L’orto fascista di Ernesto Masina

È con grande curiosità che ho intrapreso la lettura di questo breve romanzo, “L’orto Fascista”: il titolo mi ha subito ricordato i racconti di mia suocera sulla guerra che lei trascorse a Milano, almeno all’inizio: e i suoi racconti sugli orti, la mensa collettiva, la lana “autarchica” che nell’acqua si scioglieva…

Ma che cos’erano questi orti? Vennero chiamati dal regime fascista “orti di guerra” quei terreni coltivati in aeree urbane, di solito all’interno di giardini pubblici. Fu un’iniziativa promossa già a partire dal 1940, nella consapevolezza di dover contrastare una possibile – e grave – crisi alimentare per il nostro paese, nell’ipotesi che la guerra non fosse la “guerra-lampo” che si auspicava.  Per la propaganda costituiva la reazione di un “popolo fiero, coeso e indistruttibile” alle difficoltà di un conflitto contro nazioni potenti ed agguerrite: nazioni “imperiali”, come Inghilterra e Francia.

«Per dare un contributo notevole alla campagna alimentare e alle iniziative autarchiche del paese», il regime decise quindi di trasformare i giardini pubblici e i parchi anche delle grandi città in aree coltivabili dove piantare soprattutto grano, orzo, legumi, patate e «quegli ortaggi che nelle contingenze attuali possono dare un apporto considerevole di nutrimento in parziale sostituzione di quanto, per varie cause, più scarseggia per la popolazione civile: la carne» (Ufficio propaganda Pnf, L’orto di guerra, p. 1).  Si arrivarono a coltivare anche le aiuole del centro cittadino e i terrazzi privati in vasi, cassette, e addirittura nelle vasche da bagno. Le trebbiature si svolgevano nelle piazze principali delle città ed erano vere e proprie manifestazioni del regime, con i covoni ricoperti da bandiere tricolori e vessilli fascisti, benedetti nel corso della cerimonia da vescovi e cardinali. 

Le scuole, come accade anche nel nostro romanzo, vengono coinvolte molto attivamene: sul sito dell’ANPI di Lissone, ad esempio, si può leggere la testimanianza di un maestro che (in data 10 aprile 1943) annota sul Giornale della Classe: «Stasera verso le 16 mediante il concorso dei miei alunni abbiamo finito di vangare l’appezzamento di terreno prospiciente la nostra scuola. A dire il vero è stato un lavoro ben arduo poiché il terreno era pieno di sassi e calpestato dai passanti». Il 24 aprile del 1944 ebbe invece luogo la cerimonia della semina del granoturco nell’orto di guerra che era stato precedentemente dissodato e vangato dai maschietti della Scuola del Lavoro e in seguito leggiamo: «Le mie alunne hanno proceduto alla semina dell’insalata in un’aiuola riservata alla nostra classe».

Il romanzo prende spunto dalla creazione di un orto di guerra a Breno, per raccontare la vita di questo piccolo centro della Val Camonica: il paese riesce a tenersi abbastanza al margine delle vicende del regime fino a quando, nel 1943, la situazione comincia a diventare tesa; già a partire dal 25 luglio i tedeschi, sentendosi traditi dagli italiani, grazie alla perfetta organizzazione che li contraddistingue occupano tutti i punti chiave della penisola e instaurano la legge marziale. Anche a Breno arriva una squadra di sei tedeschi, con il compito di mettere fine alle diserzioni e individuare i partigiani: visti così sembrano dei bonaccioni, ma presto dimostrano di essere feroci e implacabili.

La reazione dei “mansueti” autoctoni non tarda ad arrivare: disturbati nel loro tran tran quotidiano e nei loro piccoli vizi e virtù, non meno che nel loro senso di giustizia, i paesani decidono di ribellarsi e di dare “una lezione” ai fastidiosi “crucchi”. La caratterizzazione dei personaggi è straordinaria, dal curato al farmacista, dalla maestra procace al capo della squadraccia di tedeschi… persino il vescovo contribuisce a questa divertente galleria di caratteri che le prepotenze dei tedeschi scuotono dal loro torpore per, in alcuni casi, riscoprirsi completamente cambiati dopo l’atto di sabotaggio e la sua rocambolesca soluzione.

Il romanzo è un romanzo che definirei “di costume”, una tragicommedia con un’indubbia vena umoristica in cui purtroppo non sono riuscita a entrare completamente. Inoltre, devo dire che ho apprezzato molto le descrizioni dei personaggi che compongono a tratti un affresco degno dei romanzi di Guareschi; tuttavia credo che si ecceda un po’ nei dettagli pruriginosi, provocando qualche lungaggine che non mi sembra giovare all’economia dell’opera. Malgrado ciò, il romanzo è ben scritto e non ho potuto fare a meno di apprezzare la ricchezza dei personaggi che si muovono in modo corale in questo paese, preso a modello di tanti paesi del Nord Italia che sicuramente avranno vissuto vicende simili; e, pur non volendo dare anticipazioni sul finale, è da sottolineare il senso di fiducia che infonde, la speranza che emerge dalla solidarietà tra vicini che quasi inconsapevolmente si coalizzano per il bene comune. Interessante.

 

Valle Camonica, 1943. Con l’occupazione tedesca, anche a Breno i fascisti hanno rialzato la testa. Nel bar Monte Grappa, tra un torneo di briscola e una bevuta, si ordiscono le trame e si ordisce un piccolo attentato, allo scopo “di dare una lezione ai quei dannati tedeschi”. Non tutto procede per il verso giusto. Persino i collaborazionisti, da don Pompeo alla “Signora Maestra” Lucia, stimata Custode dell’Orto Fascista, vengono coinvolti in una girandola di equivoci. Tra un sidecar che salta in aria e qualche rappresaglia, anche i bambini prendono parte a una singolare tragicommedia che a volte sfiora la pochade.

  • Peso articolo : 300 g

  • ISBN-10 : 8865701404

  • Copertina rigida : 216 pagine

  • ISBN-13 : 978-8865701409

  • Editore : Macchione Editore (1 aprile 2013)

  • Lingua: : Italiano Link d’acquisto 

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