Marco Polo di Brian O. Donn Byrne – Castelvecchi editore – E. Conte (Traduttore)

Donn-Byrne è stato – come affermò lui stesso – l’ultimo di una fortunata serie di narratori irlandesi, cantori di una letteratura dove coesistevano elementi romantici, magici, e uno spirito sanguigno e rivoluzionario he da sempre fa capo al genio d’Irlanda. Raccontato con il tono del bardo, il suo Marco Polo ripercorre un episodio spesso trascurato dalla letteratura storica: l’amore tra il viaggiatore italiano e la figlia di Kublai Khan. In un colorato mosaico di ambientazioni medievali, tra scimmie, pavoni, immense ricchezze, luoghi e profumi d’altri tempi, Donn-Byrne proietta il lettore in un mondo lontano.

 

 

Copertina flessibile: 92 pagine
Editore: Castelvecchi (26 maggio 2016)
Collana: Narrativa
Lingua: Italiano

Recensione a cura di Sara Valentino

Leggendo questo breve romanzo di Donn-Byrne mi è venuta una gran “sete” di leggere e conoscere approfonditamente la storia del nostro Marco Polo.

L’autore, vissuto tra il 1889 e il 1928  è uno scrittore di origini irlandesi e ha scritto numerosi romanzi proprio di ambientazione storica ed esotica.

Leggendo questo suo, che ha voluto dedicare a Marco Polo, ci si trova catapultati in un’altra epoca attraverso le sensazioni visive che traspaiono dalla narrazione. Sembra quasi che ci stia raccontando una fiaba, ci riporta alla magia del tempo che fu.

Il quadro di Venezia, dipinto attraverso le stesse parole di Marco Polo, è un disegno di amore verso la città del viaggiatore-mercante. Parla della Venezia di quando era la regina del mare e i suoi figli gli inventori di quel mare. La racconta attraverso i mestieri, i mercati e i profumi delle spezie paradisiache, di cere, di lacche e di perle che la rendevano un paradiso per l’olfatto e per la vista.

“Tale era Venezia, quando Marco Polo era giovane. Ora non è più che una città qualsiasi, eccezion fatta per le chiese e per i canali. Molte città sono abitate da fantasmi, ma nessuna ne conta tanti come Venezia, neppure Roma o Tara, la città dei Re”

C’è poi un capitolo bellissimo, che ripercorre un momento del viaggio, quello in cui dopo aver passato le colline di Palestina si trovano ad attraversare il territorio in cui svetta il monte Ararat, dove Noè ancorò l’arca e dove forse si trovava ai tempi di Marco Polo come forse ancora tutt’oggi. Viene menzionata la Valle delle Donne crudeli, la Valle dei Coccodrilli e il Deserto Orribile.

“I cristiani furono presi dal desiderio ardente di rivelare il verbo di Cristo ai più strani e lontani popoli della terra. Ogni giorno dei monaci partivano da Gerusalemme, alcuni per affrontare i maghi del Regno dell’oscurità, altri per discutere di teologia con gli antichi lama del Tibet. Altri ancora si proponevano di convertire gli abitanti delle soleggiate isole del Sud, dove le donne portano i capelli sciolti e gli uomini dimenticano per causa loro le leggi del Signore. In tutto il mondo si diffondeva la gran voce che era infine nota la verità su ogni cosa”

Un giorno, durante i viaggi, un capitano cinese gli racconta di una certa Campanella d’oro, figlia di Kublai Khan. Sarà il suo tarlo, pur non avendola ancora conosciuta, gli resterà impressa, vivida e presente nei suoi pensieri. E sarà parte poi del suo destino.

L’autore decide dunque di raccontarci questo episodio, davvero poco conosciuto, del viaggio in Estremo Oriente di Marco Polo e lo fa attraverso una narrazione vivace e visiva.

“Ora la sabbia li circondava ovunque e tuto era immerso in una nebbia opprimente, che rendeva il sole simile a una moneta di rame. Un gran silenzio avvolse la carovana e non si udiva altro che il ruminare dei cammelli e il tintinnio delle loro campanelle. Non vi era ombra di vegetazione intorno. 

La carovana fu colpita da un terrore innominabile, che una notte indusse un terzo del seguito a disertare”

 

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