THE BEAT GENERATION SULLA STRADA JACK KEROUAC

Trama

Sal Paradise, un giovane newyorkese con ambizioni letterarie, incontra Dean Moriarty, un ragazzo dell’Ovest. Uscito dal riformatorio, Dean comincia a girovagare sfidando le regole della vita borghese, sempre alla ricerca di esperienze intense. Dean decide di ripartire per l’Ovest e Sal lo raggiunge; è il primo di una serie di viaggi che imprimono una dimensione nuova alla vita di Sal. La fuga continua di Dean ha in sé una caratteristica eroica, Sal non può fare a meno di ammirarlo, anche quando febbricitante, a Città del Messico, viene abbandonato dall’amico, che torna negli Stati Uniti. Postfazione di Fernanda Pivano.

Link d’acquisto: https://amzn.to/2ASqE7ihttps://amzn.to/2ASqE7i

 

 

Copertina flessibile: 403 pagine
Editore: Mondadori; 6 edizione (24 maggio 2016)
Collana: Oscar moderni
Lingua: Italiano
ISBN-10: 8804668288
ISBN-13: 978-8804668282

Il dopoguerra fu un periodo fertilissimo per le correnti di pensiero antimilitari e pacifiste. La ferita lasciata dagli orrori della guerra era troppo profonda e grande da sopportare. Tra tutte le correnti di pensiero nate subito dopo il dopoguerra, la beat generation è stata l’unica che si è resa capace di creare una vera rivoluzione culturale. I ragazzi della beat generation rivelano le loro inquietudini e la loro estraneità ai valori tradizionali e alle convenzioni dell’America conservatrice del secondo dopoguerra, orgogliosa del proprio benessere materiale e della propria egemonia politica e insieme percorsa da un’ondata nazionalista e reazionaria. Questo senso di alienazione trovò espressione nel percorso esistenziale e artistico di molti poeti e scrittori beat, culminando nella ricerca di una libertà e di una identità minacciate dal conformismo imperante, livellatore e soffocante di una società di massa sempre più anonima e impersonale. La loro non è una lotta violenta ma una resistenza passiva alle influenze di una società borghese costituita. Droga e alcol, promiscuità sessuale, esaltazione musicale, jazz e bebop, sono solo dei mezzi per poter riscoprire un’identità smarrita in un tempo storico molto destabilizzante. Questi giovani respingono i valori precostituiti di una società di massa per ri-trovarsi e per trovare in se stessi quei valori autentici perché primordiali, veri perché non contaminati. La loro corsa affannata e velocissima non è una fuga, ma bensì una ricerca di una realtà trascendente in cui credere. Ecco perché questi ragazzi drogati e alcolizzati sono in un certo senso dei mistici che cercano attraverso l’esplosione la fusione con l’energia creatrice, con quel principio divino che armonizza tutte le cose. Della droga e dell’alcol si servono per sganciare il cervello dalle leggi morali o intellettuali e attraverso un’esaltazione momentanea trovare il perché di tutte le cose e del jazz sono fanatici cultori perché cercano nei suoi ritmi violenti e ossessivi un mezzo per liberarsi dall’angoscia di un mondo spaventoso e crudele. In un’intervista alla televisione, alla domanda: “si è detto che la beat generation è una generazione alla ricerca di qualcosa. Che cosa state cercando?” jack Kerouac rispose; “Dio, voglio che Dio mi mostri il suo volto.” Il senso di questa ricerca umana e letteraria è forse racchiuso nel significato dell’aggettivo beat che ha caratterizzato un’intera generazione. Beat vuol dire diverso, sconfitto, emarginato per una scelta di estraneità rispetto ad un mondo al cui centro sta il potere, la carriera, il consumismo. Beat vuol dire ritmo, il ritmo del jazz di Charlie Parker, ritmo costitutivo anche della prosa, ma anche modello etico che richiede di vivere la vita per intero, senza riserve, fino all’ultimo respiro. Ma beat anche nel senso specifico che Kerouac vi ha aggiunto, come radice della parola beatific, come significato positivo preso da beatitudo , la condizione che Kerouac ha cercato per tutta la vita, una condizione d’estasi, un desiderio incontrollato di vivere, di raggiungere la salvezza, un desiderio di tutto e del suo contrario allo stesso tempo, l’estasi che si trova nell’aprirsi completamente ad ogni tipo di esperienza, quella beatitudine di cui Dean Moriarty, e cioè Neal Cassidy, ne è maestro. Sulla strada divenne per la generazione di Kerouac una sorta di manifesto e resta forse la sua opera più riuscita sia per la novità stilistica (il tentativo di creare una prosa spontanea sul modello della libera improvvisazione del jazz) sia per i suggestivi legami col ricorrente mito americano del viaggio. On the road è fondamentalmente un testo autobiografico; Sal Paradise rappresenta lo stesso Kerouac e Dean Moriarty è direttamente ispirato a Neal Cassidy. I protagonisti del romanzo sono i veri iniziatori del movimento: coloro che per primi hanno sperimentato cosa volesse dire “bruciare” nell’America degli anni quaranta e cinquanta. Quella della gioventù bruciata è soprattutto una ricerca, una ricerca di ciò che si è perduto e che si sente la necessità di ritrovare, anche a costo di cercarlo lontano dagli altri, scappando da quella società massificata e borghese creata a tavolino dal boom economico post-bellico. Nel romanzo di Kerouac la ricerca e la fuga si intrecciano senza che l’una possa essere disgiunta dall’altra, sono un tutt’uno, si integrano e si completano a vicenda. Esattamente come si completano Sal e Dean, apparentemente molto diversi ma intrinsecamente uguali. Sal non sarebbe forse mai partito se non fosse inciampato in quella forza della natura che è Dean, “un eroe con le basette del nevoso West”, il vero protagonista del romanzo. Dean che vive ogni passo bruciando, Dean che vive appieno ogni sensazione fino a sentir male alle ossa, fino a sentirsi raschiare la gola e allora suda, gronda tutto il peso di esistere che gli svapora addosso. Gli occhi sempre sgranati e spiritati come a voler cogliere tutte le immagini del mondo. Dean che ha due donne e giura amore eterno, che si illude di potersi fermare, borghesizzare ma che quando il viaggio canta il suo richiamo non perde occasione per lasciarle e seguire il suo disadattamento, la sua condanna, un viaggio eterno verso il nulla e verso il tutto. Dean trascina. Dean che danza come una baccante a ritmo del jazz nei vicoli malfamati dell’Ohio, a San Francisco, a Denver, come se ogni centimetro di terra fosse stato contaminato e benedetto dalle impronte delle sue scarpe. Dean è il motore, è “l’idiota sacro, è l’eroe dei perdenti. E Sal lo cerca,lo vuole. Beve le sue parole come quelle di un profeta, prende le sue difese contro tutto e contro tutti. Lo segue ossessivamente in questi continui arrivi e partenze come se per entrambi fosse impossibile stare fermi, sempre e costantemente protesi verso l’infinito, verso un Dio senza nome. Sal e Dean sentono che stanno letteralmente bruciando di vita, e che in questo rogo, in fondo, sta la loro vera salvezza, come scrive Kerouac “il fondamento della beatitudine”.
On the road non parla però soltanto di quella generazione. Si sta parlando di qualcosa di assolutamente universale e nello stesso tempo di contingente, avvertito dai ragazzi di tutte le epoche, ma declinato in maniera diversa. La storia di Kerouac è una storia in cui tutti potremmo immedesimarci: chi non ha mai sognato, almeno una volta nella vita, di lasciarsi tutto alle spalle e semplicemente andare? A volte non serve neanche avere una ragione precisa per intraprendere un viaggio, per cercare, perdendosi nel mondo, di trovare se stessi prima che tutto si spenga nel “desolato stillicidio della vecchiaia che avanza”.

Recensione a cura di Cristina Costa

Please follow and like us:
error0
fb-share-icon20
Tweet 20
fb-share-icon20

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.