Occhi azzurri di Arturo Pérez-Reverte

Trama. Tenochtitlán, 30 giugno 1520. È l’ultima notte degli spagnoli nella capitale dell’impero azteco, ed è passata alla storia come la «Noche Triste». Dopo la «strage del Templo Mayor», l’odio dei tlaxcaltechi verso i conquistadores trabocca come una marea, e si mischia alla pioggia che batte furiosa sulla città, travolgendo gli uomini di Hernán Cortés in disordinata e sanguinosa ritirata. Tanto disperato è il tentativo di salvare la pelle che molti lasciano indietro l’oro dei saccheggi, per correre più leggeri verso la salvezza. Non lui, il soldato dagli occhi azzurri, che non vuole rinunciare, a nessun costo, alla promessa che quel tesoro racchiude, la promessa che lo ha portato fin lì. È il prezzo del suo coraggio, gli ha sacrificato tutto, persino la sua paura.

Recensione a cura di Sara Valentino

“Gli ultimi giorni di Tenochtitlan, Conquista di Mexico di Cortès”, pittura del 19° secolo di William de Leftwich Dodge.

Il libro di cui parlo oggi non è un romanzo ma un racconto breve. E’ un flûte letterario che ho bevuto in una sera. Non è il Pèrez del Club Dumas, per intenderci, ma è uno scritto di una intensità incredibile un focus su un momento ben preciso, una istantanea che squarcia la notte. Alla fine desideravo ancora rimanere ancora in questo luogo, in questa parte di Storia seppure tanto dolorosa.

Il dolore lo si percepisce tutto, non è solo la vicenda inventata a donare valore allo scritto ma il senso dell’accaduto che l’autore cerca di trasmettere al lettore. Come in un momento storico quale quello in cui Hernan Cortès e i suoi uomini invadono, uccidono, saccheggiano gli Aztechi e di come questi si difendono.

Il 30 giugno e il 1° luglio 1520 a Tenochtitlan fu la “notte vittoriosa” passata alla storia come “Noche Triste”, un inferno in terra. “Occhi azzurri” ne è il resoconto, breve e intenso che non lascia spazio a dubbi e il suono del tamburo resta nelle nostre orecchie bum… bum…. bum…

Una battaglia disperata per non rinunciare all’oro, per tornare a casa sapendo di aver combattuto per qualcosa, si erano giocati il tutto per tutto i conquistadores, alcuni caduti in disgrazia, altri fuggendo da una vita misera senza futuro, anche una morte delle più atroci poteva valere il prezzo di un’avventura con la promessa di un riscatto.

Non è da pensare che l’autore sia concorde con un lato o meno della barricata, non lo è, semplicemente racconta la Storia e immagina una storia parallela che gli è entrata nell’animo dopo aver visto un mural di Diego Rivera in cui una donna india portava in braccio un bambino dagli occhi azzurri.

Bum… bum.. bum… Moteczuma era morto, i messicani assetati di vendetta, in cima ai templi i sacerdoti sollevavano le braccia al cielo e si preparavano ai sacrifici.

I maledetti tamburi di Tenochtitlan lo sfondo canoro di un amore passato, finito, usato e abusato, un uomo a chiedersi come il destino sappia ben farsi beffe dei mortali.

Pensava a quell’india con un vuoto strano nel cuore, uguale a quello che sentiva quella notte. Un vuoto la cui intensità superava perfino quella della paura”

Il racconto termina con alcune brevi e interessanti appendici e lascio questo stralcio di pensiero dell’autore per concludere e indurre la possibilità di una riflessione circa la conquista del Messico e le sue contraddizioni.

“Immagino che la cosa politicamente corretta sarebbe dire che chi la fa l’aspetti, e che se si va in cerca di guai, o di oro, si corre il rischio di finire impalati. A questo punto, l’orrore della conquista del Messico, la crudeltà degli uni e degli altri, l’ambizione senza freni, la schiavitù degli indios e la tragedia che si prolunga fino ai giorni nostri, sono abbondantemente noti…. un’avventura disperata in cui uccidi o muori”

  • Editore ‏ : ‎ Solferino (5 agosto 2021)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 80 pagine
  • Link d’acquisto

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