Sonata d’inverno di Dorothy Edwards

In un piccolo villaggio della campagna inglese che sa di Jane Austen quanto di Čechov, mentre l’inverno imbianca il paesaggio si dipanano le vicende sentimentali e sociali di una piccola comunità: due sorelle corteggiate a intermittenza, un cugino che non sa cosa fare di sé, una ragazzina ribelle che cerca di evadere da un contesto familiare soffocante, e il forestiero Arnold Nettle, giovane e cagionevole musicista trasferitosi in campagna per fuggire l’inverno cittadino. Le lunghe serate trascorrono tra goffe conversazioni ed esibizioni musicali che sono le sole ad animare la calma che avvolge il paese. Tutti, in cuor loro, aspirano a qualche indefinito mutamento, sperano in un attimo epifanico che possa imprimere alla vita un corso più deciso, ma la voce dei protagonisti rimane in gola, così come il rumore dei passi si perde nel silenzio ovattato dell’inverno.
La solitudine della condizione umana è la grande protagonista di questa storia, tratteggiata con pochi tocchi delicati, simili a quelli che animano le corde del violoncello suonato nelle buie sere invernali. Dorothy Edwards firma un romanzo quieto, intimo, nel quale lo stato d’animo dei personaggi prende corpo accordandosi con la musica e con il paesaggio, mentre si comincia a intravedere, in fondo alle strade innevate, l’inevitabile arrivo della primavera.

  • Editore ‏ : ‎ Fazi (27 gennaio 2022)
  • Lingua ‏ : ‎ Italiano
  • Copertina flessibile ‏ : ‎ 176 pagine

Recensione di Alice Croce Ortega

La storia è molto semplice: siamo in un imprecisato villaggio della campagna inglese, l’inverno si avvicina e una decina di personaggi che abitano in due case poco distanti ma isolate si scambiano visite e cercano di intessere rapporti che possano rendere un po’ più dolce la monotonia dell’inverno che si avvicina inesorabile. Uno dei personaggi principali è un giovane musicista impiegato all’ufficio delle poste, in fuga dall’inverno cittadino: poi ci sono due sorelle orfane e la zia che si è trasferita da loro con il figlio per prendersene cura; poi la figlia dell’affittacamere dove abita il giovane musicista…

La parte del leone la fanno i personaggi in età giovanile, quelli che oltre all’inquietudine della vita solitaria e ostile del villaggio, sentono anche i turbamenti dell’età in cui si vorrebbe decidere cosa fare della propria vita, si vorrebbe trovare la persona giusta con cui creare una nuova alleanza diversa dalla famiglia di origine; ma soprattutto si spera in un cambiamento, in un incontro, in qualcosa che però, in questo remoto angolo di mondo  non arriva mai: e quando ci si illude che possa essere arrivato, comunque se ne va.

La scrittura è impeccabile e meticolosa: quasi come la sceneggiatura di uno spettacolo teatrale messo sotto la lente d’ingrandimento, i comportamenti, i pensieri, le esitazioni dei personaggi vengono descritti nel mínimo dettaglio; in parte anche i desideri, i progetti, ma non si va mai in profondità, ed è questa la cosa stupefacente: perché pur descrivendoceli minuziosamente, l’autrice non ci fa conoscere i suoi personaggi se non per sommi capi. Vediamo che si struggono chi per un’infatuazione non corrisposta, chi per la sua timidezza e la sua salute incerta, chi per la solitudine; e l’unica consolazione è l’arrivo della primavera, l’unica certezza di cambiamento che si intravede all’orizzonte.

Nulla sappiamo della storia dei personaggi, se non pochi cenni biografici: intuiamo solo un estremo pudore dei sentimenti, una freddezza in cui si rifugiano che non sappiamo se sia una necessaria difesa o il frutto di una mancanza di empatía talmente estrema da diventare patología, per cui i doveri sociali diventano l’unico possibile rapporto tra gli esseri umani, mentre ogni altro tentativo di avvicinarsi all’altro è destinato a naufragare.

In tutto ciò, le descrizioni della natura sono meravigliose, e a ben pensarci sembra quasi che l’autrice descriva anche gli esseri umani come creature inanimate, splendide e piene di desideri e sogni a cui però non osano nemmeno pensare, e per questo condannate a rimanere per sempre immobili e sole.

La mattina successiva, quando guardò fuori dalla finestra, il terreno era coperto di neve e sugli alberi ce n’era una leggera spolverata. Naturalmente, decise di non andare a fare la sua passeggiata mattutina. Per tutto il giorno i campi rimasero imbiancati da un sottile strato di membra fredde in una supplica disperata al sole nascosto, ora rilucevano di neve e si aveva l’impressione che i loro spogli rami grigi avessero generato dei boccioli per magia. Per un momento si poteva quasi credere di attraversare un frutteto nel mese in cui gli alberi sono in fiore, nonostante il freddo e il cielo grigio.

Ma ben presto, prima ancora che sopraggiungesse la notte, la neve si sciolse e sgocciolò via dai grigi rami spogli, e sembrò che delle graziose principessine si fossero trasformate in brutte streghe ricurve. Perché l’inverno è come la falsa Florimell (REGINA DELLE FATE, NDR) e la sua bellezza si dissolve non appena la si tocca.”

Un pensiero va all’autrice, Dorothy Edwards (1902-1934), che morì suicida poco dopo i trent’anni, la cui storia personale di dipendenza economica e di solitudine si intuiscono dai suoi scritti nei quali si percepisce una desolazione dei sentimenti che lascia veramente attoniti.

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