’idea che potesse esserci un tempio nascosto in una foresta di mangrovie infestata da tigri mi pareva così assorda che scoppiai a ridere. “Perché mai qualcuno dovrebbe costruire un dhaam in una palude?”

“Quale posto migliore di una foresta brulicante di serpenti per costruire un tempio a Manasa Devi?”

Deen accompagnato da alcuni amici trova il tempio, ne cerca di decifrare i simboli, alcuni geroglifici che rimandano alla dea. Le avventure sono solo all’inizio e ci porteranno in giro per il mondo sino a Venezia al suo significato antico, al ghetto ai tempi dell’inquisizione e cosa lega in tre parole questa città al mercante: proiettili, fucile, nocciola. Venezia in bizantino era Banadiq, in arabo diviene al -Bunduqeyya, che significa anche proiettile, fucile e nocciola e a Venezia in passato vi erano molte fonderie.

Il messaggio però di questo romanzo è estremamente chiaro, giunge al lettore un po’ sottocoperta, attraverso le avventure, a tratti anche ad alta tensione, il morso di un cobra reale, ragni velenosi così vicini da far paura. Attraverso lo snocciolare di nozioni storiche apprezzabili, viene scomodato il grande Manunzio, il primo grande editore, viene raccontata la grande peste, i protocolli del tempo non troppo dissimili da quelli odierni si giunge a comprendere che la natura va salvaguardata, è la nostra casa e non prendersene cura è come fare in modo che ci si ritorca contro.

Visioni oniriche, segnali forti, forse anche frutto di una inquietante suggestione, emergono dalle pagine del libro per dare sempre un segnale importante circa la causa e gli effetti devastanti su habitat e specie animali.

“Tante piccole cose, Cinta, una dopo l’altra. e mi sento stupido, ma la faccenda del ragno è stata davvero inquietante: me lo sono visto davanti all’improvviso, e se ne stava lì fermo a guardarmi come se tra noi ci fosse un legame, e poi ho scoperto che era velenosissimo”

Un grido verso la capacità umana di distogliere lo sguardo da tutte le cose sconvolgenti che ci stanno attorno, una voce da una dea antica a risvegliarci dal torpore del nostro tran tran.

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