Silfrida, la schiava di Roma – Giovanna Barbieri

Silfrida è una giovane donna Gota, venduta come schiava dagli usurpatori dell’Imperatore Teodosio e poi adottata da una coppia di romani che abita nei pressi di Verona, sulla via Postumia. È timida e timorosa, la evitano tutti a causa della sua origine barbara. Ma il Fato è in agguato e la sua vita verrà sconvolta per sempre. Il Padre che credeva perduto è il temibile Alarico, a capo dell’orda di barbari che invade il nord Italia. Partirà alla sua ricerca accompagnata da un giovane e valoroso guerriero Goto. Ma i legionari romani sono sulle loro tracce, la battaglia del Tanaro incombe. Riusciranno i due giovani a coronare il loro sogno d’amore e ritrovare Alarico.

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a cura di Alice Croce Ortega

È la prima volta che mi capita di leggere un romanzo in cui la componente storica e quella romantica diventano un tutt’uno: è stata un’esperienza interessante!
La vicenda di Silfrida é ambientata tra il 394 e il 408 d.C.: inizia con la battaglia del Frigido, vicino a Gorizia (6 settembre 394 d.C.), tra i Goti di Alarico, al comando del magister Stilicone (che rappresentavano l’esercito dell’Impero Romano d’Oriente) e le truppe di Flavio Eugenio, proclamato Augusto d’Occidente in seguito alla misteriosa morte di Valentiniano II; a causa della quale Eugenio stesso non era mai stato riconosciuto da Teodosio I. Considerandolo un usurpatore, l’Imperatore d’Oriente gli aveva inviato contro i Goti, in quanto “foederati”: nell’ottobre del 382 d.C. infatti, a soli quattro anni dalla disfatta patita da Valente sotto le mura di Adrianopoli (9 agosto 378 d.C.) ad opera di Re Fritigerno, Teodosio aveva stabilito un patto (“foedus”) con Tervingi e Greutungi, che avevano così potuto stabilirsi in Tracia e nell’Illirico con ampia autonomia legislativa e fiscale.
Questo il presupposto della battaglia, che si conclude con un successo per i nostri protagonisti; l’usurpatore Eugenio viene giustiziato e Alarico con i suoi rientra all’accampamento del suo sippen, il clan a cui appartengono lui e i suoi guerrieri. Al loro arrivo, però non trovano nessuno con cui condividere la gioia del trionfo: familiari e amici sono stati trucidati dall’esercito nemico in fuga e i bambini rapiti. Tra questi bambini c’è Silfrida, la figlia di Alarico, promessa sposa di Ghiveric, il figlio di uno dei suoi luogotenenti caduto nella recente battaglia.
Passano gli anni e verosimilmente nel corso della Guerra Gotica (402-403 d.C.) durante la fase del saccheggio della città di Verona e dintorni, Alarico entra a saccheggiare proprio la casa dove vive Silfrida. La ragazza nel frattempo era stata venduta come schiava a una famiglia, che però l’aveva sempre trattata come una vera e propria figlia. Pur avendo lei ormai sedici anni, il padre la riconosce subito e le manifesta la sua gioia, confidandole che ormai non sperava più di rivederla. Date le circostanze, è costretto a lasciarla per ricongiungersi con il suo esercito, ma la affida al giovane Ghiveric, con la consegna di riportarla dal suo popolo appena sarà possibile. Tra i due ragazzi “scocca la scintilla”: la fanciulla non esiterà a lasciare il fratello adottivo e la madre in fin di vita, per seguirlo e tornare dal suo vero padre e dalla sua gente; tutto ciò malgrado le incognite del viaggio, tra la guerra da un lato e dall’altro il tribuno Lucio, figlio di Stilicone, che si è invaghito di lei e che la vuole come sua schiava: ma Silfrida desidera tornare là, dove sente che è il suo posto.
La cornice storica è davvero interessante, e l’autrice ci fa conoscere l’ambiente in cui si muovono i personaggi, la vita di tutti i giorni di romani e goti, i cibi che mangiavano, il modo in cui si vestivano e come si curavano… In fondo Romani e Goti all’epoca avevano ormai molto in comune: da un lato, un lungo processo di interscambio quasi osmotico sul confine tracico-danubiano, dall’altro entrambe le civiltà erano di religione cristiana. Su questo scenario storico, si erano alternate fasi diverse: da conflitti armati ad alleanze più o meno durevoli, come in effetti si narra nel romanzo.
Attraverso la giovane vita di Silfrida viviamo l’esperienza drammatica dell’attacco all’accampamento dove viveva da bambina, dove assiste alla morte della madre; poi l’adozione da parte di una famiglia che la ama come una figlia e la educa come cittadina romana, in seguito la morte del padre e la pietas verso la madre che si lascia morire di dolore; l’affetto per il fratello, il disgusto misto a lusinga per la corte del tribuno che la vuole possedere, l’iniziale disprezzo verso i Goti che la rivogliono con loro – all’inizio l’idea di essere stata promessa a un illetterato come Ghiveric le fa orrore – seguito dall’affetto per la ritrovata famiglia nonché dall’amore per l’affascinante barbaro… insomma, c’è di che non annoiarsi.
Che dire, gli ingredienti sono tanti; la storia non manca di certo, ma anche la passione e l’avventura: anche se i personaggi sono descritti con un certo distacco. Se posso fare un piccolo appunto, credo che l’autrice si sia fidata un po’ troppo di noi lettori: a volte ha dato forse per scontate informazioni di cui non sempre siamo a conoscenza; non avrebbero guastato una breve introduzione sul peculiare momento storico vissuto da Silfrida (e sulle fasi precedenti, da “Ad salices” a Adrianopoli), o anche maggiori dettagli nel testo e una cartina; come anche nel caso dell’uso dei termini latini, che ho personalmente molto apprezzato ma che rendono la lettura un po’ difficoltosa: forse scriverli in corsivo, mettendo le note a pié di pagina invece che in appendice, avrebbe reso il tutto più scorrevole.
Ringrazio l’autrice e Silfrida per avermi fatto rispolverare e approfondire un periodo storico davvero interessante e pieno di colpi di scena, e mi chiedo: conosceremo la continuazione della storia della nostra eroina e del suo Ghiveric?

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