L’OSPITE DI Amparo Davila tradotto da Alice Ortega

Racconto a puntate #aspettandohalloween

“Antropoide” da professorparanormal.wordpress.com

 

Non dimenticherò mai il giorno in cui venne a vivere da noi.
Mio marito lo portò con sé al ritorno da un viaggio. A quell’epoca eravamo sposati da circa tre anni, avevamo due bambini e io non ero felice. Per mio marito, io rappresentavo qualcosa di simile ad un mobile: uno di quelli che ci si abitua a vedere sempre nello stesso posto, ma che non suscita la minima reazione. Abitavamo in un paesino piuttosto isolato e distante dalla città. Un paese quasi morto o sul punto di sparire.
Non potei trattenere un urlo di orrore quando lo vidi per la prima volta. Era lugubre, sinistro. Aveva grandi occhi giallastri, quasi rotondi e dalle palpebre immobili; sembrava che penetrassero attraverso le cose e le persone.
La mia misera vita si trasformò in un inferno. La notte stessa del suo arrivo supplicai mio marito di non condannarmi alla tortura della sua compagnia. Non potevo farci niente; suscitava in me diffidenza e orrore. “È completamente inoffensivo” disse mio marito con studiata indifferenza. “Ti abituerai alla sua compagnia, e se non ci dovessi riuscire…” Non ci fu modo di convincerlo a portarlo via. Rimase a casa nostra.
Non fui l’unica a soffrire per la sua presenza. Tutti in casa – i miei bambini, la donna che mi aiutava nelle faccende domestiche, il suo figlioletto – avevamo paura di lui. Solo mio marito era lieto di averlo nostro ospite.
Fin dal primo giorno, mio marito gli assegnò la stanza d’angolo. Era un locale ampio, ma umido e buio. Proprio per queste sue caratteristiche, non lo usavo mai. Invece lui sembrò soddisfatto di quella sistemazione. Essendo piuttosto buio, era molto indicata per le sue esigenze. Dormiva fino al tramonto e non seppi mai a che ora si coricasse.
Persi quei pochi momenti di pace di cui potevo godere nella grande casa. Durante il giorno, le ore trascorrevano in un’apparente normalità. Io mi levavo sempre molto presto, vestivo i bambini che erano già svegli, davo loro la colazione e me ne prendevo cura mentre Guadalupe rassettava la casa e usciva a fare la spesa.
La casa era molto grande, con un giardino al centro e le stanze disposte tutt’intorno. Tra le camere e il giardino vi erano dei corridoi che proteggevano l’interno dal rigore delle piogge e del vento, che erano frequenti. Tenere in ordine una casa così grande e aver cura del giardino, la mia occupazione mattutina quotidiana, era un compito duro. Ma io amavo il mio giardino. I corridoi erano ricoperti di rampicanti che fiorivano quasi tutto l’anno. Ricordo quanto mi piaceva, al pomeriggio, sedermi lungo uno di quei corridoi a cucire i vestiti dei bambini, avvolta dal profumo del caprifoglio e della bouganville.
Nel mio giardino coltivavo crisantemi, viole del pensiero, ciclamini, begonie ed eliotropio. Mentre io innaffiavo le piante, i bambini si divertivano a cercare bruchi tra le foglie. A volte passavano ore intere, in silenzio e molto concentrati, a cercare di prendere le gocce d’acqua che colavano dal vecchio tubo d’irrigazione.
Io non riuscivo a fare a meno, ogni tanto, di lanciare un’occhiata verso la stanza d’angolo. Lui dormiva per tutto il giorno, ma non potevo fidarmi. Molte volte, mentre cucinavo, avevo visto improvvisamente la sua ombra proiettarsi sulla stufa a legna. Lo sentivo dietro di me… e allora scagliavo a terra qualsiasi cosa avessi in mano e uscivo di corsa dalla cucina gridando come una pazza. Lui se ne tornava nella sua stanza, come se nulla fosse successo.

Continua…

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