Raffaello. La verità perduta di Francesco Fioretti

Roma, 1519. Ci sono voluti anni di fatiche e compromessi, ma ora lui, Raffaello da Urbino, è per tutti un maestro, “il” maestro, in realtà, da quando Michelangelo e Leonardo sono partiti. La Città Eterna, però, si è rivelata un nido di serpi, e dietro i sorrisi non vi è che invidia. Da quando poi papa Leone X lo ha nominato sovrintendente all’archeologia romana, le cose sono andate peggiorando. Roma nasconde tesori che spetterebbero al papato, ma molti di questi si trovano sui terreni delle famiglie nobili più influenti, che mai vi rinuncerebbero. Così, stritolato tra un papa forestiero e le famiglie che vuole ingraziarsi, Raffaello decide di disegnare una mappa della Roma imperiale. La caducità degli interessi dei singoli sarà con il tempo scalzata da un oggetto imperituro. E, nel frattempo, dedica tutto se stesso alla pittura, alla “Trasfigurazione”, e alla donna che ama, Margherita, la Fornarina, sua musa e amante. Pochi mesi dopo, però, Raffaello, il banchiere Chigi e il cardinal Bibbiena, suoi amici e mecenati, muoiono in circostanze misteriose. Una vita disordinata, nella versione ufficiale, ma per Pietro Aretino, brillante poeta e amico, spirito libero costretto al soldo di padroni a volte indegni, e per Margherita, le morti sono opera della stessa mano assassina. E per trovarla dovranno disseppellire una rete di invidie, antichi misteri e patti segreti tra i più impensabili alleati. A cinquecento anni dalla morte di Raffaello, Francesco Fioretti ce ne regala un ritratto, non solo il maestro ricercatissimo e osannato, ma anche la vittima di quello stesso potere che lo rese uno dei più grandi interpreti del Rinascimento, cuspide tra il mondo del bello come manifestazione di Dio e dell’uomo e un’epoca di repressione e penitenza.

Link d’acquisto

  • Copertina rigida: 288 pagine
  • Editore: Piemme (26 maggio 2020)
  • Collana: Storica
  • Lingua: Italiano

Recensione  a cura di Sara Valentino

“..nella vita di un uomo, un libro si chiude dopo l’ultima pagina e un altro se ne apre di cui ancora non si sa un bel nulla. E però, nella nuova lettura in cui ci si immerge, si porta tutto il peso delle precedenti”

Nel cinquecentenario dalla morte del grande Raffaello Sanzio, l’autore già conosciuto per il romanzo storico dedicato al genio di Leonardo Da Vinci, romanza una splendida avventura storica ambientata nell’altrettanto luminoso Rinascimento italiano.

Raffaello morì a soli 37 anni, dopo alcuni giorni di febbri e malori, si ipotizzò, almeno lo fece il Vasari, che fosse causata da eccessi amorosi, certamente qualcosa non torna in questa morte prematura che potrebbe essere stata indotta da altro.

“Raffaello. La verità perduta” ci regala uno spaccato del bel e maestoso mondo rinascimentale senza però precludere il fatto che le serpi erano annidate, perfide, in attesa di colpire proprio lì nel cuore della Città Eterna, lì dove da sempre si incontrano e scontrano i destini dell’uomo e del mondo.

Raffaello vive d’arte, ma anche della sua Margherita, un amore non destinato, nemmeno voluto dai grandi potenti, un amore però estatico. Un amore che ha già germogliato un erede.

“Ho posato per voi, ho fatto tutto quello che mi avete chiesto, sempre, e mai nulla vi ho chiesto io per me. Lo so mi basta sapere, e me ne havete dato pruova, che mi amate come non avete mai amato alcuna a ripagarmi di tutto. Non sarò mai vostra moglie, questo mi pare che me lo habbiate fatto intendere: mai, almanco, lo sarò pubblicamente.”

Raffaello da Urbino, il Maestro a cui vengono assegnati importanti lavori, quali la mappa delle antichità di Roma, le stanze vaticane, la fabbrica di San Pietro, si trova a farsi crescere la barba, ne sente il diritto; è un’immagine inquietante, altera, vederlo così e vestito di nero con i suoi amici in cima a un colle all’imbrunire. Uno sguardo dato verso quegli antichi da cui imparare a vivere, imparare la sensualità dello spirito e la spiritualità dei sensi. I nostri volevano carpire un segreto, quello dell’eternità dei grandi: la formula magica da adoperare per imprimere il divino nelle opere. Un po’ una liaison tra pagani e cristiani unire la gioia di vivere, l’equilibrio dei sensi senza perdere di vista il divino.

“… così nella Scuola di Atene nel palazzo in Vaticano lui li aveva rappresentati: artisti nei panni dei filosofi greci. Li aveva fatti tutti barbuti: Platone somigliava proprio a Leonardo, Aristotele ricordava Bastiano da Sangallo, Eraclito era Michelangelo, il poeta del divenire”

L’incarico a Raffaello gli era stato affidato da Giulio II, il papa guerriero, uno dei più celebri del Rinascimento; il successore Leone X (figlio del celebre Lorenzo de’ Medici) prosegue questa opera di salvaguardia delle opere archeologiche. Raffaello si trova però presto invischiato in una diatriba familiare, procede dunque con diplomazia e prudenza ma sapendo di avere dei nemici, la prova ne era certamente il fatto che veniva seguito. Ma da chi? Poteva trattarsi d’invidia, artisti rivali dunque oppure committenti in lista d’attesa.

Un nido di serpi, bisogna fare attenzione, tutti aspirano a fare carriera e diciamocelo che non è poi cambiato molto a cinquecento anni di distanza. Una sera, una festa, una scia di morti … casualità? Raffaello muore il giorno del suo compleanno, il venerdì Santo, una incredibile coincidenza…

Inizia no una serie di peripezie, quelle dell’Aretino, grande amico di Raffaello, per scoprire chi si nasconde dietro le misteriose morti, un’avventura fatta di simboli, di sospetti, di strane monete, di viaggi nell’estasi dell’arte di questo grande artista. Si chiede, l’Aretino, il perchè delle morti, Raffaello, il Chigi, il Bibbiena e altre, si chiede se con essi non sia morta un’epoca e se forse l’assassino aveva proprio questo intento.

Fioretti ci racconta una storia di intrighi, storia romanzata, idee, supposizioni, incastri e lo fa però portandoci alla scoperte dell’arte di Raffaello e io confesso di essermi più volte persa nelle descrizioni. La prosa poi, corredata di lettere vergate con la dialettica dell’epoca, è sublime e poetica, un inno all’arte perchè attraverso le parole dipinge scene di un tempo meraviglioso. Ho apprezzato l’amore che emerge per questo artista, laddove si dice che ove passava avesse il tocco magico di trasformare, il carisma del capo, dissipava le discordie.

“Lui sopravvive nelle sue opere, noi abbiamo il compito di difendere il suo mondo, che è anche il nostro”

Ripercorre come un filo la contrapposizione di paganesimo e cristianesimo, non a caso Raffaello vivendo nell’epoca del neoplatonismo rinascimentale immortala nella Disputa del Sacramento l’ideale platonico del Vero, accanto agli altri affreschi del Buono e del Bello.

Non potevo che terminare con un messaggio celato tra le pagine, Fioretti ci esorta a guardare al male come una risposta, perchè senza il bene non esisterebbe è un equilibrio della vita, una sorta di armonia, il male però alla lunga si estingue da sè, brucia delle sue stesse fiamme distruttrici.

“Il male dilaga ovunque a volte come un fiume in piena, ma ha bisogno del bene per esistere, mentre il bene del male non ha bisogno alcuno…”

 

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