Scudi, bandiere e altre storie nel Palazzo Vecchio a Firenze II Parte – Arnolfo e il Podestà

a cura di Alfredo Betocchi

per chi si fosse perso la prima parte: Scudi, bandiere e altre storie a Palazzo Vecchio I parte

(…continua) E così l’avvocato mi condusse dal Giudice di Pace per l’istanza che in poco tempo mi risolse la sgradevole situazione legale in cui mi ero cacciato e che qui non dirò. Mi salutò senza darmi alcuna spiegazione di quello che ci era successo per cui, roso dai dubbi e dalle domande, dopo una settimana, gli telefonai per un nuovo appuntamento.
Questa volta volle rivedermi ai piedi della scala che dall’ingresso di Via dei Leoni, dietro Palazzo Vecchio, conduce al così detto Cortile dell’Anagrafe. Per fortuna, il tempo fu clemente e solo poche nuvole volavano sul cielo azzurro.
Incontratolo, lo salutai e feci per salire gli scalini ma l’avvocato mi fermò subito con un gesto perentorio:
«No, questa volta entreremo da un’altra parte. Mi segua!» Ammutolii obbedendo.
Svoltò a destra e ci trovammo subito davanti a un cancello di ferro chiuso a chiave. L’ometto tirò fuori da una tasca una piccola chiave che inserì nella toppa aprendo il cancello. L’interno era tutto buio ma avanzò senza indugio verso sinistra. Lo seguii fiducioso come la volta precedente.
«Vedremo oggi come è stato costruito il Palazzo, mi disse, l’edificio è un vero castello.» Dopo aver aperto un secondo cancello più piccolo, si diresse senza indugio a una porta che intravidi nella penombra.
L’avvocato aprì con una terza chiave anche quell’accesso, entrando in un vasto ambiente molto profondo. Il buio era totale. Fui preso dall’ansia ma l’amico tirò fuori dalla tasca una pila e, facendoci luce, si diresse dritto in direzione della Piazza della Signoria. Camminammo per qualche minuto poi mi indicò una scaletta di legno che risaliva in superficie. “Meno male” pensai. Salì agilmente, smosse la botola di legno, simile a quella sulla quale ero inciampato nel Palagio di Parte Guelfa e una forte luce ci investì entrambi, lasciandoci per qualche secondo completamente ciechi.
Passata l’impressione dell’abbaglio, uscimmo all’esterno. Un uomo che pareva un architetto circondato da alcuni giovani e dal Podestà che avevo visto nella Torre della Castagna, tutti con abito d’epoca, esponeva aiutandosi con un largo foglio il progetto di costruzione del nuovo Palazzo Comunale.
«Ecco, messer Monfiorito, questo è il disegno che ho fatto per la costruzione del palazzo. Senza entrare nell’area “maledetta”, potremo utilizzare lo spazio occupato oggi dalle case dei Foraboschi, obbligandoli a venderle alla Repubblica e ottenendo così due risultati. Avremo il terreno che ci serve e li obbligheremo ad andarsene da Fiorenza.»
«Ottima idea, messer Arnolfo, ci libereremo finalmente di loro anche se questo ci costerà un mucchio di fiorini.»
«Oltrettutto, messer Podestà, potrete risparmiare molti denari evitando di abbattere la loro torre. La utilizzeremo per costruire quella del Palazzo Comunale.» concluse l’architetto. «Ah, ma voi siete un genio, messer Arnolfo. Questa è una grande idea! Per ringraziarvi, chiameremo la torre col vostro nome: Torre d’Arnolfo, non suona bene?» Tutti risero e il podestà aggiunse: «Molto bene, i lavori dovranno cominciare il 24 febbraio di questo stesso Annus Domini 1299.»
L’avvocato mi dette di gomito e io, che avevo assistito a tutta la scena a bocca aperta, la richiusi e lo seguii emozionato.
Una volta rifatto il percorso inverso, chiuse porte e cancellate, ci ritrovammo ai piedi della scalea dove ci eravamo trovati.
«Mi ascolti, avvocato, vorrà mica dirmi che quel percorso sotterraneo ci riporta indietro di settecento anni, vero?»
«Ma come, caro amico, non l’aveva ancora capito? Le dirò che Arnolfo di Cambio, nel suo progetto, non badò molto alla simmetria. Egli dovette lavorare a rime obbligate, per usare la Torre della Vacca e per rispettare la chiesa di San Piero Scheraggio, poi abbattuta dal Vasari, e della quale si vedono ancora i resti in Via della Ninna. Il Palazzo risulta “smusso” cioè diseguale. Prendendo infatti la verticale della Torre, si nota che le finestre su quella linea sono false, perchè corrispondenti al muro dell’antica Torre dei Foraboschi. A destra, poi, si aprono due finestre, mentre a sinistra se ne aprono tre. La porta principale è fuori centro, come è fuori centro la Torre che sporge in avanti sul ballatoio ma è solidissima perchè innestata sulla torre dei Foraboschi e che, incorporata dal Palazzo, s’innalza fin da terra. Proprio per questo, il Palazzo della Signoria ha una sua grazia particolare e una originalità che lo distingue da tutti gli altri palazzi pubblici del mondo. Inoltre col tempo, per esigenze di spazio, fu sgomberata l’area “maledetta” creando quella meraviglia che oggi vediamo e che i fiorentini chiamano Piazza della Signoria.»
Lo guardai meravigliato da tanto sapere ma la domanda che gli avevo rivolto non ebbe una risposta soddisfacente.
«Il Palazzo venne costruito in un solo anno come un castello, continuò imperterrito l’avvocato, perfettamente in grado di sostenere un assedio. Ogni stanza, ogni scala ha un’apertura dalla quale è possibile controllare chi sale e chi scende. Gli edifici che si trovano dietro al corpo principale del Palazzo sono stati adibiti ad abitazioni per la servitù, i famigli, i valletti e gli armigeri. L’ambiente dal quale siamo passati per raggiungere Arnolfo di Cambio e il Podestà, erano le stalle.La prossima settimana ci vedremo senz’altro in Piazza della Signoria, davanti al bar che si affaccia davanti al Palazzo. Le mostrerò qualcosa che tutti hanno visto ma che pochissimi conoscono il vero significato. Mi raccomando, non manchi martedì prossimo alle dieci.»
«Ma non mi ha risposto» tentai di obiettare. Per tutta risposta, l’avvocato si levò il cappello e mi salutò con un sorrisino malizioso allontanandosi con quella buffa andatura che le sue corte gambe gli permettevano.

 

 

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