UNA CACCIA ALLE STREGHE… NELLA ROMA ANTICA

a cura di Luca Varinelli

Capita sempre più spesso di imbattermi in qualche pagina web in cui si parla di folklore antico e di neopaganesimo e di vedere l’accolita di turno sbandierare nei suoi post il suo essere “strega e sacerdotessa” di qualche divinità del pantheon greco-romano. Alla mia richiesta di spiegazioni ottengo puntualmente la risposta “le streghe altro non sono che le antiche sacerdotesse, perseguitate per il loro sapere”. L’epoca delle persecuzioni è individuata dal sentimento popolare nel medioevo, in cui le vecchie tradizioni e la conoscenza delle erbe curative venivano scambiate per stregoneria e malaffare con il demonio, e perciò punite dall’inquisizione con la complicità delle autorità civili. In aggiunta, il disprezzo medievale per la donna avrebbe rafforzato l’odio per quell’antico mondo in cui la donna era praticamente al centro di tutto.
LA DONNA TRA MEDIOEVO E ANTICHITÀ
Opinione consolidata a livello popolare è che la donna nel medioevo fosse considerata come una specie di oggetto, privo di qualsivoglia dignità e diritti. Si usa anche sottolineare un’antitesi tra la “donna oggetto” del medioevo e la donna libera ed emancipata dell’”età d’oro” della Roma dei Cesari. Nel percorso che ci condurrà alla ricerca delle streghe, mi toccherà purtroppo, per spirito di sintesi, glissare su certi argomenti, per quanto interessanti, demandando le spiegazioni ad ulteriori articoli oppure a voci ben più autorevoli della mia. Cercherò di descrivere brevemente i punti fermi, i “postulati” da cui prenderà il passo il nostro viaggio nel passato. Innanzitutto possiamo escludere categoricamente che la donna nel medioevo costituisse un oggetto. Lo schiavo, o la schiava, è per definizione quell’individuo privo di diritti, ma è oggetto di proprietà. La donna nel medioevo invece è soggetto di diritto, e gode di capacità giuridica e di capacità di agire. La donna medievale non era equiparata all’uomo, ciò non implica necessariamente che la società medievale fosse misogina. La società medievale, invero, era divisa in ruoli, che potevano competere all’uomo o alla donna, in via tendenzialmente esclusiva.
La donna libera dell’antica Roma era anch’ella soggetto di diritto: godeva cioè di facoltà e diritti riconosciuti dalla legge. Tuttavia è errato pensare che la donna dell’antica Roma fosse pienamente libera ed emancipata: si può addirittura pensare che, in certi momenti la donna romana godette grossomodo degli stessi diritti della sua controparte medievale, tuttavia è utile ricordare che anche nel medioevo la figura della donna si arricchì di nuove prerogative. Dunque il preconcetto “età d’oro romana” vs “secoli bui” è destinato a essere riconosciuto come errato, anche considerando (e questo è un concetto che ci servirà tra poco) che larga parte del sapere medievale attinge a piene mani dalla cultura classica.

HALLOWEEN E LE “STREGHETTE”

Oggigiorno la figura della strega sembra essere stata rivalutata grazie al contributo di numerosi romanzi, film e serie tv. Anche alla luce la moderna festa di Halloween, solo vagamente ispirata a tradizioni antiche, fornisce un nuovo modo di vedere il “mostro”: il travestirsi da diavolo, da strega o da lupo mannaro sembra essere un modo per esorcizzare la paura incarnata dal mostro stesso. Dunque il nostro mondo vede la nascita e l’affermazione di nuove figure: la streghetta simpatica dei libri o cartoni animati per bambini, oppure la fattucchiera-eroina che si riscatta, appunto si emancipa, da un mondo che non la comprende. Si torna all’assunto che la strega dei tempi passati, la strega “medievale” secondo il falso stereotipo, fosse odiata in quanto donna. In altri miei articoli ho sottolineato quanto il medioevo poco abbia a che fare con la caccia alle streghe, tuttavia, se consideriamo il fenomeno nel quadro più ampio di una caccia agli eretici, possiamo renderci conto che gli individui di sesso maschile uccisi furono parecchi.
Tenderei ad escludere che la strega fosse odiata in quanto donna: al contrario, penso di poter affermare che la strega era odiata in quanto strega. Dal momento in cui il giudice di turno – fosse esso l’Inquisizione Romana, il tribunale secolare oppure il puro e cieco furore del popolo di bassa estrazione – identificava una donna come strega, possiamo considerare che il suo essere donna passasse in secondo piano. Ciò che rilevava era che, per quel giudice, l’accusata era uno strumento del demonio. Tuttavia, volendo ad ogni costo entrare nel dettaglio possiamo cercare di spiegare il perché la maggior parte delle streghe fossero donne. Forse, possiamo immaginare, la vicinanza ai rimedi tradizionali, l’esercizio del mestiere di levatrice alimentavano talvolta dei sospetti: tali sospetti si rafforzavano nei periodi di crisi, sfociando nella caccia alla strega. Come ho già sostenuto in passato, l’uso di rimedi naturali era pressoché diffuso: i medici prescrivevano decotti, i monaci coltivavano erbe aromatiche e medicamentose; dunque nessuna invidia nei confronti della donna accusata di stregoneria. In conclusione del paragrafo possiamo semplicemente affermare che le donne giustiziate per stregoneria non furono altro che donne del loro tempo, che ebbero la sfortuna di trovarsi vittima di sospetti e pettegolezzi.
SACERDOTESSE E “STRIGES”
Dopo un rapido tour nel medioevo, ci addentriamo nel cuore del nostro discorso sulla stregoneria, e lo faremo esaminando la vita di un personaggio dell’epoca che ci interessa. Siamo nell’antica Roma e il signor Ovidio esce di casa e si reca al tempio per rendere omaggio gli dèi. Il signor Ovidio, pagano, vive a cavallo tra il primo secolo a.C e il primo secolo d.C., e presumibilmente renderà culto alle divinità tradizionali della religione romana: Giove, Minerva, Saturno, etc. Possiamo anche immaginare che abbia visto più volte le sacerdotesse officiare i riti o i sacrifici. Il nostro testimone purtroppo non lascia molte testimonianze su queste donne; anzi, più in generale, le notizie sulle donne officianti ai riti pagani sono poche. Possiamo però prendere come modello generale quello della “vestale”, le più famose e importanti sacerdotesse pagane: costoro venivano scelte fin da piccole, e rimanevano vergini fino a che non terminava il loro servizio, ad una certa età. Godevano di certi privilegi, ed erano le uniche donne a poter fare testamento. Non abbiamo notizia in merito a poteri magici attribuiti alle vestali, né di conoscenze curative in possesso di queste. Abbiamo introdotto la nostra ricerca, ricordiamo, con l’assunto che sacerdotesse e streghe fossero la medesima cosa, ma che ci dice Ovidio di queste ultime?
“Si dice che strazino i fanciulli ancora lattanti e pieno di sangue tracannato abbiano il gozzo. Hanno nome di strigi: causa del nome è che sogliono di notte orribilmente stridere.”
(Ovidio, Fasti, libro VI)
Parole ben poco compatibili con la descrizione fatta poco fa delle vestali. Ma chi erano queste streghe, anzi queste “striges” come le chiama Ovidio? Innanzitutto possiamo notare che si tratta di un sostantivo femminile e che l’etimologia fornitaci dal poeta è del tutto plausibile. Si trattava di mostruosi e sanguinari uccelli notturni. Possiamo immaginare un’analogia con gli antichi miti delle arpie e delle sirene; questi ultimi nella mitologia classica, erano esseri malvagi dal corpo d’uccello: le prime soprattutto erano famose per il fatto di rubare il cibo e insozzare ogni cosa con le loro feci; le seconde invece attiravano i marinai con il loro canto per attirarli verso una morte per annegamento e poi, secondo alcune ipotesi, poterli divorare. Altre creature mitologiche analoghe sono le lamie e le empuse (spesso i due termini vengono intesi come sinonimi): in tali figure vediamo di nuovo riproposti i temi della seduzione, del cannibalismo e dell’ematofagia. Vi sono altre opere e altri autori che parlano delle “striges”, e nessuno di essi ne dà un ritratto positivo. Petronio, nel suo “Satyricon” descrive questi esseri come dediti alla necrofagia (il cibarsi di cadaveri) e li indica come “mulieres”, rafforzando l’idea che si tratti di creature di sesso femminile.

MALEFICI E INTRUGLI
Abbiamo notato che ciò che diversi autori latini chiamano col nome di “streghe” non ha ancora molti punti in comune con le fattucchiere del mondo occidentale cristiano. Però abbiamo provveduto a infliggere un colpo alla teoria da cui siamo partiti: la sacerdotessa non è una strega. Tutto ciò che sappiamo per ora della “stryx” è che era un mostro, probabilmente di sesso femminile, assetato di sangue. Tuttavia qualcuno potrebbe obiettare che successivamente vi sia stata uno scambio di significati: l’uomo medievale potrebbe aver affibbiato alla sacerdotessa il nome di strega, compromettendone così l’immagine.
Andremo ora a verificare se davvero la figura della donna-strega era già presente nell’epoca romana. Innanzitutto è lo stesso Ovidio, che nella medesima opera ci narra della trasformazione in uccello della strega Marsia, che si reca poi per aggredire un neonato in una culla e succhiarne il sangue. In un’altra delle sue opere il poeta ci descrive la vecchia Dipsa, un’incantatrice in grado di compiere numerosi prodigi, tra cui quello di trasformarsi in un uccello durante la notte, di resuscitare i morti dalle tombe e di profanare i letti delle famiglie (espressione che plausibilmente si riferisce al potere di causare sterilità). Un altro indizio ci viene fornito da un epitaffio inciso su un’antica lapide:
“Iucundus, di Druso Cesare e di Livia, figlio di Gryphi e Vitalis. Affacciandomi al quarto anno di vita sono stato rapito e ucciso, quando avrei potuto essere la gioia di mia madre e mio padre. Mi ha strappato via la mano crudele di una strega; poiché si trova dappertutto sulla terra e nuoce con la sua arte, voi, genitori, custodite i vostri bambini affinché il dolore non invada il vostro cuore e vi rimanga.”
Nel testo latino, il termine qui utilizzato per indicare la strega non è stryx, ma saga, che può essere tradotto con “colei che vede o presume oltre”, in pratica un’indovina. Il fatto però che tale saga uccida bambini può rappresentare un importante punto di contatto con la stryx, tale da farci pensare che le due figure in realtà coincidano.
La magia nel mondo romano era pratica tutto sommato lecita. Tuttavia determinati tipi di magia non erano tollerati. In particolare non era tollerata la magia volta a cagionare danno al prossimo (maleficium). La donna che veniva riconosciuta autrice del maleficium, indicata con nomi molto diversi (saga, malefica, pythonissa, etc), era condannata a morte. Spesso al maleficium si accostava il veneficium, termine che in un’accezione restrittiva indicava l’avvelenamento (talune di queste donne erano vere e proprie avvelenatrici), ma che anche in epoche successive venne utilizzato per indicare l’operare per mezzo di pozioni o unguenti. Anche il vaticinio tramite evocazione dei morti (necromanzia), non verrà sempre visto di buon occhio: il poeta Lucano (I sec. d.C.) nella sua “Guerra Civile” crea l’episodio della strega tessala, che con un intruglio a base di sangue, erbe e parti di animali e un’invocazione rivolta alle divinità e ai custodi d’Oltretomba rianima il cadavere di un soldato, il quale profetizza la rovina di Roma.

Un altro uomo dell’epoca antica, Orazio, anch’egli poeta e di poco più vecchio di Ovidio, introduce nelle proprie opere poetiche un personaggio, Canidia, che riassume tutte le caratteristiche che abbiamo visto prima: mostro, donna, assassina di bambini, ammaliatrice, ematofagia, cannibalismo, necrofagia, necromanzia, profezia.
LA CACCIA ALLE STREGHE
Come l’uomo medievale non ha inventato la strega, esso non inventò nemmeno la caccia alle streghe. Ancora una volta ci troviamo di fronte a cose già successe in modo tutto sommato analogo nell’antichità romana. Già la legge delle XII tavole (arcaica legge romana) proibiva l’uso di incantesimi per recare danno ad altri. Lo storico Tito Livio ci riferisce di 170 donne ritenute responsabili di veneficium mandate a morte nel 331 a.C.. Lo stesso ci informa inoltre che nel 164 e nel 180 a.C. siano state scatenate almeno altre due caccie alle streghe, che portarono alla condanna capitale di alcune migliaia di donne. Tutto ciò è sintomo di un antico e solido timore che i romani provavano per la magia che, seppur non completamente vietata, doveva essere praticata rispettando certi limiti. Possiamo immaginare che casi analoghi a quelli descritti da Livio siano accaduti anche nella Roma imperiale: infatti l’atteggiamento nei confronti della magia non si attenuò. Talvolta l’autorità imperiale prese di mira tutti i maghi che praticavano la magia di un certo tipo, presumendo che fosse in qualche modo dannosa, altre volte l’imperatore di turno si limitò a eliminare solo la superstizione che aveva più in antipatia, preservando le altre dalla condanna.
LA FINE DEL PAGANESIMO
In un mio precedente articolo dedicato alla figura di Ipazia d’Alessandria ho cercato di descrivere come avvenne la fine del mondo pagano, e anche di mostrare come tale fine sia stata tutt’altro che repentina. Con l’affermazione della religione cristiana, già nel IV secolo si assiste al declino dei culti e delle tradizioni pagane. Tale declino non è da imputare a persecuzioni da parte dei cristiani: non si assistette infatti ad un’attività repressiva neppur lontanamente paragonabile a quella che colpì i cristiani nei primi tre secoli della loro storia. I decreti Teodosiani si limitarono ad accentuare una decadenza che possiamo considerare già in atto ben prima che il cristianesimo divenisse religione di Stato. Vi furono certamente degli scontri e delle tensioni, in particolare attorno al V secolo, che coinvolsero i seguaci del nuovo e dei vecchi culti: ciò non toglie che si instaurasse una coesistenza relativamente pacifica. Il paganesimo sopravvisse almeno fino al VII secolo, per poi svanire nel nulla. Indubbio che alcuni elementi del folklore e della tradizione pagana siano stati assorbiti dal nuovo culto. Tuttavia non abbiamo abbastanza elementi per poter sostenere l’esistenza di un culto pagano oltre il VII secolo.
I neoesoteristi già a fine 1800 narravano di culti pagani sopravvissuti all’impero cristiano e ancora attivi nel basso medioevo. Tali culti, dedicati soprattutto a Diana, dea della caccia e delle selve, prevedevano tra le altre cose la celebrazione di riti di cui la sessualità costituiva il fulcro principale. Si dice anche che tali culti e tali pratiche erano perfettamente accettate nell’antica Roma. Proprio le iniziate e le sacerdotesse di Diana sarebbero poi divenute le sventurate messe al rogo. Le ipotesi anzidette, per quanto possano risultare suggestive, non hanno fondamento storico. Non solo non abbiamo prova di una sopravvivenza di culti, ma non abbiamo nemmeno prova di una loro esistenza in età romana. Cominciamo a dire che nella Roma imperiale Diana aveva i propri templi e i propri santuari. La divinità in questione, ci si scorda, fece all’alba dei tempi voto di perpetua verginità: risulta dunque abbastanza anomalo che le accolite celebrino riti orgiastici in nome dell’unica dea vergine del pantheon greco-romano. Se recuperiamo il modello delle vestali, possiamo ipotizzare che anche le sacerdotesse di Diana facessero voto di verginità almeno finché il loro servizio non terminava. Possiamo anche immaginare che un culto come quello poc’anzi descritto non avrebbe avuto lunga vita in età romana: già in epoca repubblicana culti considerati immorali, come quelli in onore di Bacco-Dioniso, erano proibiti (successivamente i riti dionisiaci vennero resi leciti solo come cerimonie propiziatorie, privi cioè della loro componente misterica e orgiastica) e chi li celebrava clandestinamente era passibile di pena capitale. Ricordiamo anche che Augusto si preoccupò di promuovere una riforma che portasse ad una restaurazione delle antiche tradizioni e dei buoni costumi, poi proseguita dai suoi successori. Ancora nel 48 d.C. Messalina, moglie dell’imperatore Claudio trovò la morte per aver partecipato ad un rito Dionisiaco in cui si inscenava il matrimonio tra lei e un senatore, anch’egli già sposato.

 

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