Il cacciatore di tarante di Martin Rua

1870. L’Italia è appena stata fatta, ma per fare gli Italiani la strada è ancora lunga. Giovanni Dell’Olmo, ispettore di pubblica sicurezza a Torino, e il duca Carlo Caracciolo de Sangro, brillante medico a Napoli, incarnano alla perfezione gli stereotipi del Regno: il Nord sabaudo freddo e rigoroso e il Sud borbonico godereccio e superstizioso. Ma i due hanno qualcosa in comune, perché nel loro campo sono i migliori, e questo rende entrambi degli outsider, malvisti da colleghi e sottoposti. Le loro strade s’incrociano quando Giovanni, sulle tracce di un assassino noto come l’Imbalsamatore, viene spedito nel tanto disprezzato Mezzogiorno del Regno per una missione: ironia della sorte, il Ministero gli affianca proprio un napoletano, il dottor Caracciolo de Sangro, esperto tossicologo e grande conoscitore di ragni. Ad Ariadne, infatti, nel Salento più profondo e devoto al santo Paolo, in pochi mesi la taranta sembra aver calato cinque donne, tutte braccianti nei campi di una masseria, provocandone la morte. Ma i conti non tornano, e mettendo da parte i pregiudizi, Carlo e Giovanni dovranno risolvere il mistero di questi decessi sospetti, tra esplorazioni nei sotterranei del paese e rocambolesche sparatorie, e affrontare ognuno la propria nemesi. Martin Rua trasforma l’esoterismo in seducente materia narrativa, regalandoci un thriller dove la Storia è il palcoscenico di un enigma che ha le radici nelle leggende più nere della nostra terra.

  • Copertina flessibile: 368 pagine
  • Editore: Rizzoli (7 luglio 2020)
  • Collana: Rizzoli narrativa
  • Lingua: Italiano

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Recensione a cura di Sara Valentino

Torino anno 1870, l’ispettore Giovanni dell’Olmo, figlio del deputato dell’Olmo si trova a indagare sugli omicidi commessi da un serial killer che sta terrorizzando i quartieri più poveri della città, viene chiamato l’Imbalsamatore.

“Dio, come poteva dimenticare quei corpi perfetti anche nella morte, quei volti lisci come il marmo?”

Mentre si trova ad “ammirare” l’ultimo capolavoro dell’Imbalsamatore, il corpo di una giovane prostituta, mentre si trova a inseguire una pista che porta diritta negli inferi, giù verso i sotterranei, verso un  inferno nauseabondo, combattendo contro i conati di vomito … ecco che comprende di essere arrivato tardi, per un soffio gli è sfuggito.

Nel frattempo ad Ariadne, vicino a Nardò, Puglia, stanno accadendo strani casi di donne morte dopo essere state morse da un ragno velenoso tipico del nostro Mezzogiorno.

“Li aveva visti davvero, quegli occhi piccoli e privi di espressione fissarla accanto al ruscello? Quegli arti rinsecchiti e pelosi tendersi verso di lei e una bocca mostruosa spalancarsi per calarla?”

Black Widow Spider on Log

La cura per il morso delle Tarantole era il ballo, sì il ballo. Ecco dove nasce quella che conosciamo come Tarantella, infatti si pensava che il morso della Lycosa tarantula avesse come effetto l’iperattività. L’antidoto era il ballo, il sudore avrebbe fatto in modo che il veleno potesse così essere smaltito dal corpo.

C’è però anche una leggenda, che prende piede e preoccupa il popolo di Ariadne, ogni trent’anni la Malombra viene a chiedere il suo tributo di sangue. I paesani sono persuasi che gli ultimi episodi accaduti siano il preludio dell’avvento della Malombra.

Sono morti misteriose, il paese è terrorizzato, la paura della collera di una dea dal nome ignoto serpeggia, un mito vecchio di millenni.

La situazione diviene seria dal momento che la gente ha paura, vuole lasciare il paese e così Ariadne morirà spopolata, il Barone don Vincenzo insieme al Conte d’Isolabella al cospetto con un gruppo di braccianti spaventati assicura che chiederà l’intervento di esperti per risolvere quanto prima la situazione.

Dell’Olmo, ancora scosso dai terribili incubi che lo tormentano nottetempo, riceve un incarico per lui poco gradevole, recarsi a Napoli, lui che nei suoi viaggi mai si era spinto più a sud di Roma; recarsi a Napoli e poi nel Salento, ritiene di fare una preghiera o preferibilmente testamento..

Inizia così un’indagine che mi ha avvinta completamente, dell’Olmo è un po’ scontroso come personaggio, sarà sorpreso nell’apprendere che sarà affiancato da un esperto entomologo, tossicologico, niente meno che un discendente del tanto discusso Raimondo di Sangro principe di Sansevero.

Dinanzi a un panorama mozzafiato: la collina di Posillipo, il porticciolo di Margellina, il Vesuvio, Capri e Castel dell’Ovo, una vista che rapisce anche il nostro torinese i nostri partono per il profondo Salento a caccia di tarantole e nere leggende.

Una corsa serrata, nenie spaventose, monito dalle vecchie del paese, un parroco che nasconde un segreto, lunghe gallerie sotto Ariadne, un labirinto dove si nascondono le tarante della Malombra.

Trent’anni… tanti ne sono passati da quando la Malombra colpì l’ultima volta, un corpo nudo sudato dai balli, un lenzuolo bianco, e un ragno nero a fuggire come ultimo, dopo la vita, da quel corpo. Cosa è realmente accaduto in quei labirinti? Cosa ha a che fare con il dottor de Sangro? Con chi parla di nascosto mentre indugia sul bicchiere colmo di assenzio?

Sullo sfondo di un’Italia da poco unita, dove il Sud deve lavorare di più per colmare un divario evidente, si snodano le vicende che Martin Rua ha reso ancor più succulente introducendo dialoghi in dialetto.  Un finale inaspettato, personaggi che non sono sempre ciò che sembrano, intrigante la trama non scontata che unisce storia e adrenalina ma con il passo degli uomini dell’Ottocento.

“Tarante, streghe, divinità pagane… avete proprio una bella immaginazione da queste parti” “Ha ragione è che ce ne vuole tanta per sopportare una vita di stenti”

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2 Risposte a “Il cacciatore di tarante di Martin Rua”

  1. Martin Rua ha raccontato di uomini apparentemente molto diversi, ma accomunati da forti assonanze, preludio di una Italia laica e libera. La gestione delle paure e credenze popolari viene descritta con maestrìa non comune dall’autore. Nelle parole del triller si disvela un mondo fatto di persone apparentemente timorate, ma dedite ai più efferati delitti, sicuri dell’impunità. Non tutti i delitti sono perfetti. Le descrizioni dei quartieri di Torino, di Napoli e del paese nel Salento ha una marcia in più. Perché l’autore sa ascoltare i suoi interlocutori ed osservare per trarre dai luoghi la bellezza, il profumo ed a volte il sapore di un tempo, ormai lontano. Una ottima lettura.

  2. Martin Rua ha raccontato di uomini apparentemente molto diversi, ma accomunati da forti assonanze, preludio di una Italia laica e libera. La gestione delle paure e credenze popolari viene descritta con maestria non comune dall’autore. Nelle parole del thriller si svela un mondo fatto di persone apparentemente timorate, ma dedite ai più efferati delitti, sicuri dell’impunità. Non tutti i delitti sono perfetti. Le descrizioni dei quartieri di Torino, di Napoli e del paese nel Salento ha una marcia in più. Perché l’autore sa ascoltare i suoi interlocutori ed osservare per trarre dai luoghi la bellezza, il profumo ed a volte il sapore di un tempo, ormai lontano. Una ottima lettura.

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