Segnalazione dal blog: Uropia. Il protocollo Maynards di Pietro Bargagli Stoffi

Oggi il blog Septem literary vi segnala: Uropia. Il protocollo Maynards di Pietro Bargagli Stoffi

Trama

Un thriller politico, dagli scenari irreali quanto ipotizzabili, sulle derive antidemocratiche che potrebbero abbattersi sull’Europa. Negli ultimi dieci anni il mondo è cambiato e la stessa Unione Europea ha subito una trasformazione epocale: i trenta Stati che la componevano si sono sciolti, confluendo in un’unica entità statale continentale. Architetto di questo progetto è il Presidente della Commissione europea – l’ungherese Andra? Pordan – che per un anno manterrà la carica provvisoria di Presidente d’Europa, gestendo la transizione verso le prime elezioni democratiche paneuropee. In pochi hanno denunciato pubblicamente il pericolo di una deriva antidemocratica del nuovo Stato: tra questi il Professor Jonathan Maynards – docente di econometria – il cui lavoro ha ispirato la nascita del movimento civico Uropia. Quando il professore si trova costretto dagli eventi a occuparsi di politica, un meccanismo inarrestabile si avvia.

Massimo Maffei è un traduttore italiano, nato e cresciuto a Monaco di Baviera, dove dirige una piccola ma fiorente agenzia. Quando incontra e si innamora di Anna, una giovane post-dottoranda dell’Università di Monaco, la loro storia d’amore sembra completare la sua vita e renderla perfetta.
Non immagina che a causa del suo impegno politico e civile, la tranquilla vita di tutti i giorni a cui è abituato verrà sconvolta per sempre.
In effetti, negli ultimi dieci anni il mondo è profondamente cambiato e l’Unione europea stessa ha subito una trasformazione epocale: devastata dalla persistente stagnazione economica – e in risposta all’onda emotiva provocata dai continui attacchi terroristici e dal crescente populismo nazionalista – i trenta stati che la componevano si sono sciolti, fondendosi in un’unica entità statale continentale.
L’architetto di questo progetto è il presidente della Commissione europea – l’ungherese Andraş Pordan – che occuperà l’ufficio temporaneo del presidente d’Europa per un anno, gestendo la transizione verso le prime elezioni democratiche pan-europee. Con l’aiuto di un giovane sottosegretario e sostenuto da influenti centri di potere, Pordan non perde l’opportunità tanto attesa.
In pochi hanno pubblicamente denunciato il pericolo di una deriva antidemocratica del nuovo stato unitario: tra questi il ​​professor Johnatan Maynards – professore di econometria all’Università di Monaco – il cui lavoro di divulgazione all’università e su un blog in rete ha ispirato la nascita di un movimento civico chiamato “Uropia”, di cui Massimo stesso è simpatizzante e attivista.
Quando il governo inizia ad applicare le prime misure liberticide e il professore è costretto suo malgrado dagli eventi a occuparsi di politica, nulla sarà come prima: dal momento in cui Maynards si candida alle elezioni europee diventando il principale antagonista di Pordan, un meccanismo segreto ed inarrestabile si mette in moto contro di lui, coinvolgendo tutti quelli che gli sono vicini.
Tra fughe e tradimenti, pericoli e sorprese, su uno sfondo musicale operistico, nemmeno colpi di scena inaspettati sembrano impedire la vittoria di Pordan…

 

Autore

Pietro Bargagli Stoffi è nato a Pisa nel 1975.
Laureato in Giurisprudenza nella sua città, ha vissuto 11 anni in Germania, tra Francoforte e Monaco di Baviera.
Appassionato di storia, politica, viaggi e lingue, ha maturato variegate esperienze professionali nel mondo del turismo, dei videogames, dell’automobile, del merchandising.
É stato apicoltore, ha prestato la voce a Wario nel gioco Nintendo “Wario&Games” per WiiU ed ha contribuito alla realizzazione della Borgward “Isabella concept”, nonché di numerosi gadgets per Juve, Milan, Inter, Roma e Pagani automobili.
Attualmente vive in Svizzera.

Copertina flessibile: 328 pagine
Editore: Bibliotheka Edizioni (22 gennaio 2019)
Collana: Narrativa
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8869344592
ISBN-13: 978-8869344596

Link d’acquisto: Uropia

L’autore ci ha regalato un breve e gustoso estratto.

AMOS MAFFEI

La cinghia di pelle al polso era veramente fastidiosa.
Non solo gli impediva totalmente di usare il braccio sinistro, ma gli faceva sudare il polso in maniera insopportabile; e quando aveva qualche prurito doveva fare il contorsionista con le dita dell’altra mano per raggiungere l’articolazione coperta dal cuoio e, finalmente, potersela grattare.
Ma assai peggiore era l’impossibilità di sdraiarsi sul lato sinistro del corpo in maniera naturale, per alternare un po’ le posizioni e conciliare il riposo, in quelle giornate tutte uguali di ventiquattro ore in cui le sue attività si riducevano a dormire – poco e male! – a mangiare, ad espletare i propri bisogni fisiologici.
Si sentiva prigioniero, lui che in tutta la sua vita aveva cercato più di ogni altra cosa di essere un uomo libero.
Nei suoi ottantaquattro anni di età Amos Maffei era sempre stato considerato un ribelle; aveva sempre rifiutato di uniformarsi alle aspettative che altri si erano creati sulla sua vita, aveva sempre cercato di seguire le proprie inclinazioni e non quelle che gli venivano imposte, le proprie aspirazioni piuttosto che quelle che altri immaginavano per lui.
In tutto questo non c’era mai stato nulla di ribelle o di rivoluzionario, essendo indipendenza e responsabilità personale due comportamenti caratteristici di quella condizione che, chiamata “maturità”, qualsiasi essere umano che abbia raggiunto l’età adulta dovrebbe possedere.
Nato a Livorno tra le due guerre, il padre docente universitario e primario della clinica di ostetricia a Pisa, la madre possidente immobiliare livornese, non aveva certo sofferto un’infanzia disagiata.
Entro certi limiti, infatti, gli eventi storici hanno da bambini un peso diverso che da adulti; anche quelli gravi e che toccano direttamente la propria famiglia.
Durante i primi anni del Ventennio il padre, Aronne Katzenellenbogen, per evitare guai aveva prudentemente cambiato il venerato cognome ebraico in “un italianissimo Gomito Di Gatto”.
Ciononostante, nel 1939, in conseguenza dei Provvedimenti sulla difesa della razza italiana, il primario era stato “dispensato” dall’incarico pubblico e messo in pensione anticipata, con l’erogazione immediata dell’indennità e del trattamento di fine rapporto; sicché aveva aperto una clinica privata e aveva continuato a far nascere i bambini della città della Torre pendente.
Amos invece, a differenza di altri bambini di famiglie ebraiche, aveva potuto continuare a frequentare le scuole “per bambini ariani”, in quanto facente parte dei “discriminati” – termine che nelle leggi razziali fasciste indicava, a contrario, coloro che NON erano soggetti alle misure discriminatorie previste dalle leggi stesse: per esempio coloro che non erano figli di genitori entrambi ebrei.
Tale era appunto il caso di Amos, la cui madre non era ebrea.
Il dramma della guerra non gli era stato risparmiato: i bombardamenti a tappeto degli Alleati avevano raso al suolo buona parte di Pisa, compresa la loro casa, e quasi tutta la costa a ridosso di Livorno percorsa dalla ferrovia e dalla litoranea.
Sfollati in campagna a Bibbona, durante la ritirata delle truppe tedesche dopo l’otto settembre ’43 erano stati nascosti e protetti insieme con altre famiglie livornesi pure di origine ebraica dai proprietari del podere in cui erano ospiti.
Nel dopoguerra, stabilitosi a Livorno in una delle case della madre ancora intatte, aveva cominciato a frequentare la sinagoga; sarebbe voluto diventare discepolo della scuola rabbinica.
Sarebbe voluto …secondo il padre.
Invece lui, appena poteva, pensava piuttosto a scorrazzare per i campi della periferia insieme agli altri ragazzi del quartiere, ad arrampicarsi sugli alberi per rubare le uova dai nidi, ad imparare a costruire fionde, a giocare a tappini.
Ma Amos non si sentiva a suo agio; non era ebreo, o per lo meno così si sentiva e soprattutto così lo facevano sentire gli altri ragazzi della comunità ebraica con i quali passava il tempo a giocare.
Quando litigavano in bagitto[1], o si prendevano tra di loro, ricorreva un termine a stroncare ogni discussione e ogni litigio: “mezzo ebreo”.
La madre era anche lei figlia di padre ebreo, ma non di madre; nell’uso ebraico la paternità non è determinante: mater semper certa, pater nunquam.
“Discriminato” dai non ebrei, discriminato dagli ebrei; così Amos sarebbe voluto scomparire da Livorno e vivere in chissà quale altra parte del mondo, dove nessuno lo conosceva e dove poteva essere semplicemente se stesso: un ragazzino qualunque.

Inoltre, al minhag[2] e al diritto religioso di Moshe Isserles preferiva di gran lunga l’epopea romantica del Bovo-Bukh di Elia Levita, il masoreta.
Fu proprio tramite la lettura del poeta ed erudito rinascimentale che Amos si avvicinò ai testi sacri sistematizzati dai Masoreti.
Questi erano scribi ebrei i quali, tra l’Ottavo e l’Undicesimo secolo dopo Cristo, avevano cominciato a modificare e a eliminare dai testi sacri[3] dell’ebraismo tutto ciò che essi ritenevano errori, deformazioni testuali oppure aggiunte di copisti.
E fu proprio a causa dei Masoreti che si mise nei guai.
Spedito dal padre a Tel Aviv per studiare, preferiva pensare ai capelli e agli occhi neri di Eva, la figlia adolescente del professore; le sue labbra carnose, il suo passo sinuoso, il suo seno florido.
Durante le lezioni nella yeshivah, poi, aveva iniziato a esprimere dubbi sulla validità delle interpolazioni che i Masoreti avevano operato sui testi originali, dei quali d’altronde nessuno aveva conoscenza certa.
Con enorme scandalo di rabbini e discepoli chiedeva spesso ad alta voce per quale ragione il mondo ebraico dovesse prendere per buone le scelte di un gruppo di scribi, per giunta vissuti secoli e secoli dopo la rivelazione della Torah a Mosè.
“Perché dovremmo riconoscere a questi tizi l’autorità di stabilire quali parole mettere in bocca a JHWH?”, pensava; e se si fosse limitato a pensarlo si sarebbe risparmiato parecchi grattacapi.
Al contrario! Un giorno giunse a paragonare il comportamento dei Masoreti a quello dei vescovi cristiani che a proprio piacimento sancirono l’esistenza dello Spirito Santo, solo nel 325 dopo Cristo, o che decretarono non ispirati e apocrifi tutti i Vangeli sino ad allora diffusi e venerati nelle Chiese cristiane – ad eccezione dei quattro di Luca, Matteo, Giovanni e Marco – quasi mille e seicento anni dopo la predicazione di Joshua, il figlio del falegname[4].
Inutile dire che il padre, immediatamente informato dai rabbini dell’oltraggio, fu furioso con lui; e in generale, con il suo scetticismo Amos non si fece molti amici.
Anche se gli procurò qualche simpatia – pochissime per la verità: quelle di altri studenti che avevano anche loro i propri dubbi su tante cose, ma che si limitavano a guardarlo di nascosto e a sorridergli o a fargli l’occhiolino, non visti dai maestri. Tra questi c’era Giosuè Misul, che era divenuto il suo migliore amico fino al giorno in cui la situazione era precipitata.

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