Otto milioni di dei di David B. Gil

Un romanzo paragonato a “Il nome della Rosa”, tra viaggi avventurosi, morti violente, gesuiti con troppi segreti, lingue misteriose, ambigui monaci buddisti, spie, mercantesse truffatrici, giochi di spade e giochi di potere, sullo sfondo dell’intramontabile mistero di una civiltà lontana e sfuggente. Nagasaki, 1578. In un Giappone feudale, ancora immerso in un medioevo violento e arcano, una serie di morti turba la quiete della missione dei gesuiti, i primi ad aver penetrato il mistero della remota “isola dorata” di cui si favoleggiava dai tempi di Marco Polo, scoperta solo pochi anni prima da navigatori portoghesi. Toledo, sei mesi dopo. Un messaggero varca la soglia del Palazzo Episcopale, addentrandosi nel labirinto di corridoi che porta alle stanze della biblioteca. È qui che, oltrepassando sale traboccanti di polverosi manoscritti, si trova il destinatario della missiva, padre Martín Ayala. Lo studioso, famoso linguista e traduttore, era stato tra i primi gesuiti ad approdare in Giappone, diventando l’unico conoscitore occidentale della sua cultura e della sua impenetrabile lingua. E adesso, a giudicare dalla missiva che ha appena ricevuto, sembra giunto il momento di tornarvi. Tre confratelli della missione giapponese sono stati trovati morti, uccisi brutalmente, due a Osaka e uno a Tanabe. E nonostante la distanza tra le due città è chiaro che si tratta della stessa mano assassina. Affrontando un lungo viaggio, padre Ayala ritorna così nell’isola dov’era stato tanti anni prima, deciso a indagare. A Nagasaki troverà ad attenderlo Kudo Kenjiro, un giovane contadino figlio di samurai, samurai lui stesso, scelto per l’ingrato compito di scortare lo straniero nei feudi più remoti del regno, dove entrambi dovranno affrontare paura e diffidenza, ma anche forze misteriose che sembrano cospirare contro di loro. Perché in un mondo avvolto dalla nebbia del tempo, il cui cielo è popolato da otto milioni di dei, chi ne adora uno solo non soltanto è straniero. È un pericolo.

  • Editore ‏ : ‎ Piemme (12 luglio 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina rigida ‏ : ‎ 696 pagine

Recensione a cura di Cinzia Cogni

Il romanzo storico “Otto milioni di dei” scritto da David B. Gil non è una semplice storia ambientata nel Giappone del XVI  secolo, ma una trama complessa che  lentamente ci conduce in un passato ricco di cultura e tradizioni mai dimenticate.
In questo intreccio convivono tantissimi personaggi diversi tra loro, sia caratterialmente che di estrazione sociale, ed emerge soprattutto uno scontro culturale e religioso tra occidentali e orientali dell’epoca, convinti entrambi di possedere la ragione e la verità.

“…su queste isole abitano otto milioni di dei e noi siamo la loro prole… non abbiamo bisogno di un dio straniero che neghi la fede dei nostri padri…”

Protagonista assoluto è il gesuita Martin Ayala, inviato in Giappone dalla chiesa romana per indagare sulle misteriose morti di alcuni missionari; Ayala conosce bene quei luoghi, tanti anni prima aveva cercato di portare “la parola di Gesù” tra quel popolo ancora sconosciuto e fu uno dei primi a comprendere e parlare la loro lingua.
Ad accompagnarlo nelle sue indagini c’è kudo Kenjiro un giovane discendente dai samurai, che ha il compito di proteggerlo anche a costo della vita, nonostante i loro pensieri e il loro credo siano opposti.
È una storia dove convivono samurai, shogun, ronin…ossia tutte le principali figure giapponesi che  rappresentavano il potere e la forza di questo popolo. Conosciuti come “i signori della guerra”, comandavano i numerosi feudi che si erano formati in quel periodo storico, sempre in guerra tra loro.

“Alla lunga, i nostri nemici sono gli unici di cui ci possiamo fidare,  perché sappiamo esattamente che cosa aspettarci da loro…”

In questo romanzo l’avventura, gli enigmi da svelare, gli intrighi politici e le violente battaglie , si amalgamano alle varie storie drammatiche dei protagonisti, mettendo in relazione la fede cristiana con la filosofia di vita orientale…in sottofondo c’è una sorta di messaggio universale, ma anche una triste realtà: la troppa convinzione rende ciechi entrambe le parti.

“…è forse così assurdo pensare che la parola di Dio sia arrivata a noi attraverso Cristo e a loro attraverso Buddha?”
“No…non potete fare una cosa del genere. Non potete travisare la parola di Dio a vostro piacimento.  È contro la chiesa di Roma…”

Ho apprezzato molto il ruolo delle donne; non sottomesse o relegate ad essere mogli e madri, come ci si aspetta da un romanzo ambientato nel medioevo, ma bensì donne di potere, indipendenti e combattive, che non  si arrendono ad una società maschilista ma che provano a rovescerla con intelligenza e coraggio.
“Il giorno che ti indignerai per le cicatrici che non puoi vedere, avrai imparato qualcosa del mondo che le donne sono costrette ad abitare…”

Una lettura ricca di colpi di scena, dove anche se regna il male, i buoni sentimenti come l’amicizia, l’amore, l’onesta e il coraggio, non vengono mai a meno…ma è anche una lettura faticosa e questo a causa della lentezza con cui vengono raccontati gli eventi, per le descrizioni del paesaggio e delle scene accurate e quasi maniacali, per i difficili dialoghi teologici…insomma una lettura non adatta a tutti, che prevede anche una certa conoscenza della cultura nipponica o almeno una passione verso questo popolo.
Se pensate che le vicende narrate siano solo frutto della fantasia dell’autore vi sbagliate, certi eventi fanno parte della storia del Giappone e alcuni personaggi sono esistiti veramente, il che fa comprendere quanto studio ci sia dietro questo romanzo e perché nonostante alcune parti rocambolesche o troppo dispersive, l’ho apprezzato fino alla fine.

“Ayala-sensei…il mio dovere è proteggervi a costo della vita, e da questo incarico dipendono l’onore di mio padre e della mia casa, ma vi prego di non farmi morire per una ragione indegna.”

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